lunedì 28 febbraio 2011

Uomini d'acqua dolce

Mentre i potenti si affannano a mantenere poteri sempre più traballanti, tra le mura domestiche nascono slanci epressivi che solo uomini d'acqua dolce san fare tanto spontaneamente.

Oggi

 

come ieri


L'invito è quello di accendere lo stereo, farsi avvolgere dal volume e lasciarsi andare fino alla fine.
Uomini d'acqua dolce si annidano dentro e fuori mura di ogni genere, in ogni angolo.
Basta solo lasciarsi scovare.

domenica 27 febbraio 2011

Dal blog "educatori contro i tagli"

Come educatori ci sentiamo di condividere totalmente la battaglia che si sta facendo ai tagli che i vari comuni pensano di attuare senza trovare alternative valide al problema!
Linkiamo al blog educatori contro i tagli dove si può leggere un ottimo intervento di Jacopo Fo dal sito fattoquotidiano.it. Si parla dei "Comuni che tagliano le spese triplicandole. Alle porte di Bologna la Rossa, 9 comuni rossi hanno deciso che possono fare a meno dell’assistenza ai disabili e ai minori a rischio".
Un testo lungo, ma non troppo, che va dritto al cuore del problema e spiega molto bene come i tagli a determinati servizi a lungo termine rischiano di avere forti ricadute sulle comunità non solo a livello sociale, ma anche economico.
Buona lettura e fate girare!

sabato 26 febbraio 2011

L'ora di religione

25 Febbraio 2010

Signor Presidente, Lei ha ragione quando afferma che gli insegnanti inculcano ai ragazzi valori diversi da quelli delle loro famiglie. La famiglia italiana è in crisi e lei è stato un pioniere nel capire che gli insegnanti non possono appoggiare idee e valori che vadano contro la realtà della nostra cultura, di principio cattolica. Infatti signor Presidente sono talmente pochi i bambini che hanno i genitori insieme che oramai è prassi consolidata, durante l'ora di religione, marcare il sesto e il nono comandamento. Quando ho spiegato che non si deve desiderare la donna d'altri come un motorino nuovo di zecca o una play-station, con alzata di mano Giovanni, classe IIA, ultimo banco a sinistra,  con grande fatica è riuscito a starmi dietro. Ha interrotto la lezione mille volte. Cos'è che non capisci Giovanni?  è più semplice di quanto possa sembrare, l'adulterio è quando un uomo desidera la donna di un altro che come dicevo non si può desiderare ma la carne è debole e allora si abbandona la famiglia e si cade in peccato. Desiderare le cose che non si possono avere non è bene! non sà signor Presidente quanto è difficile parlare a questi bambini, molti sono cresciuti in famiglie allargate, alcuni addirittura non hanno mai conosciuto il padre o, come nel caso di Gaia, che la madre l'ha abbandonata a casa dei nonni perchè si è innamorata di una donna. Capisce? di una donna! Bisogna allora credere ardentemente a quello che si dice. Quando ai bambini riporto la Bibbia io lo faccio con una convinzione più unica che rara, cattolica  e ben pensante, che nella famiglia vede un valore assoluto e non aggiunto. Mi trovo quotidianamente davanti all'imbarazzo del confronto con una società di facili costumi e di ipocrisie imperanti. Le famiglie sembrano più dei covi dove questi bambini possono crescere come piccoli furfantelli comunisti con la passione per i matrimoni gay e le adozioni ai single. Sarebbe bello Presidente che la scuola pubblica preservasse i suoi insegnanti dalla possibilità di avere a che fare con queste diverse realtà per ritornare ad un insegnamento pulito e scevro da sordide complicazioni. Mi piacerebbe domani parlare del quarto comandamento senza dover per forza tirare in ballo altre figure mendaci. L'ora di religione mi piacerebbe fosse qualcosa di altamente istruttivo e non una sorta di materia tappabuchi per i soliti quattro poverelli dalle famiglie disastrate.  
Maestra Gertrude


Nota: questo post non è pura finzione ma la rivisitazione di una lezione di religione sui 10 comandamenti fatta in una scuola primaria. Non è semplice spiegare questi precetti ai bambini ma la storia di per sè è affascinante e li tiene incollati alla sedia. Mosè, con le due tavole di pietra avvolto in un'aurea mistica e severa  parla ai bambini dell'amore che conosce gerarchie e disposizioni. Prima viene Dio, l'amore verso Dio che pone le basi per quello a seguire, l'amore per il prossimo.
"Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli" 
Vangelo di Matteo 5,17-19

Mentre Geltrude parlava io con la mente vagavo fino ad arrivare al Testamento di Tito di De Andrè, ma come tutte le cose più belle a questo si arriva solo in un secondo, maturo, momento.


venerdì 25 febbraio 2011

Cinegiornale scolastico


Ottobre 2010
Lido di Camaiore,
grande occasione per la sua rinomata scuola. L'imponente edificio, impegnato a crescere figli della lupa integerrimi e sani, oggi, lustrato a festa, è pronto ad interrompere la sacra giornata di studio per accogliere l'illustre ministro. Come solo le più fedeli scuole italiche sanno fare. Giorni trepidanti di ferrea preparazione hanno scandito il proseguimento delle lezioni. Pargoli eleganti e profumati, guidati da una fulgida mano priva di dubbio alcuno, hanno preparato poesie e ringraziamenti; tutto nell'austero e sobrio stile romano. Nulla sembra turbare l'armonia generale, l'occhio dello spettatore è affascinato dall'eleganza dell'ordine, abbagliato dalla luminosa pulizia. Il personale, fieramente schierato, è pronto ad accompagnare l'ospite eminente tra le mura dell'istituto, ammantate di cultura italica, vanto secolare della nostra sacra penisola, dal cui passato giungono echi vibranti.

Sono gli occhi del Duce che vi scrutano. Che cosa sia quello sguardo, nessuno sa dire.
E' una fiamma che cerca il vostro cuore per accenderlo d'un fuoco vermiglio.
Chi resisterà a quell'occhio ardente armato di frecce? 
Rassicuratevi : per voi le frecce si mutano in raggi di gioia!
[Leggere con intonazione da Cinegiornale Luce]
Rende meglio!

giovedì 24 febbraio 2011

Il destino nello stradario?



Il periodo delle iscrizioni scolastiche è sempre costellato da dubbi e perplessità, le discussioni ed i dibattiti che si accendono attorno al tema della scuola dimostra ancora una volta quanto sia fondamentale la giusta scelta soprattutto se a rimetterci dell'errore è un bel bambino di 6 anni ancora profumato di latte e biscotti. I tagli al pubblico non fanno presagire ottime annate, le scuole sono sempre più affollate e l'offerta didattica non sempre è congeniale al tipo di utenza al quale ha la pretesa di rivolgersi. Iscrivere un bambino a scuola non è solo una questione di "stradario" e bacini d'utenza. Quanti sono i genitori che davanti a questa scelta tentennano, la nomea di una scuola è fatta di passaparola, di gente che ha frequentato, usufruito del servizio e che senza filtro estende consigli e osservazioni a parenti, amici, amanti, conoscenti e vicini di pianerottolo 

Dovendo iscrivere mia figlia al primo anno, sto adesso cominciando a visitare le scuole per poter presentare la domanda in gennaio. Il problema è che l'unica scuola "naturale" come stradario, non ci convince. Non ci convince la struttura, non il direttore didattico, poco le insegnanti. 
Non iscriverò mio figlio in quella scuola di merda piena di zingari solo perchè il comune mi ha assegnato la casa popolare in mezzo a questo schifo!
Andrò a richiedere i vari P.O.F. (Piano dell’Offerta Formativa) ed a studiarmeli per bene per capire quali sono i progetti educativi e didattici dei vari Istituti.
Anch’io ho preferito mandare il mio piccoletto, nel plesso più vicino a casa. Non vi nego che abbiamo molto valutato la possibilità di poterlo mandare in un’altra scuola ma dopo ci siamo posti la domanda “E’ giusto allontanarlo dalla cerchia di amici con cui ha convissuto la maggior parte degli anni di asilo?”

In rete si trovano interessanti discussioni di genitori indecisi e turbati da questa scelta, tra tanti consigli e indicazioni è facile anche imbattersi in quelli che, in maniera del tutto spontanea, si affidano alla fortuna. Come in tante cose anche qui ci vuole fortuna, uno può diventar matto a scegliere fra tante quella giusta ma se poi quell'anno cambia qualcosa, ecco che tutto diventa vano.  
Basta pochissimo per cambiare le carte in tavola, tutto sembra perfetto e poi alla fine può arrivare un trasferimento, una malattia della migliore insegnante, un bambino con disturbo oppositivo provocatorio appena arrivato in quartiere. Variabili infinite che non possiamo prevedere ma che nel risultato finale possono pesare come il masso di Sisifo. Oggi su la Repubblica di Bologna si parla proprio di questo, di come all'appello da stradario manchino delle iscrizioni e della possibilità che queste siano state fatte nel privato. Una guerra, quella fra i due fronti fortemente sbilanciata da un lato. L'unica cosa sicura, come dimostrano i dati (spiegati molto bene qui) è che iscrivere il proprio figlio alla scuola privata non garantisce eccellenza, anzi, secondo le tanto osannate statistiche dimostra tutto il contrario. 
Come non serve essere degli esperti di vino per conoscere l'importanza della probabilità in ogni annata, così nella scuola di tutti non serve andare contro il principio di base che la rende profondamente democratica: elargire fortune e disgrazie senza guardare in faccia nessuno, tanto meno se ti spetta di stradario!

mercoledì 23 febbraio 2011

Signore e signori: il welfare è servito

Ieri sera alla casa delle culture di Casalecchio abbiamo passato una serata intensa, piacevole e ricca di spunti di riflessione profondi. L'incontro era uno dei tanti organizzati in occasione del 150° anniversario dell'unità d'Italia, ma i canali che abbiamo sentito aprirsi in quell'intima lezione di storia e umanità, necessitano di maggiori energie e attenzioni per essere trattati come meritano. Prommetto di farlo (di provarci, dai) nei prossimi giorni, anche se sarà dura ricreare l'intima atmosfera che ci ha avvolto.
Ma sto divagando.
Mentre si aspettava di entrare nella sala, gironzolavo per l'ingresso della casa, un ampio salone ricco di punti in cui fermarsi a leggere, perfetta anticamera di una biblioteca. Uno sguardo a riviste di vario genere (di quelle senza tette o culi a lampeggiare in copertina, per intenderci) e l'occhio cade sui volantini del punto informazioni. 
Un panda dagli occhi sbarrati, un particolare pericolo di crollo precedevano il titolo di questo articolo, in cui vengono trattati i tagli ai servizi di welfare che, in questa cittadina alle porte di Bologna così ricca di iniziative culturali e sociali, vengono fatti con la solita cieca, gretta, supponente ignoranza da politicanti con gli occhi incapaci di superare le punte dei piedi. Dei propri. Figuriamoci quelli degli altri.
Cosa succede?
Succede che i colpi d'accetta che il governo sta tirando a destra e a manca a servizi a dir poco fondamentali, cominciano a farsi sentire in modo sempre più pesante sui vari territori. Qua a Bologna si prova a tirar la cinghia, ma i primi segni di cedimento cominciano ad esserci. Negli ultimi anni non poche cooperative sociali, fino a pochi anni fa non troppo grandi ma ben salde, rischiano di chiudere o lo hanno già fatto e non tutti i posti di lavoro e servizi garantiti alle varie utenze sono riusciti ad essere confermati.
Da educatore, sono sempre più consapevole dell'enorme valore umano, ma anche economico, che determinati servizi possono portare, sia nel breve che nel lungo periodo (qua un piccolo esempio inglese) e rimango basito nel constatare come certi cazzoni che dovrebbero garantire il buon governo, o perlomeno la buona amministrazione, non riescano a ficcarselo nella zucca. Ma tanto, il welfare mica si mangia...
Ma sto divagando ancora.
La questione importante è che a Casalecchio di Reno sono stati fatti dei tagli consistenti su servizi legati a minori ed handicap. Perciò, non solo una ventina di persone rischierà di rimanere senza lavoro (eeeeh, la crisi...) ma un territorio viene inaridito di quelle attività che permettono un maggior sviluppo del benessere sociale senza consultazioni di alcun genere.
Fortunatamente le educatrici ed educatori della zona si sono organizzati ed hanno cominciato a resistere, a far sentire la propria voca. A informare le tantissime famiglie che si ritroveranno ad un tratto nella merda. 
Non è una cosa da poco, visto quanto sia difficile per chi svolge questo tipo di lavoro (così sparso e frammentato sul territorio e così privo di vaste occasioni di scambio) organizzarsi in maniera consistente. Queste ragazzi e ragazze l'hanno fatto, stanno tentando una mobilitazione che non riguarda solo il loro posto di lavoro ma la comunità stessa.
Ricopio qua sotto il volantino ed i contatti, è un po' lungo e dice cose in parte già esposte ma merita comunque di essere letto con molta attenzione. Per chi fosse interessato ad approfondire la questione, qui il blog che si occupa degli aggiornamenti delle situazioni che riguardano il territorio.

Siamo educatori ed educatrici, operatori ed operatrici impegnati nei Servizi dei comuni del distretto di Casalecchio. Ci occupiamo del disagio sociale, da quello minorile all'handicap. Significa che ogni giorno affrontiamo situazioni di devianza, di povertà, di disagio, di abbandono sociale, di emarinazione, nelle scuole, nei centri giovanili e sul territorio.
Però i Comuni del Distretto e l'ASC Insieme hanno deciso  senza fare tanta pubblicità, e senza alcuna discussione con gli attori dei servizi sociali, di tagliare su importanti aree come i minori e l'handicap. Una somma che per l'anno 2011 sarà sicuramente superiore al 1.500.000 euro e chemetterà in pericolo posti di lavoro (si stimano almeno 15-20 esuberi) e rischierà di azzerare 20 anni di esperienze di lavoro sociale ed educativo sul territorio.

Un tagliodi questo genere vuol dire decine di migliaia di ore di lavoro in meno in un anno sugli alunni disabili nelle scuole, togliendo loro un'ulteriore opportunità di integrazione sociale.
Significa privare un territorio come quello di Casalecchio e dei comuni limitrofi di opportunità aggregative positive ed educative, aumentando il rischio di situazioni dannose per la cittadinanza, incrementando il rischio di atti vandalici e di microcriminalità. 
Vuol dire espellere dal mondo del lavoro un numero significativo di operatori sociali, con la loro professionalità e l'esperienza così importanti per la comunità ma così poco spendibili su altri terreni lavorativi.
Politici e dirigenti hanno preso questa decisione in modo verticistico sulla testa dei lavoratori e dei cittadini senza consultarsi né con gli uni né con gli altri. Senza dare parola a chi quei servizi li vive, ne usufruisce o contribuisce a farli funzionare quotidianamente.

Esprimiamo il chiaro rifuto ad ogni tipo di taglio e licenziamento, soprattutto nella misura in cui non si fa nessuno sforzo per ridurre gli sprechi, a partire dai salari dei dirigenti degli enti.

Pensiamo che i tagli al nostro settore oltre ad essere ingiusti per i lavoratori che perderanno il lavoro e per i cittadini a cui saranno tolti importanti servizi socio-sanitari, siano una misura antieconomica: molti dei servizi che si vogliono tagliare sono di prevenzione e dai costi abbastanza contenuti, che sono però in grado di evitare molti invii in comunità terapeutiche molto più costosi e sempre a carico delle amministrazioni sociali.

Pensiamo che se i servizi debbono essere ripensati, ciò non può avvenire senza consultare chi quei servizi contribuisce a farli funzionare.

Chiediamo ai cittadini, genitori, colleghi e associazioni di mobilitarsi: non si tratta di un semplice attacco ad una categoria di lavoratori, ma della messa in discussione di un sistema di welfare che è un diritto di tutta la cittadinanza.

Contattateci:

lunedì 21 febbraio 2011

Incontri di una notte di mezzo inverno

    Certe sere, fuori dai portici, la città pare diversa, scostata di qualche grado dalla sua normale staticità. Accade poco dopo il tramonto, nel breve periodo in cui si veste a sera. Per abitudine, d'estate, dura un attimo, o anche meno. Un battito di ciglia collettivo e tutto ritorna ben saldo al proprio posto.
    In inverno, invece, capita di coglierla più impreparata, quasi svogliata. Rallentata dal fumo di Londra che ne offusca i profili. Sono le sere in cui il sole svanisce all'improvviso, sprofonda, e un passo cominciato al calore del sole si conclude nella più torbida atmosfera serale.
    Non si tratta di nebbia, né dell'umida laconicità che contraddistingue queste rosse strade stanche.
    È un'uscita dall'asse. Il timido accenno all'esorbitanza.
    Coglie impreparati e impreparati lascia.
    Tra le luci del centro, tra gli offuscamenti che impasta ogni portico ed ogni mattone in un'unica amalgama sorda al concetto di dimensionalità, come granelli di polvere senza meta, capita di diventarne ingredienti improvvisi e finirci nel mezzo.
    Non è facile accorgersene nella frenesia che ci fa rimbalzare a capo chino da un luogo all'altro della città. Basterebbe alzare la testa, verso le sfumature agli angoli.     Sedersi nel mezzo, respirarne l'entropia, gustarne gli incontri.

    Non avevo mai creduto a questo fenomeno di cui pare impossibile rintracciare fonti o testimonianze.
    Ne sentii parlare per la prima volta durante l'ora di tecnologia, alle medie, ma non gli diedi molta importanza. Nessuno di noi gliene dava, a quei tempi. Facevamo casino e pensavamo a dare una parvenza di senso al casino in cui stavamo mutando. Difficile dare ascolto a se stessi nel crescente shock da ormoni in cui ci eravamo tuffati a bomba, figurarsi a quel semisconosciuto incravattato, tarchiato ed unticcio, che tentava di conquistarci con una storiella buona per un b-movie a basso costo. Lo ascoltai, è vero, ma con mezzo lobo frontale mal sintonizzato, autostrada per l’oblio di qualsiasi nozione, tornando dopo poco alle ennesime, ulteriori macerie della mia tavola.
    Anni dopo, mi capitò di leggerne in biblioteca su "Bologna esoterica - Miti, leggende e spiriti di una città", tomo polveroso, pescato più per noia che per vero interesse. Quel poco di ricordi a cui avevo concesso di rimanere in memoria si riattivò all’istante insieme alla molestia pruriginosa di una curiosità che non ho più potuto grattar via, non avendolo più ritrovato in nessun altro catalogo.  La mia lista di aneddoti era perciò costretta a rimanere semivuota e scarna, inappagata come la fame del tarlo che con insistenza mi rovistava la testa.
    Negli ultimi tredici anni mi sono imbattuto in questa storiella da falò estivo solo queste due volte, fino alla sera in cui, annaspando nell’umido gelo bolognese, mi ci sono ritrovato intrappolato per cinque, interminabili minuti.

    I lampioni si erano appena riscaldati, aumentando la loro calda intensità arancione un poco per volta. La serata era tra le più bastarde in cui si possa capitare: abbastanza fredda e abbastanza umida da non permettere di completare due metri senza ritrovarsi a tremare con uno strato di brina su tutto il corpo. Piantato nei pochi millimetri che lo separano dai vestiti. Non c'è giacca o maglione che tenga, in gennaio, davanti a questo muro di polvere liquida. S’intrufola ovunque, inesorabile, e comincia a scavare gallerie verso ogni residuo di calore, lavorandosi qualsiasi interstizio con la ferocia di una radice in cerca d’acqua; una lama lenta e continua, metodica nel tranciar via ogni grado residuo.
    Eppure la città rimane affollata, dalla prima periferia al cuore del centro.
    Stavo attraversandola per la secante che comincia in via Borgo di San Pietro e termina a Porta San Vitale, passando in mezzo a studenti, spacciatori e residenti che riempiono le distese della zona universitaria. Lanciato su via Petroni nell’inevitabile slalom tra cani con padroni legati al guinzaglio, vampate di gelo spruzzate di tepori d'olio stantio, pizze e qualsiasi altra cosa possa essere inondata dalla chimica delle salsine contemporanee, cappotti di pregio, giacche consunte avvolte in nuvole di fumo e smog, con l’inesauribile impasto di lingue, accenti e dialetti come colonna sonora, ero insolitamente in anticipo; non di molto però. Fresco di fumetteria, puntavo le prime panchine di piazza Aldrovandi, per far passare il tempo tra le pagine di un manga sotto l'illusione di un cono di tepore giallo.
    Varcavo il portico nel momento in cui ogni riflesso di sole svanisce, quando ho sentito lo strappo. Catapultato oltre il rosso dei tetti e piombato sotto strati di vecchie strade. Nel mezzo, quel qualcosa di me rimasto. Esorbitavo, strisciavo e camminavo, quasi estatico, finendo di tagliare l'incrocio in una trinità di percezioni con ben poco di sacro. Un breve turbinio di forme e colori dalle tinte umide e tutto era di nuovo al suo posto, ma in una prospettiva più sbiadita e malsana.
    L'edicola, un attimo prima aperta e affollata, sprangata; il disegno dei Peanuts che da anni ne decora la saracinesca, corroso da una ruggine viva; il sorriso di Snoopy e Charlie sfigurato in ghigni colmi di odio e disperazione, nel mezzo i resti di un Woodstock appena sceso dal ponte dello Skrik. Poco avanti, una bici, con sopra un essere appollaiato in equilibrio precario. Esile, scattante, contenuto in tessuti di vario genere, lanciava anatemi e premonizioni in una cascata di capriole lessicali.
    Ce n’era per tutti: farmaci (generici e non), loro usi ed abusi che i disturbi del cuore sono sopravvalutati senzacontareche il Clonazepam per l’ansia non c’è più se lo cerchi, soloper le scariche elettriche delli bambini; complotti delli padroni i ppolitici e scalzacani chesecondovoi dove lo imparano ad essere tanto stronzi che neanche alle scuole private per poi deragliare sull’indifferenza mostrata dalla popolazione tutta verso suoi genitori che virendeteconto se non era per loro inla terza media, di ieri e di oggi, in cui si erano battuti con le unghie e con i denti, ce la sognavamo l’istruzione pubblica oggi col cazzo celalascianopiù. Parole rugginose franavano dal megafono artigliato per spegnersi nella bruma. Tutto ciò nei cinque o sei passi con cui gli ero giunto accanto (perlomeno il me nel mezzo, gli altri continuavano a mandarmi riflessi estatici appena percettibili), in cui buona parte dei cancri sociali erano stati analizzati, rimescolati e scagliati con lacerata sofferenza contro l’indifferenza della piazza e della città intera.
    Il tempo di metterlo a fuoco ed era partito alla volta della grande piazza, lasciandomi appena un’immagine sbiadita sopra la retina.
    La carezza di una lacrima sulla guancia scavata, un lento bacio d’addio e la scomposizione nel gelido vapore sottostante.
   
    Altri pochi passi ed ero seduto. La testa immersa in battaglie e mondi non così paralleli come potrebbe sembrare ad occhi di passaggio. Gli altri due me, altrettanto rapiti. Da cosa, non so. Quasi non avevamo registrato il figuro alla nostra destra.
    – Posso sedermi? – chiede in un mezzo grugnito.
    Un rapido sorriso cieco d’assenso e lo avevo affianco. L’odore di tabacco appena acceso a confermarlo. Della disponibilità delle altre panchine nemmeno un’idea, preso com’ero dagli equilibri di chine che davano vita ai personaggi impressi su carta. Dieci pagine, un’occhiata al telefono, meglio evitare fastidiosi ritardi. Galoppando a ritmo sincopato verso la fine dell’albo, macinando pagine su pagine, analizzando ipnotizzato ogni immagine. Un piccolo cinema cartaceo tra le mani.
    Fermo immagine, fast forward. Fermo immagine, fast forward.
    Tra contemplazione e abbuffata bulimica.
    Rewind di riepilogo, poi via di corsa verso la fine di ogni capitolo.
     Ancora quattro minuti. La riunione dei capi di stato salta, intrusi al palazzo, sete di vendetta di un Uchiha divorato dall’odio. Meno di tre minuti. Esplosioni, fiamme nere, intere pareti sbriciolate da chakra incalcolabili, difese assolute contro furori fulminei. Un crescendo frenetico, fino al consueto finale spezzato, da completare in poco più di un minuto. Pagina perpendicolare all’albo nel clou dell’azione, e una mano gelida cala sulla giacca, spezzando ritmo narrativo, incendiando pagine rimanenti, oscurando ogni cosa oltre il cono di luce.
    In mano, resti di cenere.
    Sul braccio, la fredda ustione della mano posata – 'cazzo ha fatto a penetrare i vestiti?
    Il culo, inchiodato sul legno.
    La vescica, pronta a mollare.
    Giro la testa verso l’uomo – abnorme, felpa blu scuro su pelle chiazzata, ciuffi di barba su guance rigonfie, occhi acquosi spalancati oltremodo –  mi guarda con attenzione appannata, mantenendo il braccio dalla morsa di gelo.
    Lo fisso, provando a stiracchiare un sorriso, senza capire se siano dei baffi quelli tra naso e bocca. Chiude gli occhi, in verticale e in orizzontale. Dall’alto ne vedo i movimenti sulla schiena, un ribollire di tumori maligni; dal basso miasmi verdi a sfaldarne gli scarponi. Con fare allucinato, comincia a parlare, sporgendosi. Nessun suono. E le labbra violacee non trovano pace. Vedo il marciume di denti, gola e tessuti, il crescente gorgoglio che ne intasa l'esofago. Si sporge, quasi mi sfiora. Nemmeno mi accorgo di non sentire traccia di odori, né dagli strati straziati del corpo, né dalle suppurazioni della bocca. Non un odore. Di marcio, di acido. Nemmeno di smog. Ma ci farò caso dopo. Dalle tenebre si alza un turbinio d’ombre deformi e affilate.
    Urlo. 
    Da sopra e sotto. Dal centro. È inevitabile.
    Uno squarcio di gola, scudo d’aria teso verso la bocca dilaniata dell’essere che mi sovrasta, mentre ogni cosa intorno comincia a tremate e a spaccarsi. Do il via liberi agli sfinteri, strana ultima volontà, quando le mie due lacerazioni si risbattono al proprio posto e anche il cono si spegne.
     
    – Oh, mi senti? Li vedi quei due là?
    Una voce rasposa, un tocco ruvido ma umano e sono di nuovo in me. Guardo attorno, Piazza Aldrovandi è tornata al suo posto.
    In mano, il fumetto.
    Sul braccio, fredda condensa.
    Il culo, sul legno, ma libero.
    Vescica, sotto controllo.
    Giro la testa verso l’uomo - grosso, vecchio giaccone scuro su sporcizia d’annata, barba incolta su guance rotonde, occhi spenti ma fissi - che mi guarda con allucinata insofferenza e ripete, accompagnandosi con l’accenno di un gesto svogliato:
    – Li vedi quei due là?
    Porto lo sguardo ai chioschi antistanti al portico. Ombre agitate nella notte. Ombre antropomorfe. Rallento il mio tremare mentre la sua voce riparte, senza aspettare risposta.
    – Tra due minuti si picchiano, tal deg mè, e va bene se non si ammazzano che magari tirano fuori il coltello, magari.
    Studio la bocca: pastosa, nella norma.
    Mi guarda con insistenza, riuscendo ad allargare ancor di più gli occhi; aggiunge esasperato:  – Storia di droga, capisc? Di soldi ed eroina. Bisogna fare qualcosa.
    Ci fissiamo, soffia un po' d'aria e aggiunge, serissimo, accennando al telefono accanto: – Hai qualche moneta?
    – No, mi spiace. Neanche un centesimo, finite per questo.
    Scuoto appena il manga, a conferma. E, sembrerà strano, non è neanche una cazzata, la mia.
    – Nel cellulare? – sbuffa ieratico, aggiungendo, davanti al mio silenzio – Sono un infiltrato, non mi posso bruciare. Devo chiamare in centrale altrimenti finisce in strage, capisc? Non mi posso bruciare, ma rischiamo un lago di sangue!
    C’è ansia nella sua voce, un'urgenza irrimandabile che ne dilata ancor più lo sguardo.
    A questo punto sta a me. Prendere una decisione. Che fare? Dar fiducia all’aspetto o al tono? Sono entrambi carichi di credenziali e le zanne di poco fa ancora non se ne vanno dagli occhi. Che cazzo succede stasera? Mi sarò mica abbioccato all’aperto, con ‘sto freddo? Quali sono pure i cinque segni dell’ictus? Ma non posso mica alzare un braccio e tentare un sorriso, che poi mi sa che l’ho fatto poco fa, di fianco a sto tizio. Se è un pulotto rischio di farmi fermare per aver ostacolato un indagine o scarso impegno civico  o ssòccazzo e ormai è ora di andare che sono le sette meno cinque, se è un tossico di zona rischio di farlo incazzare tipo ma mi prendi per il culo? e una rissa mò che devo andare non mi pare il caso. Ma se è un pulotto perché non c’ha il telefono, anche scassato, può entrare anche al bar, chi vuoi che ti veda. Va là, è un tossico che c’ha provato, col cazzo che tiro fuori il telefono, guarda se è grosso, come Filippo, il mio vecchio capo scout, che quello mica li tirava leggeri i cartoni, anche per gioco e di sentire come li tira ‘sto qui, per un telefono di merda, non ce ne ho voglia. Che poi, dai, un infiltrato non può essere così malridotto, guarda qua, però cazzo che sguardo serio, manco il prof di latino mi guardava così.
    – Mi spiace ma son senza un euro anche lì. Lo uso per ricevere – bofonchio. Certo che, così grosso, potrebbe anche esserlo un infiltrato.
    Di colpo si agita, si guarda intorno, smarrito, comincia un monologo su come può fare, che qua finisce male, lanciandomi occhiate sempre più ostili che non promettono nulla di buono.
    Mò come faccio ad alzarmi che magari o mi arresta o mi salta addosso per rapinarmi e ancora un po’ e faccio tardi? Cazzo di situazione di merda. Di serata di merda, che se poi ci ripenso era così reale che… ma no ma no, pensa a qualcosa per alzarti che fa un freddo boia e manca meno di un minuto e fai tardi. Sì ma se è un infiltrato allora i due là stavano a litigare davvero per la droga e con una chiamata potevo evitare un casino. Ma se non lo è lo rischio io il casino. Merda. Si può essere più boccaloni? Vabbè, ‘ssene frega, mò devo andare che è tardi. Sia quel che sia al massimo chiamo fra un po’.
    Mi giro e, imbarazzato, dico: – Senti, adesso devo andare a casa di uno, e lì il telefono c’è. Posso chiamare da lì, che ne pensi? – nel mentre chiudo lo zaino e mi alzo, non si sa mai.
    Io tipo si blocca, sgrana gli occhi e, tra l’ansioso e l’astioso, mi fa segno di muovermi. In fretta.
    – Sì, sì, basta che ti sbrighi e li mandi subito capito? Che sennò finisce male qui! Vai, muoviti!!! Non c’è tempo!!! – sbraita con voce carica d’odio smanacciandomi via.
    Già gli do le spalle, a passo spedito sui sanpietrini, per stasera di casini ne ho visti abbastanza. In testa un nuovo tarlo. Chiamo o non chiamo? Che cazzo di situazione… Sono quasi sotto il portico, semaforo ancora rosso, continuo a tormentarmi. Che di avere sulla cosienza una storia del genere non mi va proprio per niente. E se poi è una fregnaccia?
    – Mi raccomando, Piazza Galvani!!!
    Appunto.

martedì 15 febbraio 2011

Controinsurrezioni di oggi e di ieri

Aria di inssurezione, di reazione e assestamenti vari.
Il vento che alimenta i fuochi del mediterraneo soffia con violenza verso est, dal Nordafrica al Medioriente. Rabbia, speranza, prese di coscienza e di posizione si miscelano e scendono per strada. Un vero e proprio tsunami che pare non trovar barriere, un uragano stufo della solita aria più marcescente che viziata. 

E qua da noi? Che aria tira dentro il vecchio stivale, in cui solo le priapiche vicissitudini del nanetto di gomma sembrano dare il via a splendide mobilitazioni dall'eco ridotta? Confermata la notizia riempischermi, intasablogerubriche dell'inizio dell'ennesimo processo, che alcuni chiameranno del secolo, ma a ben guardare non è altro che l'inizio dell'ennesimo giro di boa dai risvolti lugubri, qua nello stivale ci ritroviamo sommersi da polveri e macerie sempre più consistenti e perfino organizzare i festeggiamenti per il 150° anniversario dell'unità d'Italia diventa difficile (se fai il politicante per professione o non ti chiami Enrico Brizzi).

In un periodo come questo è perciò importante fare tesoro di piccole perle come questo libro, scritto a quattro mani da Evangelisti e Moresco. Una rapidissima rassegna, tra polveri da sparo, sangue, occhi colmi di ideali ed etica ad alta intensità, e lo spargimento di semi di vario genere in fiumane di morti presenti e future.
Dall'aria satura, a malapena respirabile degli ultimi giorni della Repubblica Romana, al frenetico alternarsi di poesia e lirica, di imboscate cilentine e gelide guerre moderne, con una carrellata finale implacabile ed in ordine sparso sul nostro presente, futuro e passato prossimo (il trattamento riservato a Leopardi odora terribilmente dei fatti riguardanti il recente #rogodilibri) che troppo spesso ci limitiamo a commentare, più o meno indignati, incastrati sulle nostre poltrone di metallo o davanti a schermi zeppi di vuoto a rapido decadimento.
Un piccolo, grandissimo, memento sulla nostra storia recente (150 anni non son poi così tanti, dai) e sui luoghi e moti da cui veniamo. Una lettura fondamentale e brillante per ricordarsi che stare troppo a lungo seduti comodi, tenendo il culo al di fuori di ogni concezione di strada e realtà circostante, porta ad orrori che non si dovrebbero ripetere e continuano a tornare con implacabile regolarità. Ad insurrezioni e controinsurrezioni che è bene non smettere mai voler decifrare. 
Tenendo bene a mente che il momento giusto per fare ogni cosa è l'adesso. Sempre e comunque.
Se non ora, quando? tanto per restare in tema.

domenica 6 febbraio 2011

Ramponi arrugginiti e scodella di latta: il mio nome è Wolfe


Nel 1939 un miliardario americano di nome Dudley Wolfe, appassionato di viaggi e natura, partì dal Maine alla volta del K2, la seconda vetta più alta della terra, deciso a diventare il primo uomo a scalarne la vetta. Tanti furono i tentativi falliti; a partire dai primi del Novecento questa montagna, straordinaria e terribile insieme, cominciò ad attirare la curiosità di impavidi e coraggiosi, determinati a raggiungere una dei tetti più ambiti del mondo. Con la sua altezza di 8611 m s.l.m, si dice sia la seconda scalata con il più alto tasso di mortalità: ogni 4 apinisti che scalano, 1 muore. La Montagna Selvaggia, inospitale e burbera verso l'uomo, ha pareti troppo ripide e ghiacciate e non possiede punti ideali ad un ristoratore bivacco. Vi sono diverse vie di ascensione, tutte accumunate nella difficoltà della ripida pendenza. La spedizione di Wolfe fu una delle prime a raggiungere e toccare i 7500 metri; nonostante l'età e l'inesperienza, questo ricco miliardario insieme a Fritz Wiessner e a tre sherpa, decise di attaccare la vetta fino allo stremo delle sue forze. Il libro della scrittrice-giornalista Jennifer Jordan ripercorre dall'inizio la storia di questa spedizione con una ricostruzione abbastanza dettagliata dei fatti che la caratterizzarono. Una storia molto complessa che affascina nel contrasto forte di dicotomie che si creano dalle prime pagine fino alla fine del libro. Dai più caldi e lussuosi salotti europei alle vie ghiacciate e inviolabili del K2, la storia si snoda a partire dal ritrovamento che, 63 anni dopo, l'autrice farà dei resti di Wolfe trascinato ai piedi della montagna in mezzo ad una distesa di detriti. 
...frammenti di tessuto,stringhe di cuoio, corde di canapa, ramponi arrugginiti, un piatto e una scodella di latta, anche il bruciatore di un vecchio fornello Primus. Poi i miei occhi caddero su qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi lì insieme alle rocce e ai detriti...
In mezzo ai resti che chiaramente l'autrice percepisce appartenere ad un epoca lontana è il ritrovamento di un piccolo frammento di osso a  metter luce sul misterioso accumulo custodito nel ghiacciaio. Una moffola di pelle e stoffa, consumata, sgualcita, attraversata dal tempo riporta chiare le lettere di un nome. Wolfe. 
Qui giace, Wolfe!

Il libro "La scalata impossibile" offre una ricostruzione abbastanza imparziale della spedizione rimasta per anni al centro di importanti dibattiti. Al lettore è lasciata la possibilità di riflettere su quelli che sono gli equilibri umani che si giocano in vetta. Lettura densa di dettagli, a tratti giornalistica a tratti romanzata, uno sguardo femminile che pone un accento particolare alla storia di Wolfe per rompere la falsa idea, lanciata dai superstiti della sua inettitudine davanti alla vertigine dell'altezza.
La traduzione italiana del titolo a mio giudizio non rende giustizia alla storia, non si tratta di una scalata impossibile perchè Dudley arrivò comunque ad un'altezza considerevole. A conti fatti si potrebbe parlare di una discesa impossibile o resa impossibile ed il titolo originale The Last man on the mountain - the death of  an American Adventurer on K2 sembra sottolineare proprio questa condizione. L'ultimo uomo rimasto a sorvegliare la montagna, a 7500 metri, avvolto in un sacco a pelo di sherpa, troppo piccolo  per avvolgerlo nel silenzio della grande montagna selvaggia.

venerdì 4 febbraio 2011

"Drood" di Dan Simmons

Quando qualcosa (che sia libro, film o qualsivoglia altra forma espressiva) viene pubblicizzato all'eccesso, come straordinaria rivelazione, c'è sempre il rischio che, sotto sotto, non rispetti le aspettative che le strombazzate varie creano in chi vi si accosta.
Il discorso non vale per questo libro. Almeno in parte.
Se da un lato il romanzo pulsa di vita propria e di uno stile narrativo che ben si confà allo svolgimento della storia, dall'altro proprio quest'ultimo tende a farsi un po' macchinoso in certi tratti, appesantendo una lettura altrimenti piacevole (è pur vero che lo stile utilizzato deve rifarsi a quello ottocentesco ma alla lunga, c'è il rischio di stancarsi). Ma andiamo con ordine.
Se si vuole leggere questa storia si deve essere consapevoli che per prima cosa si tratta di un romanzo storico ambientato nella Londra vittoriana, seconda metà del XIX secolo. Per tutte le oltre ottocento pagine si frugano gli ultimi cinque anni di vita di Charles Dickens, l'Inimitabile,  tramite lo sguardo al contempo rancoroso e ammirato, di un oscurato da gotta, oppiacei e deliri più o meno mesmerici Wilkie Collins, suo contemporaneo scrittore/amico/rivale . Oltre a ciò è anche un thriller che compie evoluzioni funaboliche sull'limite dell'horror e un tentativo di soluzione al mistero incompiuto di Dickens, da cui il romanzo trae il titolo.
Eppure l'orrore non viene solamente dal personaggio misterioso (Drood) e dagli avvenimenti dall'aspetto paranormale che circondano lui e un narratore sempre più preda di cupe ossessioni e vuoti di memoria. L'orrore di questa storia, quello che come in molti romanzi dell'epoca buca letteralmente le pagine, deriva dalla minuziosa descrizione di luoghi, suoni ed odori dei più miseri vicoli e tuguri londinesi, così come delle condizioni di vita generali di solo un secolo e mezzo fa. Nel quarto capitolo Simmons si lancia in una descrizione del fetore di Londra in estate, delle sue fogne, dei suoi rifiuti, dei suoi cimiteri, da far accapponare la pelle. Cito un esempio:
Decine di migliaia di cittadini dormivano sotto i porticati o sui balconi, sperando nella pioggia. Ma quando finalmente arrivò, fu una specie di doccia calda che altro non fece se non aggiungere uno strato bagnato alla calura. Luglio si depositò sulla città, quell'estate, come una pesante e umida coltre di carne putrefatta.
Questo è solo un passaggio, ma per tutto lo scorrere della trama la violenza climatica e sensoriale della città si farà sentire senza dare tregua.
E non è l'unico particolare ottimamente ricostruito dall'autore. Tra le righe sono incastonati tantissimi richiami alle piccole abitudini dell'epoca (in particolare della medio-alta borghesia) che rendono il tutto un lavoro estremamente minuzioso e suggestivo.


Così come il carattere vulcanico di Dickens, i cui ultimi cinque anni di vita vengono descritti in modo magistrale. Abitudini, vezzi, orgoglio. Debolezze, manie, insofferenze e indifferenze. La ricostruzione dell'Inimitabile (termine con cui, ci viene detto, amava farsi chiamare) è frutto di un enorme lavoro di studio, come dimostra la bibliografia consultata dall'autore. E si vede.
Nonostante sia sempre descritto in terza persona e non monopolizzi ogni scena, la sua presenza è tale da riempire ogni interlinea. Un Dickens a fine carriera, sempre più cagionevole di salute, alle prese con gli strascichi del terribile incidente di cui si ritrovò protagonista nel 1865; lanciato nella sperimentazione di una nuova forma d'arte che miscela lettura, recitazione e mesmerismo. Talmente traboccante di vita da lanciarsi a testa bassa nella propria autodistruzione fisica. La descrizione che fuoriesce è a tuttotondo. Focalizzata sia sui tratti geniali del personaggio che su quelli più gretti e fastidiosi.
La descrizione delle varie persone che gli ruotarono intorno (amici, amante, familiari) permette ancor di più di immedesimarsi nel salto indietro nel tempo che Simmons ci concede.

E il mistero dietro a Drood?
Su questo non voglio troppo spoilerare. Per tutto il romanzo saremo portati a chiederci se tutto ciò che accade di macabro e paranormale sia frutto di creatività e pazzia, allucinazioni da oppio o di raccapricianti poteri conservati per millenni. O di un mix malsano di tutti questi ingredienti.
La figura di Drood, figuro senza età orribilmente sfregiato e in grado di valicare ogni confine, è inquietante e diabolica. Tormenta il narratore con ritmo incalzante, portando chi lege a dubitare di continuo su quale possa essere la sua reale essenza.
Quando viene rivelato, la spiegazione può apparire scontata, ma chi legge non deve mai dimenticare che a parlare è Wilkie Collins: scrittore, tossico, visionario. Ossessionato da Dickens e dal suo talento, umano oltre che letterario. Alla fine, è lui a strabordare più di tutti e a lasciare in chi non l'ha mai letto (come me) la curiosità di inoltrarsi in una sua storia.

E' una lettura che consiglio, più che per l'intreccio intorno a Drood (che rimane comunque gradevole) per la ricostruzione storica di Londra e per quella biografica dei due autori. Lo stire narrativo ondivago e ottocentesco, inoltre, procede verso la conclusione permettendosi salti temporali sulle vite di Dickens e Collins od ottime digressioni critiche sul corpus letterario degli stessi (alcune analisi degli stili o dei romanzi, per quanto wilkiezzate, sono estremamente profonde) che tranciano di netto scene tese e cariche di aspettative, lasciando chi legge ancor più impossibilitato a chiudere il libro.
L'unica pecca è la commistione di generi così marcata. Se da un lato permette, finita la lettura, di cogliere ancor più sfumature riguardo agli avvenimenti, ai personaggi e all'animo umano, dall'altro rischia di fare dallontanre chi si aspetti una lettura rapida e lineare.  
Drood è come le viscere di Londra, puzza prima di essere affascinante. Ci si deve muovere come nei più bui cunicoli del sottosuolo, senza fretta e con estrema attenzione per i particolari. Altrimenti si rischia di cadere o di non cogliore i svariati, piacevolissimi, aspetti che ne costellano ogni tratto.

Ancora influenza

Proprio quando sembra che l'infezione sia in fase regressiva, spuntano improvvisamente focolai anche dove il sistema immunitario pare più solido.