martedì 30 marzo 2010

Fà salpare il tuo sogno, ficcaci dentro la tua scarpa!


Il titolo a questo post è del poeta romeno Paul Celan, ho deciso di utilizzarlo perchè sintetizza al massimo quello di cui voglio parlare in questo breve post. Stamattina la sveglia ha suonato presto per me. Prima di partire bisogna sbrigare tutte le faccende, diceva sempre mia nonna. Ed infatti ecco che esco in bicicletta, documenti alla mano, per andare alla sede Inps di via Gramsci 6/8, a presentare la domanda di disoccupazione con requisiti ridotti relativa al 2009. Arrivo puntuale, la signora gentile mi ricorda di prendere il numero e poi di salire al quarto piano. Chiamo l'ascensore, arriva. Il colore non si addice ad un ascensore e poi è troppo stretto per arrivare senza affanno al quarto piano, opto per le scale. Ci sono abituata. La mia avversione a tutti i tipi di ascensori si chiama buone gambe. Quando arrivo noto con piacere che siamo solo al numero 60 ed io ho il numero 123. Ho fatto bene a portarmi dietro l'ultimo Internazionale, il tempo passerà lento. Trovo posto accanto ad un ragazzo che compila diversi moduli ed una signora che ha l'aria molto polverosa. Starnutisco tre volte e mentre cerco di soffiarmi il naso senza far troppo rumore, ritorno all'articolo di Alexander Stille che dà il titolo all'uscita di questa settimana: Basso Impero, un articolo che ricostruisce, con insuperabile maestria, le ultime tappe del signor Birbante alla corte dei Miracoli tutti italiani. Esco dall'Inps che sono provata, penso "ho bisogno di un bel caffè" e poi vado in libreria a cercare la guida per Parigi. Quando arrivo al reparto viaggi mi sento smarrita. Ci sono tantissime guide e neanche una che fa al caso mio. Non mi interessano i ristoranti di Parigi, tantomeno le vie dello Shopping. Non mi interessano i dieci itinerari da fare in un week-end, tantomeno la Parigi by night. Allora una domanda sorge spontanea. Cosa mi interessa? Cosa voglio vedere in questa breve pausa di inizio primavera? Mentre sfoglio alcune guide mi cade l'occhio in un libricino piccolo piccolo che sembra poggiato per errore fra i libri in esposizione. Letteratura in formato pocket, lo posso tenere nel palmo della mano: In viaggio con Kapushinki Dialogo sull'arte di partire di Andrea Semplici. In un baleno la mia attenzione passa dalla grande capitale francese a questo libretto, lo dico sempre che in libreria si entra per un libro e si esce con qualcos'altro. Miracoli dell'editoria italiana o miracoli dei commessi che sanno sempre dove piazzare i libri? Comincio a leggere le prime righe:

Il primo gesto di ogni vero viaggio ha qualcosa di lento. Non credete a chi si mostra deciso, privo di dubbi e incertezze, nasconde sensazioni incomprensibili e contraddittorie. Lui stesso non vuole crederci: ha sognato e desiderato per mesi questo momento e ora come è possibile che non voglia più partire?


E' vero, penso a denti stretti, guarda il caso che scherzetti che ci fa, proprio adesso mi interrogavo sul senso di questo breve viaggio a Parigi e qualcuno riesce in poche parole a spiegarmi quello che sto pensando. Non è la prima volta, questo sconforto da pre-viaggio a chi non ha mai preso? Ad un tratto penso che forse era meglio passare la pasqua con la mia famiglia e che non è servito a nulla anticiparla al fine settimana trascorso. La mia decisione, in un biglietto del treno a/r per Parigi vale due posti vuoti in due tipiche famiglie italiane, che sotto i profumi del pranzo pasquali si riuniranno a calici di vino: una nell'Emilia Romagna dei tortellini in brodo e l'altra nella parte di Abruzzo che ancora non sa se servire il timballo con l'agnello o se optare per una semplice chitarra al sugo. Questioni di tradizioni antiche che vengono tramandate a suoni di forchette e coltelli. Riprendo la lettura

Nella sua testa stanno passando, come cavalli al galoppo mille sagge ragioni che suggeriscono di non andare.La partenza è un momento di fine e di inizio, E' necessario trovare coraggio nel cancellare ogni dubbio (...)

Fà salpare il tuo sogno, dice Celan e per fare questo bisogna trovare il coraggio di cancellare ogni dubbio e paura e far spazio al nostro sogno-bisogno. Ritornare indietro al punto di partenza, perchè si è scelto un luogo anzichè un altro. Partire per il piacere della partenza, per il rituale dei saluti per sentire che ogni momento è quello giusto per dire Vado, vedo e torno. Non esiste a mio giudizio una regola precisa per classificare gli spostamenti, i viaggi. Ci sono viaggi che si fanno per il piacere di evadere, altri per scoprire qualcosa del posto o di noi stessi, altri per ritrovarsi e altri per sperdersi. A volte un luogo vale l'altro, a volte quello scelto è il prestabilito. Siamo tutti così diversi nel progettare un viaggio ma così simili nelle emozioni che ci colgono prima della partenza. Che sia in aereo, in treno, in bus, in bicicletta o a piedi, è l'idea di selezionare i pochi oggetti utili e partire con un piccolo bagaglio a mano che ci emoziona come se fosse la cosa più giusta in questo momento. Lasciarsi alle spalle, con tre giri di chiavi, la casa, il lavoro e tutto il resto ci eccita a tal punto da farci dimenticare che infondo la gita sarà breve. Le paure si abbandonano per strada, ed ecco che davanti a noi si apre il sentiero giusto, quello che avevamo desiderato dall'inizio e che per un momento avevamo smarrito. La gente trova tante parole diverse per questo epifanico momento, a me stupisce sempre la mamma che, intimorita dai pericoli, dice al figlio di non partire. Vale la pena correre questi rischi? Vale la pena trasmettere il germe della paura quando è il rischio di rimanere fermi a rendere le cose più difficili? Io non ho di queste certezze ma conosco la curiosità che mi muove e non posso fermarmi.
Buon viaggio a tutti quelli che si accingono a partire, a te Ismaele per non aver smarrito la via.
La festa è vicina.

sabato 27 marzo 2010

E pensare che ci sarebbe il pensiero...

Usciti di casa imbracciaccio la vecchia scassona attraversando strade, ponti e portici. Superato Bob '80 e salutata la vecchia porta, limes universitario, aumentiamo la pedalata schiacciati tra auto nervose e le deturpazioni al bel viale del vecchio magister, decisi a non farci superare da uno scandire implacabile e indifferente. Tagliando per la piazza mercatale sono apparsi i primi, discreti ma decisi, mescolati tra portici e rincasanti. Dopo un'altra serie di colonnati, arriviamo in via Riva di Reno e a questo punto non possiamo ignorarli. Una processione di pellegrini si staglia all'orizzonte tra strada e marciapiede.
Senza fretta, sereni.
Gli sfrecciamo accanto e, dopo la rotonda, il torrentello che risaliva placido la corrente si rivela mare. -Porca boia! Mai vista piazza Azzarita così.
Una moltitudine.
Individuati gli amici, ci abbandoniamo alla corrente, ritrovandoci presto dentro.
Circondati dall'eterogenea elettricità che sa smuovere animi e pensieri.

Inizialmente, non ero convinto di andare. Si profilava una serata lunga, sfiancante, a seguito di una giornata che si era bevuta con voracità ogni scampolo d'energia. Alla fine, sono contento d'essere andato. In fondo, come ha detto "qualcuno" "il giudizio universale, non passa per le case (...) dove noi ci nascondiamo, bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo".
Per questo, per una notte, è stato bello vedere tante persone con la voglia di ritrovarsi. Con la voglia di ridare una voce pubblica, un'identità, ad un canale d'informazioni sempre più martoriate e svilite.
Per una notte è stato bello provare a concepire cosa significhi televisione pubblica, di tutti.
Per una notte è stato bello raccolgliersi per ascoltare, per far circolare le idee. Per parlare, non solo ai microfoni e riuscire ad immaginare quello che all'estero viene chiamato giornalismo. Ridere, incazzarsi, restare sgomenti, guardare un po' di celato, confrontarsi.
Poter esprimere e far esprimere, in forme diverse. A volte dure, altre accomodanti.
Poter trattatare molti argomenti: di piccole persone, di principi e prìncipi, di sodomia nazionale, di libertà, neofeudalesimo e a tanti altre cose ancora.
Per questo è stato bello riavere un'idea di Rai (almeno) per una notte...
Per questo bisognerebbe gridare, con tutta la gioiosa e vitale rabbia di cui si può essere capaci, MAI per una notte.
MAI per una sola notte.
Far sì che questi momenti non rimangano scampoli d'epifanie.
Può suonare un po' qualunquista, forse, ma tant'è.

Torando a casa, sferzato dalla prima brezza primaverile, ripensavo alla bella serata appena trascorsa, rimescolando ciò che era fuoriuscito. Oltre all'importanza ed all'inquietante meraviglia dell'evento (sì, inquietante. Siamo al punto che la libera circolazione di idee deve sgomitare per non essere scambiata per qualcos'altro, rischiando di ritrovarsi relegata a simili manifestazioni) ci sono state piccole cose che mi hanno lasciato, come dire, irrequieto. Riverberi delle parole che il maestro Monicelli, con la disincantata, lacerante semplicità di chi ha assistito allo scorrere di tanta esistenza, ci ha donato, creando l'ennesima, limpida e disarmante fotografia del paese.
Tra gli ospiti della serata era presente anche Morgan. Ora, io capisco che come personaggio, artista o persona possa risultare più o meno gradito, e che vederlo scalmanarsi "leggermente fatteriello" possa aver infastidito; resta il fatto che non gli è stato concesso d'esprimersi fin da subito. Poco dopo aver iniziato il suo intervento (in cui tentava di mostrare parallelismi tra la divina commedia e le recenti vicende del signor b) è stato prontamente insultato e fischiato (qui) da una piccola parte del pubblico (perchè va bene la libertà di parola, ma qui i drogati non ce li vogliamo!!!) che è in seguito aumentata quando, non pago, è intervenuto nuovamente interrompendo l'ottimo discorso di Iacona (qui). Capisco non essere d'accordo con quello che vien detto, ma, come ha giustamente ricordato lui stesso, Morgan era un ospite della trasmissione, invitato proprio per parlare ed esprimersi. Spettava al conduttore, a Santoro, regolare i suoi interventi, non al regio potere della folla spazientita.
Viene un po'da sorridere a pensare che in un evento a favore della libera informazione ci si scagli con tanta veemenza contro chi è un po'sgradito (come mostrato ad inizio serata).
Un altro aspetto su cui mi è venuto da pensare sono gli applausi.
Tempo fa avevo letto un articolo (qui) di Gramellini in cui veniva descritto come usato con sempre meno significato:

Il simbolo plastico del cambiamento rimane l’uso dell’applauso. Fu inventato per sottolineare un'approvazione, mentre oggi si direbbe che la sua funzione principale consista nel coprire i baratri aperti dal silenzio, questa brutta bestia che ci induce a pensare, quindi fa paura e va rimossa come la morte.


Nel caso specifico si riferiva all'uso dell'applauso nelle situazioni di lutto. Eppure, anche in situazioni come quella dell'altra sera, se n'è fatto un uso spropositato, fuori luogo, quasi a voler sottolineare con decisione la propria approvazione a determinate dichiarazioni, finendo così per interrompere o coprire il proseguimento del ragionamento. Un uso ansiolitico ma autolesivo per chi ascolta.
Ma noi italiani siamo veramente fatti come ha detto Monicelli? Cerchiamo qualcuno che pensi per noi, sperando che faccia bene? Forse.
In ogni caso, il solo recarsi ad ascoltare il pensiero altrui, il poterlo rielaborare, osservare criticamente permette di tenerlo allenato, questo cosiddetto pensiero. Si parlava di rivoluzione, anche nel post precedente. Giustissimo. Sono tanti i campi e i modi in cui applicarla, non solo in quella distorsione della vita che è la politica.
Buona rivoluzione a tutti, quindi. Ogni giorno, ogni istante.
E buona partecipazione a tutti.

venerdì 26 marzo 2010

La fine del Regno Birbonico


Mi ero promessa di non fare su questo Blog degli interventi troppo politicizzati ma dopo aver partecipato alla diretta di Rai per una notte di Santoro e Company, mi sono concessa questa piccola parentesi. Lo show dal Paladozza di Bologna, che ha raggiunto via streaming le case di oltre 100.000 persone, è stato qualcosa di unico. Erano tutti lì, schierati come le pedine in una partita a scacchi, concentrati e lucidi nel presentare le loro idee. Il menù è stato ricco, gli interventi uno più accattivante dell'altro.
Gli spezzoni musicali e i collegamenti esterni hanno permesso di prendere boccate d'aria in un discorso che, senza alcuna pausa, avrebbe potuto paralizzarci ulteriormente. Quando l'operaia in camice verde ha riportato la storia di tutti i cassaintegrati dell'Omsa, presenti anch'essi in divisa da lavoro, un brivido mi ha percorso lungo la schiena. Le sue parole risuonavano tristemente familiari e in molti hanno seguito con le mani contratte di chi pensa: "sappiamo perfettamente cara Francesca di cosa parli".
Luttazzi, con il suo solito ritmo scoppiettante e fluido si è interrogato su come, una cifra alla mano, la fiducia in questa classe politica non diminuisca nonostante i.... e qui la platea esplode, piazza Azzarita è ormai gremita, la sentiamo da dentro trasalire:

La fiducia dell'Italia per B. è oltre il 60% mi chiedo come mai
non importa che la sua politica reazionaria e classista tagli i salari e gli investimenti, distrugga la scuola, la sanità, la ricerca, l'ambiente. Mette la mordacchia alla giustizia, all'informazione libera, alla satira. Non importano le leggi ad personam, il conflitto d'interessi, la gestione delle emergenze è affidata ad una cricca. Non importa il disprezzo della costituzione, del parlamento della divisione dei poteri, non importa gli attacchi al Presidente della Repubblica, all'unità sociale e finale del paese. Non importa lo sdoganamento del fascismo, il razzismo di stato le guerre criminali il ritorno al nucleare, non importa che un affarista senza scrupoli metta al servizio della sua azienda i suoi problemi con la legge l'intera macchina dello stato, una cosa che non c'era neanche all'epoca del fascismo. Tutto questo non importa, la fiducia dell'Italia in Berlusconi è oltre il 60%.
Come si spiega tutto questo?

Come da manuale erotico, Luttazzi con parole dirette senza censure spiega la posizione in cui versa la povera Italia, messa in ginocchio mentre la gente ride di un riso che sa di amaro. Credo che il pubblico sia rimasta seduto per quattro ore non solo per il problema della censura, ma perchè stanco di combattere per cercare, scovare i cunicoli dove si trova la verità. Informarsi in modo libero senza filtri è un diritto di tutti ma non possiamo ricorrere sempre a percorsi angusti per arrivare al nocciolo delle questioni.
Come possiamo, parlo dal mio punto di vista professionale, trasmettere ai bambini le regole della sana convivenza, l'educazione al senso civico se queste cose vengono sempre rimpastate dall'alto. Non hanno mica tutti la fortuna di nascere in famiglie sensibili a queste tematiche. C'è una fitta schiera di persone che ci consegna la mattina i figli a scuola che non si chiede neanche se c'è la carta igienica per pulirsi o il sapone per lavarsi le mani e poi se gli vai a chiedere un contributo "morale" di condivisione delle regole (ovvero che coincidano come a scuola anche fuori da scuola) ti bollano come insegnante troppo legata a vecchi valori (magari troppo di sinistra) ormai superati. Allora ricollegandomi alla serata di ieri, ha ragione la ricercatrice che dice che bisogna essere attivi personalmente per migliorare le cose. Negligenza, lo vedo nel significato vero del termine: atteggiamento di chi adempie svogliatamente ai propri doveri. Molti italiani si lamentano dei diritti persi ma poi se vai a toccare il tasto dolente dei doveri ecco che vediamo calare un velo di silenzio. Quello che ho visto ieri sera è un movimento capace di porsi delle domande e di mettersi in discussione davanti ai doveri del buon cittadino. Che sia una minoranza non importa, bisogna cominciare da qualche parte e come dice il grande regista Monicelli "smettere di avere speranza perchè la speranza è una trappola inventata da ci vuole comandare". Bisogna agire, fare e ancora fare. Il regno birbonico non è solo quello che risiede nei palazzi della politica ma può annidarsi anche dentro le nostre piccole case.
Buona rivoluzione a tutti, noi cominceremo da qui.

mercoledì 24 marzo 2010

"Nessuno lo saprà" di Enrico Brizzi (reprise)

Ho da poco chiuso l'ultima pagina.
Ancora sento il brivido che questi trapper m'hanno suscitato.
Una storia intimista, avventurosa, esilarante. Sempre suggestiva. Si parla di transizioni. Interiori, esistenziali. Tanta è la maestria nel portarci in mezzo a questo gruppo in fieri, ai suoi incontri, ai suoi pensieri donati alla brezza, da ritrovarsi accompagnati dalla malinconia, giunti alla quarta di copertina. Peccato, cominciavo ad affezionarmi alle stravaganze del Viet, ai bar allucinati da Riccardo, agli scatti arrancanti di Galerio ed agli slanci rimembranti di Leo. E anche parecchio. Sento formicolare i piedi e maledico il poco tempo a disposizione per poter racimolare zaino e comitiva e lanciarci verso l'orizzonte.
Ci saranno occasioni, neanche troppo distanti. Un passo dopo l'altro s'avvicinano, aumentando l'elettrica intensità delle vibrazioni.
Cosa è successo in seguito ai trapper, nessuno lo saprà. Non voyeuristicamente parlando, almeno.
Per il resto, stiamo a vedere...

Anatomia degli irrequieti

Prima di inventare l'architettura l'uomo possedeva una forma simbolica con cui trasformare lo spazio: l'azione del camminare. E' camminando che l'uomo ha cominciato a costruire il paesaggio intorno a sè, usando se stesso come unità di misura, creando riferimenti e mappe visive. Molte cose sono nate in cammino e anche la filosofia ha una radice comune. Quando Socrate parlava nelle strade di Atene, oppure nelle dispute sotto i portici dell'accademia di Platone, nei giardini di Epicuro, nelle agorà di Alessandria, le persone amavano pensare in movimento. La filosofia ha suggerito sin dall'inizio il piacere del camminare meditativo per ripensare la propria esistenza e guardare con occhi diversi il mondo. Quella antica era una pratica a cui tutti potevano accedere, che interessava sia la mente che il corpo. Non era un sistema astratto di pensieri ma una pratica che comportava esercizi, anche quotidiani. Sia gli Stoici che gli Epicurei, i Pitagorici ed i Platonici praticavano questi esercizi come Forma Mentis aperta al dubbio e disponibile al dialogo, contraria ad ogni dogmatismo e somigliante ad un percorso interiore di continua ricerca. La sensibilità filosofica, risvegliata dal camminare, è quella che mette a nudo la verità dell'essere come nell'antico mito di Edipo, dove l'oracolo aveva predetto per Laio, re di tebe, cose tanto atroci da metterlo in guardia sin dall'inizio: il cammino per Edipo (da Oidipous che vuol dire colui che ha i piedi gonfi) è un mezzo per farsi guidare dal fato. Nella tragedia di Sofocle il camminare si fa esperienza emotiva e sentimento dell'esistere. La scena è ben evocata dalle suggestive immagini dell'Edipo Re di Pier Paolo Pasolini dove lo si vede intento a scegliere la via coprendosi gli occhi con le mani e girando più volte su se stesso come per perdere l'orientamento. E' una Peregrinatio che significa innanzitutto viaggio, cammino. Pasolini lo rappresenta come un pellegrino: sguardo assorto, bisaccia al collo, a piedi nudi o con umili calzari con il bordone a fargli da appoggio. E' l'eremita, il nono arcano dei tarocchi che accetta di abbandonare la perfezione per mettersi in moto senza sapere in quale direzione andare.
Camminare è una delle più antiche attività praticate sulla terra: si è camminato per soddisfare i bisogni primari, per esplorare e conoscere i luoghi, per quietare la sete di conoscenza. In tribù o solitari, in molte culture il cammino è stato inteso come strumento di conoscenza. Il pellegrinaggio, viaggio a piedi di più giorni verso una meta spirituale, aveva spesso il fine terapeutico di curare gravi malattie. Camminare è considerata una pratica innata nell'uomo, Le Breton nel suo saggio la definisce come un'attività antropologica:

L'esperienza della marcia decentra da sè e ripristina il mondo, inscrivendo l'uomo nei limiti che lo richiamano alla sua fragilità e alla sua forza. Stimola continuamente nell'uomo il desiderio di comprendere, di individuaer il suo posto nella trama del mondo, di interrogarsi su ciò che stabilisce il legame con gli altri.

Forse è proprio questo a renderla una pratica dalla forte connotazione simbolica e metaforica. Il pellegrinaggio come luogo spirituale esige uno sforzo, un sacrificio che solo attraverso la marcia può essere reintegrato, riassorbito nel piacere di arrivare alla meta sia fisica che mentale. Aristotele suggeriva ai suoi allievi la pratica della passeggiata peripatetica, Epicuro li intratteneva facendoli accomodare nel giardino della sua scuola, Socrate li andava a trovare nelle vie rumorose della città. Ad ogni filosofo il suo approccio, metodi molto differenti ma uniti nel concetto basilare che per arrivare alla verità bisogna compiere un percorso.
Spesso a questo percorso l'uomo sente la necessità di affiancare una sorta di mortificazione della carne, si pensi a Edipo che sul finire della sua storia deve accecarsi per proseguire il suo viaggio da esule
ora nascondimi là nel bosco ch'io senta le parole che diranno. Sapere è l'elemento primo di ogni prudenza dell'azione.
La vicenda di Edipo, diventa emblema della condizione umana, di una vita resa cieca dalla volontà di non sapere ciò che si è, di ignorare la verità. Il suo vagare ci trasmette il senso preciso di questo straniamento che può essere combattuto solo dall'esercizio costante di una pratica salvifica. Il Conosci te stesso iscritto sul tempio di Delfi ci riassume l'insegnamento che Socrate offriva invitando i suoi discepoli a trovare la verità dentro se stessi anzichè nel mondo delle apparenze. Il cammino rappresenta di sicuro il terreno fertile dove cercare.

Tutte le nostre attività sono legate all'idea del viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino e che qui stia la molla della nostra irrequietezza.

Buona irrequietezza a tutti!

lunedì 22 marzo 2010

Aggiungi un posto a tavola

Aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più, se sposti un pò la seggiola stai comodo anche tu... così si canticchiava in un famoso ritornello degli anni 70. Oggi nella mensa scolastica il solitò menù a rattristire maestri e bambini: pasta al pomodoro, insalata e stracchino. Non male direi per stare leggeri, soprattutto per i bambini che arriveranno alle 16:00 affamati come dei lupi. Nel rumore generale delle aule della refezione un lamento disperato si alza dalle file della indomabile IA: maestra ma a noi fa schifo lo stracchino e l'insalata è amara e poi anche venerdì c'era stracchino. La maestra imbarazzata risponde alla domanda come solo le maestre di una volta potrebbero rispondere: se hai fame Aasim mangi e non ti lamenti. Poi si gira verso la collega e con aria stizzita dice a bassa voce, vorrei vedere cosa mangia a casa sua. In effetti caro Aasim lo stracchino rimane proprio indigesto, sui tavoli sparecchiati sono molte le confezioni sigillate che i bambini hanno avuto accortezza di non buttare. In compenso però è sparita tutta la frutta ed il pane. Sono tempi duri, anche i bambini se ne sono accorti, chiudono un occhio su tutto ma sullo stracchino proprio no. In molte culture prima di mangiare si recita qualche preghiera e prima di affondare forchetta e coltello si ringrazia il nome del Dio che veglia sulla casa. Nei paesi musulmani si dice un semplice Bismillah, gli ebrei dicono ha-Motzi e se non hanno tempo per dirlo tutti i giorni sicuramente non trascureranno questa preghiera prima dello Shabat. Per i cristiani americani il rigraziamento sembra prendere il ritmo di una canzone rap: Good food, good meat, good God, let's eat anche nel laconico God's neat, let's eat! Belle queste usanze diverse, come è bello il tanto declassato Buon appetito, Bon appètit, Sahtain, Guten appetit, Buen provecho. Quando i bambini arrivano in massa nelle aule della refezione c'è solo l'invito a mangiare composti ed in silenzio. Poche smancerie tanto si va di fretta e poco importa. I pranzi a scuola non sono certo i pranzi reali e i bambini, ogni giorno senza saperlo, si comportano come piccoli Stalin che davanti alla sfilza di posate rispondeva che il suo approccio al cibo era primitivo, già primitivo! Una volta avevo portato a scuola la lista dell'amicizia (trovata qui), come la chiamo io, ovvero la lista delle cose che potrebbero offrire in alcuni paesi quando il rapporto d'amicizia è collaudato. I bambini sono rimasti di stucco. Paese che vai usanza che trovi, meno male maestra che c'è Mc Donald dappertutto. Si ma non vi salverà, la regola del gioco dice che se un amico vuoi conquistare nel suo piatto devi mangiare.... allora... tutti in coro: gli amici a questo servono a stare in compagnia, sorridi al nuovo ospite non farlo andare via dividi il companatico raddoppia l'allegria.

Lista dell'amicizia

Australia Aborigena: larve alla brace
Bali: libellula alla brace o lessa
Cina: zuppa di nido d'uccello, zuppa di pene di capra,zuppa di zampe d'orso, "drago tigre fenice" ovvero stufato di serpente, gatto, pollo e uova "centenarie"
Corea del sud: stufato di cane o gatto
Etiopia: sangue fresco oppure coagulato e fritto
Filippine: balut ovvero uovo d'anatra con embrione in gestazione
Francia: interiora e zampetti di porco, stomaco di mucca, cervello e carne di cavallo
Giappone: "hachi-no-ko" ovvero larve di vespa lesse, "fugu" ovvero pesce palla velenoso, "semi" cicala fritta, "sangi" baco da seta fritto, "sashimi" pesce crudo, un classico
Hong kong: testicoli di tacchino
Indonesia: caffè derivato da chicchi semidigeriti ed espulsi (!) dalla civetta di Sumatra
Malaysia: "durian" un frutto spinoso
Messico: formiche al cioccolato
Nigeria: "kanni" che sarebbe un bruco, larva di punteruolo di palma e di coleottero
Scozia: "haggis" cuore, polmoni e fegato di pecora bolliti nello stomaco insieme a farina d'avena.
Siberia: carne sangue o fegato crudo di renna
Spagna: "calamares en su tinta", calamaro nel suo inchiostro
Sud america: cavia fritta
Thailandia: filetti di coccodrillo con mostarda,cobra con vermi del bambù, rana di montagna
Toscana: stomaco di mucca lesso
Vietnam: bistecca di armadillo, caffè ricavato da chicchi vomitati dalla donnola

per altre specialità e delicatessen sono benvenute nuove segnalazioni



domenica 21 marzo 2010

"American Pastoral" (Pastorale americana) di Philip Roth

Per dare il benvenuto alla stagione dai mille colori e dai troppi starnuti (se non altro miei), un racconto torbido, ingarbugliato. Pieno d'interogativi e di riflessi angoscianti. Un ritratto dell'America, del suo Sogno e dei suoi incubi. Roth scrive con un flusso di pensiero potente e vorticoso come un fiume in piena.
America anni '40.
America anni '60.
America oggi.
Che lavora, sfrutta, si compiace delle sue marcescenti radici dorate, protesta, reprime, s'interroga fino al logoramento, ricorda e rimpiange, urla, esplode, impazzisce.
Un'impalcatura dalle basi di ghiaccio. Una scenografia pronta a crollare sotto un sole di movimenti furioso e cocente.
Con gli occhi dell'alter-ego di Roth, Natahan Zuckerman, entriamo a contatto con labirinti memorie la cui messa a fuoco non sempre è ottimale. Ci astraiamo, derealizzandoci, entrando nella testa dello "Svedese" e delle carogne nascoste nelle profondità della sua famiglia. Assistiamo alla sua caduta, allegorica, esistenziale, immergendoci nel nucleo pulsante e ipocrita del suo paese.
Ottimo libro, di non facile lettura. Sconsiglio una lettura superficiale o, per meglio dire, rilassata. C'è il richio di ritrovarsi smarriti. In luoghi nuovi e non previsti. Roth non ci vuol dare risposte. Ci parla fino allo sfinimento, descrivendo a tutto tondo la vita dei suoi personaggi. Vita che viene definita da uno di loro un breve periodo di tempo nel quale siamo vivi.
Lasciandoci col compito di trarre le nostre conclusioni.
Sempre che ve ne siano.

Elogio dei piedi

Buongiorno Primavera, abbiamo voglia di mettere le coperte all'aria, di spalancare tutte le finestre e far colazione con la brezza del mattino sulla faccia. Stamattina saltello da un link all'altro, cerco informazioni sul viaggio che, se tutto va bene, progetteremo per l'estate. Non voglio però anticipare nulla. E' bello pensare di potercela fare, nei vari commenti ho letto che per arrivare preparati i piedi devono avere la pelle indurita, abbastanza da non essere massacrata dalle vesciche. Penso alla scorza spessa e dura che hanno, a volte, certe arance e non dubito sul fatto che siano, in fondo, le migliori.

Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.

Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.

Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.

Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

Erri De Luca, e che altro aggiungere.
Buon passo a tutti!!

venerdì 19 marzo 2010

Antefatto: Il Van Gogh proibito

Per iniziare una storia è necessario avere le idee ben chiare su dove si vuole andare a parare, dire che io possegga l’intero quadro della vicenda è una bugia, ma applicandomi posso ricostruire, frammento dopo frammento, la storia che sto per raccontare. Prima di cominciare voglio mettere davanti a voi un immagine: siamo in un grande giardino con tantissime piante e fiori, questo giardino è protetto da una rete metallica coperta da una siepe. In un angolo una bambina sta aprendo con una pinza un buco nella rete. Fra pochi minuti sarà dentro il giardino. Il custode, un omone alto alto di nome Otello, sta potando un aiuola dall’altra parte del giardino, non si accorgerà di nulla. La bambina riesce ad entrare, si nasconde dietro un grosso cespuglio, osserva intorno ehhhh TROVATO!!! Un meraviglioso albero di mimosa, la più grande pianta che lei abbia mai visto, con tutti quei pallini gialli che avrebbero fatto impazzire il suo artista preferito Van Gogh, un mito per lei, e come potrebbe essere altrimenti? Un barlume improvviso, come quello che colpisce quando ti viene in mente qualcosa di particolare che devi fare. Il pensiero è talmente veloce che ha già capito come deve muoversi. Lo deve fare per il suo amico. Una volta la sua maestra le aveva detto che Van Gogh era matto e che nei vari manicomi dove venne ospitato dipinse i suoi 150 quadri più importanti. La maestra glielo aveva confidato in un orecchio perché sapeva che lei era una bambina intelligente a cui dire certe cose. Non una bambinetta che si spaventa subito per ogni sciocchezza. Ma ve lo immaginate un personaggio del genere? diceva lei, bisticcia con il suo migliore amico e poi si taglia l’orecchio. Figo! Una volta lo ha esclamato così ad alta voce che la mamma le ha regalato una bella sberla a mano aperta. Il motivo lo scrisse sul diario segreto alla 21 pagina: Mia mamma non è mai stata molto Punk e non capisce che Van Gogh è un genio della pittura. Certo non sta bene tagliarsi le orecchie quando si bisticcia con un compagno. In effetti a scuola quando litigo con Gianpietro “testa dura” l’orecchio io lo morderei a lui. Ma Van Gogh era molto arrabbiato lo voleva quasi strozzare quel suo amico per questo poi si pente. La maestra mi ha spiegato che si dice "Automutilazione", cioè fa un sacrificio come nelle religioni antiche per punirsi del gesto. Certo amico mio che sei un duro, potevi smettere di mangiare le patatine o di fumare la pipa per un mese. La mamma dice che non devo prendere questo pittore come modello dei miei disegni e mi ha proibito di leggere il libro grande dove ci sono scritte le cose vere su di lui. Mi ha comprato un libricino alla Stoppani che parla dei suoi dipinti e delle cose belle ma lei non sa che io ho capito la verità. Per questo gli sono amica, mica si può essere amica solo di brave persone.

Ma torniamo alla storia. L’abbiamo lasciata davanti alla fantastica pianta. Vuole vederla da vicino, vuole prendere tra le mani quei pallini di polvere solare. La pianta è il vanto dell’ospizio, il custode su di essa ha impiegato ogni energia. La protegge come un prode cavaliere, se vi trova lì vicino è capace di prendervi per un orecchio e portarvi dalla suora madre e lì son davvero cavoli amari… altro che mimose fiorite. Otello continua a potare, lei scivola dietro la pianta, non c’è nessuno il momento è perfetto. Tira fuori una busta di plastica e comincia a tirar via dalla pianta tutti i pallini gialli, uno ad uno all’inizio poi si mette fretta e comincia a tirar via di gran gusto. La parte bassa è fatta, ora deve arrivare in alto, è piena di polline da fare impressione le prude il naso ma non può starnutire. Cerca di arrampicarsi e scivola, ci riprova e sale sul ramo più esterno che non tiene il peso e patapuff cade in terra con la bambina sopra. Si è fatta male al ginocchio e sanguina, un classico, ma prosegue la sua missione. Ha bisogno di tutti i pallini della pianta per riuscire nel progetto. Si arrampica ancora e stavolta riesce ad incastrarsi nel punto giusto. Otello non la può vedere ma bisogna far presto. Presto, allontanarsi dalla pianta! Gli anziani dell’ospizio sono tutti raccolti in preghiera e poi andranno a cenare. La busta è stracolma, fanno male gli occhi a guardarci dentro. Lentamente scivola via e in silenzio torna al buco dalla rete ed esce dal giardino. Il colpo è fatto. Da lontano osserva la pianta, che tristezza tutti quei rami spogli. Stringe a sè la busta, sembra un tesoriere forzato carico di monete d'oro. Un sorriso colpevole le illumina il viso, ora bisogna solo trovare un nascondiglio.

martedì 16 marzo 2010

Nessuno lo saprà, breve racconto intorno ad un delirio di coppia

Mi sta bene, me la sono cercata.
Splendida la serata al Locomotiv e giusto per rimanere in tema il libro ricevuto in regalo, per convincermi che questi 18 euro (tra tessera arci e concerto) saranno spesi bene. Tutti mi dicevano: leggi Enrico Brizzi, è bolognese ti fai due risate e poi ha una scrittura fresca e che ti coinvolge. Penso, si lo farò, lo farò ma il tempo passa e dall'epoca di Jack di strada lo scrittore ne ha fatta. Poi il silenzio. Ub non mi pressa più ma è solo l'inizio della contromossa. Ha capito, il furbo, che più pubblicizzerà prodotti nostrani e più l'abruzzese, testa dura, li rifiuterà. Mi parla ore ed ore dei Wu Ming e poi non indifferente alla resistenza mi mette sul comodino Stella del mattino di Wu Ming4. Penso: a questo poverino, bolognese convinto, devo dargliela una soddisfazione infondo non mi sta chiedendo di andare allo Stadio o a ri-subirmi tutti quei concerti post-punk nei posti più improbabili, (che forse solo qui a Bologna sapete fare con tanta passione). Vada per Wu Ming ma ne leggo solo uno, sai che preferisco un altro genere. Lo leggo e mi piace e lui si sente rincuorato. Come se avesse bisogno di certezze, come se questa sua Bologna "underground" abbia il bisogno anche della mia approvazione. Sono strani a volte gli uomini, penso. Dopo un periodo abbastanza sereno, fa capolino in casa nostra un libro dalla copertina patinata. Lui è carico come una molla: guarda qui cosa ho preso. Non gli bastava che uno dei Wu Ming lo considerasse, dopo la lettura in apnea di Altai, sotto botta da maratoneta, ora vuole anche mettere in mezzo l'altro bolognese. Cara, è l'ultimo di Brizzi, ahhhahhh ci risiamo. Ora ricomincerà con la filippica che è un grande scrittore che come lui ha fatto il Galvani etc,etc... ah si amore, di cosa parla? praticamente lo divora e qui nasce l'incubo. Sai dovresti leggerlo, ti piacerebbe... si, immagino, no ma lo dico sul serio,ok quando finisco Paasilinna lo leggo. Nulla, vado avanti per la mia strada. Però il libro non lo mette mai in libreria e rimane per un pò in giro per la casa. E' incredibile, poi la testarda sarei io . Ossessione. Brizzi mi stai antipatico, lo sò non serve provare. Ennesimo litigio, ne ho abbastanza di questi bolognesi che si credono al centro della terra. Amo Bologna e la bolognesità ma questo è troppo. Lo prendo e lo metto via, nel punto più in alto della libreria. Poi le cose si fanno divertenti. Arriva tutto contento in casa dicendomi della grande serata che si prospetta al Locomotiv, dice che gli piacerebbe se lo accompagnassi io. C'è anche Steno, un mito, quando andavamo in saletta a suonare ehhhh quanti ricordi, io vorrei essere lontana anni luce, forse sulla luna. Prima della grande serata, andiamo in libreria e compra i due libri dei viaggi a piedi: ho scoperto che farà una cosa potentissima ad aprile, a te che piace viaggiare e camminare questi non devi perderli. Sono un regalo. A questo punto, effettivamente mi mette con le spalle al muro. "Nessuno lo saprà" è un libro che da un pò mi girava in testa e che dovevo leggere. Ho il pallino dei pellegrinaggi e ne ho fatto anche uno in città che poi è diventato un diario che ho esposto in una mostra. (http://containerlab.blogspot.com/) Su questo non possiamo discutere. Troviamo il punto di accordo e finalmente si snoda il sentiero.
A questo punto devo assolutamente usare un tono epistolare, scrivere come fa un bravo lettore ad uno stimato scrittore. Ricomincio da capo.
Caro Enrico Brizzi, voglio chiederti scusa per averti odiato senza effettivamente aver mai letto nulla di tuo. Il libro che ho ricevuto in dono è uno dei più belli che io abbia mai letto e che alla soglia dei miei 32 anni mi ha fatto riflettere su tante cose e anche commuovere. Mentre oggi tornata da scuola finivo le ultime righe con le lacrime, lo stronzo di cui ti parlavo credo si sia sentito il bolognese più fiero sulla faccia della terra. Ma come fate voi, cosa avete di così speciale in questa città per farci questo? Lo spirito da camerata scout perenne che accompagna questi Regaz, come li chiamate, in mille avventure per il mondo; oggi per la prima volta ho capito qual era il messaggio tra le righe e ho provato tenerezza. Stasera lo porterò in una di quelle vecchie Osterie di Bologna a brindare al tuo nome finalmente in pace in questa casa e di tutta questa storia, Nessuno lo saprà!
Con affetto e stima,
una delle 10.000 che arrivano ogni anno qui per studiare... 12 anni or sono

lunedì 15 marzo 2010

Istruzioni per sperdersi: modi e luoghi


Parto da questo sottotitolo perchè è da alcuni giorni che sono tornata a ri-pensare il concetto di spaesamento che tanto mi aveva appassionato durante la ricerca della mia tesi di laurea. Quante persone ad un certo punto della loro vita hanno deciso di creare una pausa inserendo all'interno del proprio percorso la deviazione del Viaggio. Scrivo questa parola con la lettera maiuscola perchè non sto parlando del viaggio in senso largo del termine ma in un significato ben più profondo. Carico di valenza simbolica, qui potrei aprire una parentesi enorme su questo concetto, ma non lo farò anzi mi limiterò ad aggiungere solamente un link che di sicuro con parole più appropriate ne spiegherà il senso. Chi vuol capire, capisca. Il bisogno di controllare lo spazio è una necessità antica che ha da sempre accompagnato l'uomo nell'esperienza fenomenologica del mondo. La scienza contemporanea ha compreso che lo spazio è una valutazione percettiva che viene prodotta principalmente dall'emisfero destro del cervello, mentre la percezione del tempo spetta all'emisfero sinistro. La nostra percezione non genera una visione speculare dello spazio ma costruisce uno scenario visivo che ci permette di raccontarlo. Percorrere uno spazio è quindi il modo migliore per oggettivarlo. Secondo Merleau-Ponty uno spazio per esistere dovrà essere vissuto dal corpo perchè esiste tutto quello che viene percepito e non solo pensato. Bisogna agire nello spazio, abitarlo per conoscerlo. Ambientarsi vuol dire eliminare le differenze tra i luoghi, le persone e la concezione culturale che si ha di entrambe. La vertigine dello spaesamento viene reintegrata attraverso questo lavoro. Certo nel viaggio non abbiamo il tempo necessario per elaborare questi concetti perchè alcuni luoghi vengono attraversati troppo velocemente, ma l'uomo è furbo e risolve il problema omologando gli spazi. La Cecla parla di orientamento standardizzato e Marc Augè ci costruisce sopra la fortunata definizione di non-luogo, ovvero i luoghi altri della surmodernità. L'archetipo del non-luogo per eccellenza è lo spazio del viaggiatore: le vedute parziali e veloci, le immagini frammentate e gli scorci sempre familiari che seguono la narrazione del viaggio come in un'istantanea fotografica. Esiste una necessità tutta interiore che spinge gli uomini a cercare di muoversi nei luoghi come fossero sempre al centro, ma esiste anche l'altra faccia della medaglia. La possibilità di perdersi, di smarrirre la strada battuta per cercare altre vie, per fare esperienze diverse che mettano in gioco modi altri, appunto, esplorare per conoscere e mettersi alla prova. Per rafforzare il concetto cito due esempi tratti dalla vasta letteratura De Martiniana:
1) Il clan totemico degli Arunta gatto-selvatico dell'Australia centrale, come descive De Martino in Mondo Magico, possedevano un palo sacro che ergevano sempre al centro della loro dimensione, si spostavano seguendo la direzione del palo perchè da questo il dio creatore Numbakulla era asceso al cielo. Quando un giorno il palo per cause naturali si distrusse questi vagarono senza meta fino a lasciarsi morire.
2) Durante una spedizione nel Sud Italia una volta l'Equipe perse la strada e per ritornare sulla giusta chiesero ad un viandante, un vecchio pastore, informazioni ma questi era talmente confuso che lo pregarono di accompagnarli sino al bivio giusto. Accolse il vecchio con diffidenza l'invito ma divenne angoscia nel momento in cui si allontanarono tanto che egli non poteva più scorgere il campanile del paese di Marcellinara. De Martino racconta che si agitò così tanto che dovettero riaccompagnarlo indietro. Per lui il campanile rappresentava un punto di riferimento spaziale vitale, senza questo egli cessava di esistere e cadeva nel nulla. La sua mappa mentale era limitata a quell'area, oltre quel Limes, quella soglia è tutto da definire.
Lo spaesamento è una condizione inquietante ma è anche un'esperienza di alterità affascinante tanto da aver stimolato viaggiatori di ogni epoca a smarrirsi sulle vie polverose della terra. Ecco il libro di Bocconi parla proprio di questo e a me fà venire in mente il pastore di Marcellinara che anzichè tornare indietro decide ad un certo punto di proseguire il viaggio alla ricerca di nuovi campanili con i quali segnare il suo mondo.

domenica 14 marzo 2010

Rialzati Bologna!

Serata fumosa al Locomotiv ieri sera.
Tanto da dire e tanto da ascoltare.
Poco prima delle 23, tre ragazzoni salgono sul palco e cominciano a suonare, suoni elettrici, rugginosi. Ecco uscire la voce narrante. Si parla di Bologna. Di un po' della sua storia, delle sue dinamiche. Rielaborazione musicata di questo libro. Modi diversi di rendere omaggio, di amare le pulsazioni vibrate da portici e rossi mattoni. Tante cose sono cambiate, non solo nella Grassa mangiatortellini. Ora di farsi sentire, di smettere di dormire comatosamente e ricominciare a sognare; di aprire gli occhi. Dopo le ultime vicende cittadine, ormai in parabola discendente, Brizzi e gli Yu Guerra hanno detto la loro. Con grinta, poesia e cuore. Insieme a loro guest star del calibro di Nadia delle Tremende e di Steno e della storica "Laida Bologna Crew".
Al termine della performance apprendo con orrore che uno dei punti di riferimento del passato, sede di confronti, note e suoni strappati ad amplificatori bronchitici rischia di chiudere per problemi d'affitto. D'affitto!!! Alla fine si torna sempre allo stesso punto, i soldi davanti al resto, che la cultura si adegui. Porcaputtana! E allora vengono i brividi ad ascoltare il pezzo di chiusura, "Rialzati Bologna", in attesa del ritorno di idee fresche e speranze...come di fiori che sbocciano dalla terra nella stagione in cui la natura è muta e fredda.
Tributo di rara fattura; riascoltare il singolo sotto il sole domenicale mi scuote ancora un po'. Ulteriore prova della maestria di Brizzi nel forgiare parole potenti, fotoparole dalla rugginosità punk.
In seguito sono saliti sul palco i Drink to me, demoni da palcoscenico capaci di ruggire ossessioni pazzesche ed intense. Un'ora assurda in cui, tra giri di strumenti, maschere, sonorità ipnotiche ed elettricità hanno sfondato il buio fumoso della sala entusiasmando gli animi dei presenti. Mai sentito un tale groove. Faranno strada.
La locomotiva guarda lontano, forgiandosi propri binari dalle molteplici direzioni.
E non è la sola.
Per fortuna, non è sola.

sabato 13 marzo 2010

Festeggiamenti

Per festeggiare questa nuova idea dell'inserimento di Littlecup al blog non potevamo scegliere sede migliore. Sono dieci anni e più che vivo in questa città e non ci ero mai stata. Dopo aver preso un pò di cose buone da mangiare ci siamo diretti all' Osteria del Sole (vedi qui) antica osteria nel cuore di Bologna dove, coccolati dalle calde e frizzanti note di un buonissimo Lambrusco, abbiamo brindato a questo nuovo sodalizio creativo. Devo ammettere che lavorare dietro ad un Blog è impegnativo e mi sono realmente resa conto di non riuscire a scrivere con la costanza con la quale riesci tu. Così accetto la tua proposta di abbandonare il progetto di un mio blog, per entrare a collaborare a questo mondo virtuale dove il sentiero è in parte già battuto. Lo farò con una piccola nota a differenziare il viaggio. La strada maestra sarà la stessa ma cercherò sentieri alternativi dove osare, dove divagarmi o allontanare. In una società dove l'individualismo è alla base di ogni rapporto pensare di condividere suggestioni culturali è intrigante. Parole e immagini non ci mancheranno, saranno come i crocicchi sui quali appuntare i Km. La penna lasciata sul taccuino aperto invita al viaggio.

Una nuova amica

Da oggi abbiamo una nuova amica.
Domusorea il suo nome.
Dai suoi bordi usciranno fragranze e suggestioni. Punti di vista vicini eppure altri. Un tocco di colore alle storie finora elencate. Una voce in più in attesa di diventare coro.
Una strada dalle impreviste e dolci diramazioni.
Benvenuta cara amica, vediamo dove ci porterà il sentiero da battere!

venerdì 12 marzo 2010

"Nord" di Rune Denstad Langlo

Questo piccolo grande road movie racconta la rielaborazione di un identità e il superamento della morsa psicopatologica. Film breve, carico di silenzi e di simboli che accompagnano Jomar, un ex sciatore che da cinque anni ristagna nell'abulica prigionia della depressione. Inchiodato sopra un divano sembra incapace della minima razione che, anche quando viene scatenata dal ripresentarsi di un passato odioso e doloroso lo riscongela brevemente per poi ripiombarlo nella sviscerante eternità delle sue giornate.
Un uomo distrutto. La cui sola aspirazione sembra quella di rientrare nel bozzolo rassicurante di un ricovero.
Scoprire una parte di sè che non poteva conoscere, la paternità, lo porterà a lanciarsi in un viaggio in cui ritroverà la capacità di vedere, di seguire la strada scelta, la fisicità e la propria forza, smettendo, sia per necessità che per volontà di farsi trascinare dagli eventi e ritrovando l'equilibrio e la capacità di muovere i propri passi verso la meta. Tutto ciò sarà possibile anche grazie agli incontri improbabili con altre solitudini, da cui si realizzeranno inconsapevoli scambi reciproci. Le persone, gli oggetti ed i gesti di Jomar sono piccole tappe di un difficile e lento rimettersi in piedi, in mezzo ad un gelido e rilassante nulla bianco, che ferisce senza voler ledere, che spiana la via facendoti smarrire.
Un viaggio dentro se stessi, contro se stessi. L'elaborazione di possibili mostri, visti nella Norvegia più isolata ma ritrovabili anche nella più caotica metropoli. Un viaggio tra i tanti che ogni giorno scorrono inosservati.
Film molto piacevole, introspettivo, dotato di un'ottima fotografia e colonna sonora e di attori capaci di esprimersi anche senza parlare. Probabilmente risulterà frustrante per il grande pubblico dal palato anestetizzato (se non noioso), ma, pur essendo breve, è un film denso di una simbologia e di un'espressività che continua a fluttuare intorno, una volta usciti dalla sala.
Una bella sorpresa.

Per ulteriori info qui , qui e qui.

giovedì 11 marzo 2010

"Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro" di Enrico Brizzi e Numero6


In quest'algida mattinata dalle scuole chiuse mi dedico a tutt'altro che a quello che dovrei fare. Tra un cybercazzeggio e l'altro mi ascolto questa piccola audiostoria. Esilarante. Entusiasmante. Splendida commistione di musica e parole, parlato e cantato. Non ho ancora letto il libro e la grafic novel ma con poche parole ci ritroviamo a camminare sulla via francigena in mezzo al quartetto in questione, zaino in spalla, avvolti dalle suggestioni dei luoghi e dagli incontri, insoliti a dir poco. Un crucco senza pelle vergine, un pellegrino dalle braccia d'inchiostro s'attacca alla comitiva, portando, a conferma della propria affidabilità, denti piccoli e ben distanziati. La storia di quattro pellegrini. La storia di Bern, istrionico ed iroso tedesco viandante. Un incrocio di strade inaspettato. Come sempre Brizzi si mostra capace di logocomposizioni di rara fattura, narratore trasudante bolognesità. Questa volta incastonate con spiazzante naturalezza in un tappeto di note e melodie. Finisco l'ascolto molto incuriosito dal romanzo, di cui questo disco è splendida diramazione. Ciò che ci capita mentre andiamo pellegrini per il mondo è in grado di cambiarci sul serio. Con queste parole ci lascia Bern, un traboccare di significati. Quanti modi esistono per viaggiare?
Retorico, lo so, ma mai quanto adesso vorrei caricarmi in spalla uno zaino e portarlo a fare un giro insieme ai miei pensieri. Un passo dopo l'altro.

martedì 9 marzo 2010

Memories vol. 3

Ecco un piccolo capolavoro dell'epica contemporanea che mi è tornato in mente in questi giorni. Primo grandioso capitolo delle epiche gesta di Henry Smart, irlandese d'inizio secolo che ci trasporta tra le vie di Dublino e d'Irlanda, facendoci respirare e attraversare ogni sorta d'olezzo, sudiciume, polveri, fragranze, sudori, sentimenti e voci dei cosiddetti negri d'Irlanda. In uno scenario dickensiano veniamo a contatto con ogni moto e passione che nel secolo scorso scosse e l'isola Esmeralda portandola a ribellarsi all'umiliante guinzaglio britannico. Lo facciamo tramite due occhi azzurri d'irrivernza, affetti incrostati addosso e trasportati nelle imprese amorose e politiche più improbabili. Alla scoperta di una Dublino dalle vibrazioni inaspettate.
Un libro travolgende, entusiasmante, probabilmente uno dei migliori scritti negli ultimi decenni. Conoscevo già le abilità di Doyle di portare il lettore all'interno della storia, di fotografare i protagonisti e la loro realtà tramite dialoghi disarmanti nella loro semplicità, ma non mi aspettavo un risultato simile. Sono passati tanti anni dalla lettura e mi sono rimaste ben impresse le suggestioni, anche se non ricordo bene i perchè o i percome di molte. Ma non importa. "Una stella di nome Henry" rimane un grandissimo romanzo di un grandissimo autore. Splendido affresco di un'Irlanda non così lontana come potrebbe sembrare.

lunedì 1 marzo 2010

"An education" regia di Lone Scherfig, storia di Nick Hornby

Un giovedì sera, a spasso tra i portici. Indecisi se puntare su "Lourdes" o "An education" optiamo per il secondo, apparentemente più leggero. Non conoscevo la regista ma mi fidavo delle capacità narrative di Hornby, che anche questa volta non mi hanno deluso. Una pedalata dietro l'altra e giungiamo al Rialto, appena in tempo per prendere posto. Si spengono le luci e comincia il film, che ci mostra le evoluzioni di una giovane adolescente dotata d'intelligenza e cultura non comuni. Le possibilità davanti a cui si torva costretta a fare una scelta. La propria educazione sentimentale e familiare.
Storia ambientanta negli anni '60 ma comunque molto attuale. Ottima per osservare (una volta in più, che non fa mai male) le dinamiche a cui è costretta ad andare incontro una giovane donna, i tragici fantasmi sociali che si porta dentro e che rischiano di condizionarne il cammino. Siamo marchiati da credenze secolari, ed anche una famiglia tesa ad infrangerle, a non soccombere fermandosi davanti ad esse e ad investire con fatica nella costruzione del futuro della propria figlia, può cedere o sobbalzare davanti all'effimero presentarsi di scorciatoie dorate, che a ben guardare non sono altro che tuguri imbellettati.
Un bel film, dal ritmo lieve. Una fotografia suggestiva ed un cast bravo a portare avanti l'evoluzione di ogni personaggio, che, con il passare del tempo, scopre nuove parti di sè, acquisendo sempre più consistenza e tridimensionalità. Sarebbe interessante da far vedere a chi si trova in uno stato di delirante ipnotismo da salotto televisivo. Infondo uno dei messagi della pellicola è "si può essere molto di più di un grazioso soprammobile". Soprattutto coltivando l'arte del pensare, oggi così sottovalutata.
Non voglio proseguire ulteriormente perchè merita di essere visto senza un carico eccessivo d'aspettative. Lasciatelo scorrere, se sarete fortunati potrete beneficiare, com'è capitato a noi, non solo della piacevolezza del film ma anche dei favolosi commenti di sdaure locali, che, nel nostro caso hanno aggiunto un velo di comicità inimitabile allo svolgersi della storia.
Fantastico.