mercoledì 23 novembre 2011

Giusto per iniziare!

Il mercoledì è un giorno speciale per me, uscire da scuola alle 11:30 è un miracolo che raramente un'educatore incontra sulla sua strada soprattutto se ha un monte ore alto da spalmare su 5 giorni lavorativi. Tra le ore dirette sull'integrazione scolastica e quelle sui servizi integrativi quest'anno mi è toccato in sorte un bel pacchetto sostanzioso di 37 ore, per una media giornaliera di 6 ore minime passate fra i banchi. L'educatore alle prime armi avvertirà fastidi psichici e fisici a passare tante ore fra le mura scolastiche ma per noi abituè è un dettaglio assimilato, assorbito sia dalla parte fisica che da quella psicologica. Ai tic improvvisi, ai pruriti vertiginosi da orticaria da stress, ai movimenti spasmodici da contrazione muscolare e nervosa, oggi si  finisce per fare 8 ore filate senza avvertire il minimo sussulto come se lo stare a scuola fosse la cosa più naturale di questo mondo. Cosa fai nella vita? (qualcuno potrebbe aver la curiosità di domandare), nulla io vado a scuola! Dall'inizio dell'anno scolastico due educatrici nuove di zecca hanno abbandonato il servizio per accumulo di stress, qualcuno ha provato a dargli un etichetta, a definirlo nello specifico, BURNOUT, così lo chiamano questo stress un logoramento costante, un forte senso di delusione e di impotenza e alla fine il sentirsi bruciati. Esaurimento, affaticamento insomma voglia di staccare la spina e riposare. Burnout, suona "figo" altro che i soliti termini in italiano che finiscono sempre per -mento, poca fantasia nella descrizione meglio ricorrere all'inglese soprattutto se l'hai studiato in un libro e sei alle prime esperienze su campo: nessuno ti fila, per i maestri vali meno di zero, per i bambini non sei nessuno, per i bidelli come una mosca chiusa in un cesso ma se dici Burnout, cazzo, tutti si fermano, per un istante non sei più l'educatore sfigato sottopagato e sfruttato in cerca di avventure ma quello che HA STUDIATO, fermi tutti, sa di cosa parla, mastica qualcosa di psicologia, qualcosa di pedagogia, facciamolo parlare!! 
Così il tempo ti passa e cominci  a pensare che tutto sommato questo lavoro ti piace, nonostante lo stipendio sia di merda e che per averlo decente ci devi crepare in una scuola, tiri avanti senza batter ciglia. Le maestre si lamentano sempre delle loro 22 ore più programmazioni varie, si lamentano spudoratamente con te che sei lì dalle 7:30 del mattino, è la tua quinta ora, con un panino gommoso perchè la scuola ed il comune non ti pagano il pasto e devi pure trovar le parole per confortarle. Risulta difficile, difatti le parole si perdono per strada ed al posto di un po' di conforto esce un velo misero di Pietas cristiana: AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO... anche se un Vaffanculo calzerebbe a pennello, AMA queste maestre poichè NON SANNO QUELLO CHE DICONO! Fermo restando che ogni ruolo interno alla scuola ha delle difficoltà che non vanno sottovalutate o sottostimate e che non bisogna fare guerre fra "poveri" visto il clima generale delle cose, andiamo avanti, ritorniamo al punto di partenza. Finisco alle 11:30, corro a casa, in un secondo sono in tuta, cucino, mangio, rimetto in ordine, apro il pc, leggo il giornale, mi fermo. Passa un minuto, passano due minuti, son sempre ferma, la notizia è sensazionale mi rapisce. Sulla pagina odierna bolognese una notizia ci parla di una fantomatica donna che in nove anni è riuscita  a farla franca e a lavorare solo sei giorni. Certificati e maternità false, malattie e calamità naturali hanno tenuto questo personaggio da fantafavole per nove anni lontano dal suo posto di lavoro. Una domanda sorge spontanea: "E gli altri?" Cosa facevano i suoi colleghi/ghe mentre questa si inventava il mondo intero? Tutti ignari del colpaccio?
Ho provato per un momento a immaginare cosa accadesse se io non mi presentassi al lavoro, quanto margine avrei prima di esser sgamata, colta in fallo. Neanche riesco ad immaginarla tanto risulterebbe improbabile. Ore 7:30, tre educatrici su 60 bambini, se manca una nessuno se ne accorge, posso accumulare un'ora di sonno in più ma alle 8:30 suona la campanella ed entra il bambino autistico che seguo. Ammettiamo che la maestra contempli un mio possibile ritardo, lo farebbe accomodare al suo banco tenendolo sotto controllo, che non scappi dalla classe alla ricerca della sua educatrice. Potrebbe far passare un quarto d'ora in attesa, il bambino, tra una stereotipia e l'altra, cercherebbe di attirare i suoi compagni con comportamenti bizzarri mentre questi scrivendo la data sul quaderno ricorderebbero alla maestra che M. non può stare da solo. Dopo 10 minuti l'alunna più tranquilla andrebbe dal bidello a chiedere se ha notizie della sottoscritta. Non conoscendo il sistema delle sostituzioni alla maestra verrebbe il dubbio che l'educatrice si sia ammalata e che una sostituta sia stata convocata in ritardo. Il tempo passerebbe in attesa di veder spuntare qualcuno dalla porta principale ma non si supererebbe un arco temporale di due ore circa. La voce arriverebbe direttamente al preside. Immagino M. con in mano una mia foto staccata dal suo Pecs entrare in presidenza a reclamare la mia assenza. Lo immagino. ma non andrebbe così perchè rimarrebbe seduto ore ed ore immerso in stereotipie senza fine ma questo è un altro discorso. Ho stimato che potrei farla franca per 3/4 ore, non un minuto di più. Si attiverebbero i servizi investigativi e la Cooperativa mi sospenderebbe subito dall'incarico. Considerando che per formare bene un educatore sull'autismo ci vuole almeno un anno fra pratica e teoria, il danno, per l'utente in primis e per la scuola, sarebbe inestimabile. E' proprio vero, c'è chi può e chi non può, gli italiani si dividono proprio in due categorie ben distinte, se io fossi la signora di cui oggi tanto si parla, forse mi vergognerei un po'. Non tanto per non aver concluso nulla, lavorativamente parlando, in nove anni di vita ma perchè con i soldi rubati, in questo comune, ogni tanto attivano dei progetti ad Hoc per i bambini che gli sfigati sottopagati come me, accompagnano nel loro duro percorso. Sarebbe interessante mandare a casa della signora i costi che l'Ospedale o la Asl sostengono per mettere in piedi una diagnosi o un percorso di riabilitazione. Stamattina ad una seduta di Ippoterapia l'educatrice che segue il mio "utente" mi ha detto che non possono attivare percorsi che durino più di mezz'ora per i costi che la Asl deve sostenere. 
In tempi di tagli, viene da pensare, è già grazia del cielo che si riescano a fare certe attività ma se si recuperassero dagli sprechi forse qualche bambino in più potrebbe fare qualcosa di importante, ricordo che passare 8 ore a scuola per un bambino disabile è sfiancante. Anche se ci sono i compagni, le maestre, i bidelli, anche se abbiamo computer e giochi divertenti per far passare il tempo a volte basta davvero poco per rendergli una giornata speciale. Mi piacerebbe poter pubblicare a testimonianza di ciò la foto sorridente di M. che accarezza il suo cavallo, non posso farlo, accontentatevi di quello che dico, lui è il fortunato che è riuscito a rientrare nella lista dei bambini che possono usufruire del servizio. Pensate però a quanti verrà negata per mancanza di fondi,  mettiamoli uno vicino all'altro, una bella foto di gruppo da spedire alla signora dell'articolo con un bel ringraziamento. Giusto per iniziare!


 
 Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta Ventiquattromilapensierialsecondofluisconoinarrestabili Alimentando voglie e necessità Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m'aspetta  

mercoledì 9 novembre 2011

Cicloguida contromano di #Bologna (Incipit)

Torno a casa dopo l'ennesima pedalata tra strade sconnesse, fanali che squarciano il velo della sera, pedoni, altri ciclisti, ostacoli vari ed eventuali.
Mi è sempre piaciuto girare la città senza la spinta chimica di un carburante, si riesce spesso a scovare qualcosa di nuovo, ad imbattersi in situazioni o pensieri che difficilmente si toccherebbero dall'interno dell'abitacolo. Lo scorso anno, grazie anche ad un minor accavallamento di tempi e spostamenti, avevo usufruito maggiormente dei piedi (inoltre la dueruote stentava ad andar dritta oltre i due metri). Quest'anno la scelta è stata obbligata, così come il restyling della cavalcatura; quasi ogni giorno attraverso periferie e centro, con tutte le tonalità di luci ed ombre disponibili. E proprio dall'accorciarsi delle giornate, dal tempo a disposizione per riflettere che permette uno spostamento medio lento, ho cominciato ad osservare le dinamiche che riguardano i vari consumatori di viabilità e mi è tornato in mente un vecchio progetto nato dalle molte pedalate arrancanti dietro quel proiettile di domusorea: quello della guida contromano per ciclisti di Bologna.

Inizialmente l'idea era più un'occasione per ridere della capacità di domusorea di giungere a qualsiasi destinazione percorrendo abbondanti tratti di tragitto rigorosamente contromano, e con ampi margini di sicurezza. Nelle pedalate di questi mesi mi sono invece reso conto che l'archetipo abbondantemente materno che contraddistingue noi italiani e che ci porta a malsopportare le regole, a pretendere una pressocchè costante attenzione da parte del mondo circostante, con il diritto non cagar niente e nessuno se non per fini di desiderio personale e/o lamentela (non se ne abbiano le mamme e le donne, questo non è un attacco al loro modo d'essere, si parla d'archetipo, di forma universale d'essere e di porsi, in questo caso in una delle sue forme più degenerate) rende i vari spostamenti urbani potenzialmente molto pericolosi, per i diversi attori. Pedoni piantati in mezzo a strade e ciclabili, che spuntano da dietro gli autobus; ciclisti epifanici che zigzagano tra auto e persone, spesse volte mimetizzati tra le ombre rosso mattone dellà città, sprovvisti di luci e accessori vari, contromano perfino sulle proprie corsie; automobilisti con una sigretta in una mano, il cellulare nell'altra ed il volante lasciato al caso (così come il semaforo). Girare per Bologna mi fa tornare in mente un libro su Delhi in cui veniva spiegato come per le sue strade vigesse la legge del più grosso e gli incidenti fossero, inaspettatamente, non poi così comuni (forse anche grazie alla semplicità della logica delle precedenze ).

Fattostà che girare in bici per Bologna, anche a voler essere ciclisti ultraetici, non è mica facile! Negli ultimi anni sono stati fatti chilometri di piste ciclabili che chiamare ridicole sarebbe comunque imbarazzante. Nella maggior parte dei casi è bastato un secchio di vernice su marciapiedi  e stradine, e voilà! ecco la pista, con tanto di tombini sconnessi, lampioni e fermate del bus nel mezzo. In altri casi ci sono strutture anche adeguate, belle a vedersi, ma così belle da attirare il camminatore di turno (me compreso) a piazzarcisi per riflesso pavloviano nel mezzo, o messe comunque in posizioni (come in via della repubblica, di cui parleremo) per cui è stato necessario renderle anche pedonabili. In altri casi... ehm... vorrei tanto conoscere chi ha progettato tratti di piste nel o verso il nulla.
Non c'è niente da fare, il ciclista, a Bologna, è un soggetto debole e per niente tutelato (come espresso da @kappazeta con cui commentavamo l'ennesimo decesso cittadino) che, d'altra parte, fa però di tutto per diventare essere in via d'estinzione con un comportamento stradale medio che farebbe impallidire il più intrepido dei kamikaze.
Pedalando e pedalando sono giunto alla conclusione che per tutelarlo adeguatamente non basterebbero piste ciclabili al livello delle meraviglie di Rotterdam (vedi foto), non siamo ancora pronti per questo (anche se metterci alla prova fornendoci di un sistema adeguato sarebbe un bel punto da cui partire) e, nell'attesa che la coscienza sociale aumenti e la stronzaggine diminuisca, ho deciso d'inaugurare questa rubrica, in cui saranno segnalati i punti di Bologna in cui è più sicuro muoversi contromano, quelli in cui è pericoloso passare a prescindere dal senso di marcia, itinerari alternativi per spostarsi da vari punti d'interesse e piccoli consigli pratici, il tutto per riuscire a garantire spostamenti veloci ed al contempolontani dal sentirsi bersagli (invisibili) mobili.
Naturalemente qualsiasi consiglio o contributo è ben accetto.

lunedì 7 novembre 2011

Un po' di quel che #succedeascuola



E' dal 21 settembre che si ha la voglia di buttar giù due righe riguardo alla scuola, dopo le lotte per lo spezzatino servito freddo ai bolognesi (qui e qui), l'interminabile questione riguardo alle riforme di corsi, indirizzi e vicoli ciechi (di cui a mio parere la Gelmini altro non è che la punta maleodorante dell'iceberg) ed il ritorno in classe, versante sostegno, con i problemi dell'anno precedente cresciuti e moltiplicati (in particolare alle medie).
Dal 21 settembre dicevo, data in cui a questo tweet di @tigella 
 Se però su twitter ci sono insegnanti e studenti (e ce ne sono tanti) che hanno voglia di raccontare cosa , i problemi ecc...
rispondevano @Wu_Ming_foundt con quest'altro tweet ponte
. hanno un sacco di cose da raccontare
non per chissà quale titolo emerito da specialisti del versante scuola, ma per il semplice fatto che, se ci lavori dentro e sei a contatto con bambini, ragazzi, personale docente e non, ti ritrovi ad avere, perlomeno, una serie di aneddoti, di riflessioni o di spunti da condividere con le persone, per cercare di rompere un po' i pregiudizi, i miti e le chiacchere da statisti da bar che gravitano intorno a questo Partenone italiano.

Osservati i vari tweet dell' hastag [che, non so perchè, oggi si riducono a due (e qui @jumpinshark potrebbe essere di grande aiuto)] c'era abbastanza materiale per fare un articolo pomposotrombonescotemporaomores sui commenti che vi si trovavano. A metà tra l'agenda ed il libro umoristico, i problemi maggiori riportati, riguardavano la sfera affetti-profitto-gag irresistibili. Messi a tacere i borbottii da baffi a manubrio ci si sarebbe potuti fermare a riflettere sul perchè l'unica cosa che si aveva voglia di condividere fossero aforismi umoristici e strappa sorrisi, definibili con troppa facilità solo facebookiani. Un motivo ci sarà se l'attenzione/comunicazione su un social come twitter stenta ad andare oltre tali argomenti (oltre alla possibile poca visibilità dell'hastag). In realtà tutto ciò che veniva tweettato riguardava pienamente i problemi, ecc.che avevano incuriosito più di un mese fa @tigella e se il discorso non si è allargato, le tematiche/problematiche varie non si sono miscelate e arricchite vicendevolmente, la colpa non è certo di chi si sforza di trovare l'aneddoto più divertente e bizzarro, ma di chi, con un punto di vista altro, non partecipa al "fiume".

Questo post è perciò da ritenersi una sorta di megatweet dell'ultimo mese riguardo alla scuola, o giù di lì.
Perchè di cose a scuole ne succedono un bel po'. Ed anche riguardo questa parolina.
In terza elementare può succedere che, nel giorno in cui si studiano le parole con l'accento, la maestra inizi la lezione dicendo che la prima parola da impare è proprio
Mentre in una quarta di un quartiere ben più che caldo, per stimolare i bambini, il maestro s'inventa un gioco matematico tipo bisca, in cui lanciare i dadi sfidando l'avversario a moltiplicarli a colpo sicuro.
Succede anche che, l'anniversario della battaglia di porta Lame si portino i ragazzi di terza a conoscere uno dei partigiani che vi si batterono e che una buona fetta di presenti non solo si appelli al proprio diritto all'ignoranza ma pretenda di poter fare quel cazzo che gli pare. Ma poco prima di andare succede anche che uno dei ragazzi più problematici, oltre a non essersi perso una parola, prenda il microfono per domandare emozionato se avesse avuto paura di morire.
Succede poi che, passata l'estate, D. sia riuscita, con immensa fatica, ad imparare a scrivere e ad orientarsi tra numeri e lettere.
Capita anche di leggere di un'educatrice toscana trovata in overdose in bagno a un doposcuola (e si spera che la notizia non si espanda fino in Emilia, che sennò a fotterci definitivamente, noi educatori, ci vuole un attimo).
Succede che in un istituto comprensivo solitamente sul pezzo si abbiano handicap di serie A e di serie B, a seconda di quanto siano rompicazzo i genitori di un determinato bambino-classe-istituto e che il bambino di serie B si rirtrovi quasi totalmente privato delle ore di sostegno assegnategli.
Succede che per il terzo anno di fila, le maestre si rifiutino di fare uscite didattiche o gite (che ci pensino i genitori a portarli in giro) mentre in un altro plesso il bambino con la passione per draghi e dinosauri si ammali proprio il giorno prima della gita al museo di paleontologia (che consiglio caldamente a tutti).
Succede di veder volar sedie, insulti e gesti osceni, seguiti da occhi tristi terrorizzati dall'"effetto galera" dell'assistente sociale.
Succede che il motivo di maggior scazzo riguardi l'orario, che prof con 18 ore da svolgere pretendano di lavorare quattro giorni non più di quattr'ore al giorno... o che educatori rinfaccino ai prof di sostegno di fare meno ore, che non rompano il cazzo...
Succede anche di assistere ad una delle più belle lezioni di musica mai viste in anni di medie, e di ritrovarsi commossi in aula con l'ascolto delle arie scelte per far riconoscere i diversi toni di voce ai ragazzi.
Succede che A. cominci a mangiare di più, a rifugiarsi meno in battaglie di mostri spaziali, mentre un compagno di classe, passato dal Navile a S.Donato, scelga di dormire meno per rimanere coi vecchi compagni (8 anni).
Succede anche che un supplente si presenti in quinta e proponga un problema in cui se un contadino ha un campo di 6 km quadrati metà coltivato a grano e metà a mais in cui il mais cresce 7 quintali per km2 e si venda a 12 euro il chilo e il grano 10 per km2 e si venda a 15 (n.b. i numeri sono csuali, non li ricordo più) quanti anni ha il contadino? facendo impazzire i geni della classe lanciati in tentativi di soluzione improbabili e gratificando immensamente il "problematico" che risponde, unico della classe, scrivendo un secco "e io che cavolo ne so?"
Succede che non sempre la carta igienica ci sia e che alcuni bambini abbiano merendine costose ma non i fogli nel quaderno.
Succede di ritrovarsi il primo giorno di scuola con il personale ATA sul tetto e la scuola piena di ragazzi che sotto la scorza che tentano di mostrare hanno una paura fottuta di quello che li aspetta.

Succedono un sacco di altre cose che ora come ora non mi vengono in mente, ma di bisognerebbe parlare di continuo.