martedì 19 ottobre 2010

Pink Movement



Il mese di ottobre è il mese della prevenzione per la Campagna nastro Rosa che come ben sapete offre l'opportunità di essere accolte in oltre 390 Punti Prevenzione (ambulatori) LILT, dove lo staff medico sarà a totale disposizione per visite senologiche e controlli clinici strumentali.
Per conoscere giorni e orari di apertura dell’ambulatorio LILT più vicino, in cui effettuare anche esami di diagnosi precoce e controlli, si può chiamare il numero verde SOS LILT 800-998877 o consultare i siti www.nastrorosa.it o www.lilt.it dove saranno pubblicati anche gli eventi organizzati nel corso del mese nelle varie città italiane.

E' facile partecipare

Basta tingere per un giorno, esattamente oggi 18 ottobre 2010, il proprio blog di rosa e siccome N.I.E possiede per metà una bella quota rosa ecco l'interesse a diffondere questa iniziativa. Collegandosi al sito ww.mammafelice.it si può scegliere un banner da inserire nella vostra pagina oppure scegliere di dedicare un post a questa tematica.


Rosa, di palpitante materia,
come acqua che zampilla,
cuore di ninfea,
galleggiante,
semplice,
soffio,
tenero ed etereo,
cuore di ninfea,
come acqua che zampilla,
rosa,
di palpitante materia.

lunedì 18 ottobre 2010

"Espresso tales" (Semiotica, pub e altri piaceri) di Alexander McCall Smith

E' incredibile. Non si fa in tempo a leggere la trascinante discussione nata sul blog dei Wu Ming riguardo, tra le varie cose, gli aspetti che rendono una storia tossica o meno, e mi trovo davanti ad un romanzo che, almeno in parte stride con le varie proposte e affermazioni. Una delle prime affermazioni riguardava gli stereotipi e l'uso potenzialmente annichilente del loro uso nel creare personaggi, situazioni e storie "tossiche". Della necessità di una storia "rugosa", in cui affondare, da cui tirare fuori pezzi di cute nascosti e pieni di voci altre. Che non si fermino a ostentazioni di scrittura, al puro impatto emotiva ma che parlino e facciano parlare. E magari pensare (vabbè vado un po' a braccio, l'argomento è molto interessante e consiglio di cliccare sul link sovraposto, torniamo al libro).
Bene, questo libro riesce ad essere questo ed il suo esatto contrario.
Come nel precedente "44 Scotland street" l'autore ritorna alle vite di Bertie, Pat, Domenica, Angus, Big Lou e il resto degli strambi abitanti di una piccola zona di Edimburgo. Nel primo capitolo non succedeva niente, o quasi (tanto da scadere un pelo nel finale, appena appena ristagnante), ma era proprio il suo bello. In questo... non che accada molto di più ma con uno stile veramente squisito. In quasi ogni riga seguiamo la persona di turno con occhi quasi onniscenti, spostandoci anche di prospettiva, tra un paragrafo e l'altro (ed essere Cyril, il cane bevitore di birra che ama strizzare l'occhio alle ragazze e mordere con garbo le caviglie giuste è assai gradevole). Un microcosmo di storie, di piccole storie, che s'intrecciano tra loro, con le loro bizzare nevrosi (ma quali non lo sono?) e, a loro modo, finiscono.
Ognuna come ci si augurava. Più o meno.
Ecco, il finale consolatorio è un altro punto ritenuto in lizza per le storie "tossiche",vista la sua mancanza di spinta al cortocircuito, alla riflessione. In molti casi è vero e la lista di polpettoni di questo tipo buoni solo per concimare è fin troppo lunga. Eppure in questo caso non è così. Per prima cosa perchè la vita è lunga e l'autore lascia alcuni punti di sospensione su alcuni personaggi che permettono di perdonargli certi repentini cambi di direzione (in fondo, la loro durata sarà tutta da dimostrare).
In più, questo romanzo, è una vera e propria ode alla comunità, alle comunità di ogni tipo, invisibili da grandi distanze dalle lenti globalizzate ma "...ricche di posti piccoli, vicini, di racconti brevi e non di saghe...", "...di battute private, di espressioni intraducibili, di riferimenti che solo due o tre colgono... che parlano con tanta eloquenza dei posti piccoli e... sono il mondo, e contano quanto il mondo intero".
Tra le righe dello scorrere lento di una quotidianità costellata di diverse forme di solitudine, l'autore infila delle pieghe inaspettate, attimi dei riflessione tanto brevi quanto intensi che portano a rallentare, a tornare indietro e a ragionare. Almeno un poco.
Niente di starbiliante, per carità. Niente parnasi d'alta letteratura o robe simili.
Semplice scorrere e incrociarsi. Di persone. Di luoghi. Di persone di certi luoghi.
Leggendo viene da chiedersi quanto intorno a noi possa assomigliare a modo suo alla semplice vita che resiste alle brutture di un materialismo d'abitudine tanto ben decritta in queste pagine.
Nente di strabiliante, l'ho già detto, ma, chiusa l'ultima pagina, ci si trova più curiosi verso ciò che ci sta intorno, anche solo un vicino di casa o di strada.
Un'ode al concetto di comunità e ai suoi tesori nascosti.
Veramente bello.

Lo show è qui

Domenica di grande relax, possiamo sistemarci i capelli e vestirci bene e se siamo fortunati riusciamo ad entrare in qualche trasmissione lampo. Ti faccio bella per l'occasione che sembri una bambolina. Tutti escono felici, destinazione Avetrana, la casa dell'orrore che tutti devono vedere in questo luna-park del Reality molto trash e molto show. Non importa arricchire i contenuti, spiegare ai bambini cos'è accaduto, basta semplicemente partecipare. Il fioraio per l'occasione prepara bouquet fioriti che profumano di gigli appena colti. Via Grazia Deledda è un via vai di gente e telecamere, di flash e finte lacrime, tutto deve apparire per quello che è. La furia del mostro, le mani del mostro che toccano, strozzano, poi palpano e stuprano qui sono le mani del conte Dracula che per l'occasione si è vestito a festa. Poco importa immaginare il reale, il portone è chiuso e le urla della ragazzina sono soffocate. Nessuna madre per empatia e pietà disgiunta riesce a immaginare l'ampiezza di un ultimo rantolo verginale, anestesia totale, ghiaccio totale.
Mutiamo tutti, da un giorno all'altro, per lente e inconsapevoli evoluzioni, vinti da quella legge ineluttabile del tempo che oggi finisce di cancellare ciò che ieri aveva scritto nelle misteriose tavole del cuore umano
dice la scrittrice che da il nome alla via e verrebbe voglia di tornare indietro, di fare un salto temporale per arrivare al punto di partenza, proprio lì vicino al cuore. Ogni volta ci rimango male, ci metto un pò a capire che per molte persone il rispetto non è una virtù. Eppure non ci vuole molto a capire, a mettersi nei panni dell'altro. Non basta scrivere due righe e gettarle nel pozzo dove la ragazza è spirata, non valgono lucchetti dell'amore e scritte sui muri. Il turismo ha sempre effetti negativi sul territorio e se poi è un territorio povero fatto di stenti peggio ancora. Tutto è lecito per apparire, il Big Brother della famiglia italiana ha inizio qui, venghino venghino, c'è posto per tutto, figure composte:

nel nome del padre, del figlio, e dello Spirito Santo andate in pace, il Big Brother qui è finito.

Domani si ricomincia, pronti con il telecomando: Lo show è qui!!

mercoledì 13 ottobre 2010

Tg1, mon amour

Un mercoledì come tanti, dopo una
giornata di duro lavoro, in città sempre più avvolte dall'insicurezza (non economica, eh, quella è in ripresa, altro che i negativismi di Iacona), dallo smog (forse è ora di cambiare auto, ha già tre anni) e da un termometro sempre più umido e in picchiata si sente la necessità di una cena a maggior tasso calorico.
20:00 da poco passate, forchetta e coltello impugnati, doppio click sul telecomando e via, si può cominciare a mangiare in pace davanti al tg. L'uno, per precisione.
Un paio di minuti con tutti i sensi impegnati ad analizzare suoni, sapori, odori, colori, consistenza della cena e l'orecchio si sintonizza sulle notizie.
Numero uno: in una imprecista località marittima una coppietta, forse appartata per scambiarsi effusioni (aspetto non rilevante, scivolante in secondo, terzo, ultimo piano) viene fermata, minacciata, rapinata, violentata (lei) da un rumeno, di cui ci vengono subito mostrate le fattezze. Armati di coraggio i due l'hanno denunciato ed è stato beccato. Tiè, giustizia è fatta!
Numero due: da qualche parte in Italia un'altra ragazza è stata sequestrata, malmenata e violentata non da uno, non da due ma, udite udite, da ben tre rumeni per ore interminabili, finchè, lasciata libera di tornare a casa, ha fatto scattare la denuncia. Presi anche loro tre, le strade sono ancora più sicure.
Numero tre: aggiornamenti sulla ragazza andata in coma dopo il pugno ricevuto nel metrò di Roma. Una ragazza, guarda caso, rumena. Si parla, via citofono, con il giovane aggressore, incensurato, ma costretto ad una vita sulla strada. Ci spiega che lui non ha mai fatto male a nessuno, che il diverbio è nato, come altri accadutigli, per una questione di fila dal tabaccaio e che essendo lei stata molto insistente doveva per forza essere armata di peperoncino, coltello o pistola (chissà, forse la stessa usata dal connazionale del primo servizio?). In fondo noi telespettatori lo sappiamo, con 'sti rumeni non c'è mai da fidarsi, anche se potrebbero avere danni neurologici permanenti.
Quattro: aggiornamenti su Sara Scazzi. Lo zio s'è contraddetto. O parla al plurale maiestatis o nell'omicidio è coinvolta qualche altra persona. Sicuramente dei rumeni o dei rom, che tanto una vocale di differenza cosa conta.
Altre notizie: il pianeta non ce la fa più, ce ne servirebbero due, lo dice il WWF. L'ingordigia del mercato lo sta stuprando (come la ragazza di prima), lo sta mandando in un coma irreversibile. Non so gli altri telespettatori, ma io sono convinto che in qualche modo centrino anche in 'sta storia dei rumeni. Cazzo stan dietro ogni cosa! Così come nelle ordinanze comunali che vietano di dar da mangiare agli animali, anche se per legge non si potrebbero emanare. Ci saran sempre loro, bestie di strada dietro sto giro. Anche i rifugi per animali, ma a chi volete darla a bere? A proposito di bere, si parla di vino frizzante, ma solo dopo una carrellata pubblicitaria di prodotti e supermercati bio, così andiamo a spendere e magari ci scappa pure una monetina per chi ci aspetta fuori che sarà rumeno sicuramente. Così come quello, notizia dell'ultim'ora, che ha minacciato Bersani.
Un assedio, un' epidemia. Già mi chiedo come farò ad uscire di casa domani, a lasciare la macchina incustodita, ma che dico? la mia casa! Dovrò stare attento, molto attento. Evitare i contatti, ridurli all'osso. Mani in tasca, occhi a terra, comincerò a muovermi più veloce, rasente ai muri, non si sa mai.
Bene, è deciso. Mi sento già meglio. Posso tornare alla mia cena.
Fredda...
Maledetti rumeni.

[Nota: il Tg a cui questo brano si è ispirato è realmente andato in onda, poco fa, 13/10/10. La serie di notizie è stata montata in questa maniera sconcertante, calcando la mano su di un unico argomento, restringendo l'impatto dei seguenti, ambiente in primis. E' sempre bello constatare la salute della nostra informazione.]

lunedì 11 ottobre 2010

"Niran Sadiqa" (Se non fossi egiziano) di 'Ala-al-Aswani

Ultimamente sento una forte curiosità per le storie provenienti dall'Africa, le sue varie voci. E la selezione messa a disposizione al festival di Internazionale a Ferrara non poteva essere più appagante. Una buona dozzina di titoli segnati ed un paio di libri in saccoccia. Tra cui questa raccolta di racconti di 'Ala-al-Aswani che mi aveva incuriosito già dalla quarta di copertina che la definiva una raccolta rimasta a lungo inedita perchè vietata da un anonimo burocrate del governo di Mubarak. Approfondendo l'aletta si viene a conoscenza che l'autore fa un ritrattro impietoso e sarcastico dell'Egitto di oggi.
Vero.
In duecento pagine e poco più sono contenuti diciassette racconti velati di una poetica che dispiace non poter gustare in lingua madre, ma tant'è. Nel complesso il lavoro non è male, niente di eccezionale per carità, ma a volte in poche pagine riesce a racchiudere suggestioni vividissime ed avvolgenti. Altri racconti sono invece crudi e diretti, senza carezzevoli lieto fine dietro l'angolo, cinici e senza spiegazioni o zuccherini per la buona notte. Si percepisce un raccontare di cose vissute, forse autobiografiche ma a volte ridonda un po', perde di sugo, dando storie anche sciape, vacue.
Non un libro imperdibile, insomma, ma comunque piacevole, ben spendibile anche in bagno in letture mordi e fuggi.
Un aspetto colpisce e tanto. Nella prefazione l'autore si dilunga in una spiegazione, un mani avanti riguardo al primo racconto (I quaderni di 'Issam 'Abd al-'Ati), quello che è costato la censura. Si lancia in uno scricchiolante parallelismo tra la prima cinematografia in cui gli spettatori fuggivano da treni in arrivo e la narrativa, avvertendoci che quello che andremo a vedere non è reale, non pericoloso. Sottolineando il suo non essere responsabie verso le opinioni ed espressioni dei suoi personaggi.
Insomma, per pubblicare il libro e non avere problemi di sorta con le autorità del proprio paese ha dovuto rinnegare le voci date ai propri personaggi, quasi fossero capitate lì per caso. E questo, nonostante possa capire le pressioni subite e i pericoli a cui persino uno scrittore può andare incontro (ci sono molti parallelismi tra l'egitto di sei anni fa e l'odiena Italia), risulta iparecchio fastidioso.
La critica mossagli riguarda un personaggio fortemente ostile alla mentaltà, agli usi ed alla società egiziana, descritta come meschina, livorosa, infame ed altre particolarità non così rosee. L'accusa mossagli era di essere abbagliato dall'Occidente e di questi tempi discorsi di questo tipo impelagano in cul-de-sac senza fine, ma se una storia viene scritta un motivo ci sarà. Un autore non potrà mai pensarla come tutti i suoi personaggi; certamente possono esserne creati di intriganti e complessi con la sola finalità di criticarli. Va bene dire di non pensarla in quel modo (sia per proteggersi sia perchè vero), ma perchè deresponsabilizzarsi?
E' così difficile per dei lettori capire la differenza tra opinioni del personaggio e dell'autore?
Può darsi, ma un autore dovrebbe comunque non doversi trovare nella condizione di celare la propria, di lasciarla in una bottiglia e chi la piglia la piglia.
Ad ogni modo, il libro non è male e, a prescindere dalla piacevolezza che possono o meno avere le storie, tratta argomenti spinosi e interessanti.
Anche al di fuori delle stesse pagine.

sabato 9 ottobre 2010

Immaginando una serata

Immaginiamo un palco. Di quelli abbastanza grandi da permettere ai musicisti un certo margine di movimento. Non è poco.
Posizioniamolo dentro un tendone/capannone dalle proporzioni considerevoli. Non uno stadio o un palazzetto dello sport dalle aspettative patinate; neanche quattro pareti dalle larghe ambizioni stipate tra la piccola folla che lo accalca sempre troppo presto. Ecco, immaginiamolo in una piazza, una piazza, sì, con un cielo color cemento e costellazioni di fari di ogni forma e colore.
Bene, ora che lo abbiamo immaginato, entriamoci in questa arena circoscritta, mettiamoci una folla e guardiamo il palco da una distanza ottimale. Nel limbo tra le spinte più dure ed il confondersi di suoni ed immagini. Camminando, assistiamo agli ultimi pezzi di un imprecisato gruppo dal suono ruvido e veloce. Un pezzo e mezzo e la cantante saluta tutti con la sua voce massiccia. Sarà per un'altra volta.
Ora il palco è al buio. Il deejay fa scorrere musica dal richiamo attentivo ridotto. Il bancone bevande preso d'assalto. Cinque ombre si muovono veloci tra cavi, aste e strumenti mentre il brusio e l'attesa crescono lenti ma inesorabili.
Si apre un occhio di luce al centro del palco. Una batteria compatta, essenziale svetta in linea avanzata. Non c'è posto per gerarchie, si sta tutti sulla stessa linea. Un ragazzo-uomo le gira intorno. Asciutto e nervoso, la maneggia con cura, senza fretta. Tra il nero dei vestiti, scintilla una fibbia con teschio ed ossa incrociate. Sul viso, un accenno di sorriso carico di adrenalina e sostanze imprecisate. I suoi tratti tradiscono origini latine, orientali, modellate tra le vie fumose delle metropoli americane. Statico, mosso da tremori impercettibili, dal bisogno di domare lo strumento che ha davanti. Si siede e ghingna, gli occhi ora vitrei ora presenti. Collare e catena al collo e parrebbe di aver davanti il vecchio Animal, tanta è l'urgenza di pestare pelli e piatti.
Nel mentre, si accendono i fari su di una t-shirt bianco viaggio stretta sulle forme da birra che contengono. Al di sopra un testone ricciuto, un sorriso duro e pacato, da domatore di campi sconfinati made USA. Un polsino verde acido, uno arancio elettrico, si avvicina al compare fibrillante e con un tocco lo placa, il primo di una vasta serie. Imbraccia il basso con manico in alluminio e si gira alla sua destra.
Se lo facessimo anche noi vedremmo un ometto, tarchiato e rachitico allo stesso tempo, immerso nell'accordatura di una chitarra rattoppata saldata ai fianchi. Pochi giri di chiavetta e manopole e raggiunto il suono voluto si gira. Dietro gli occhialni rotondi appare il prototipo del nerd, a metà tra Franceschini e Steven King. Poco sotto una pantera ci avverte ruggendo "Preparatevi perchè son cazzi vostri".
Cala il silenzio e si alzano le bacchette. Qualche sguardo e un ondata metallica comincia a colpirci le orecchie. Non smetterà per un'apnea di un'ora e mezza.
Fin qui è stato facile, ora proviamo ad immaginarla. Alla nostra destra sta un basso intenso e rugginoso che segue ora la chitarra, ora la batteria, ora un proprio percorso ostinato e indifferente al resto. A sinistra stridori, fischi, elettricità grattuggiata in balia di scariche che spostano, frenano e storpiano l'uomo-pantera. Al centro colpi e pestate, feroci, leggeri e deraglianti. Suoni sghembi, sopra bruciature, sopra muri massicci e polvere, calce, metallo ghiacciato schiacciato sulla pelle fino a bruciarla, frenate, sbandate improvvise e violente, carezze seguite a pugni. Un agglomerato di suoni, secchi, ossessivi, concentrici, ipnotici. Ci si trova in balia di un ondata che come il mare segue solo le proprie regole. Possiamo solo adattarci. Un momento veniamo investiti da energia pura, in una montagna russa spezzata, borderline. Giunti in cima ci troviamo compressi in un messaggio alieno che ci fa risalire tutta la stanchezza accumulata in settimana. Le gambe cominciano a cedere, la lucidità a tremare, la mandibola ad allargarsi. Prossimi al collasso, si riparte in un gorgo di macerie di suoni. Ancora qualche minuto all'mdma e la batteria non c'è più, sottratta al batterista prima del punto di non ritorno.
Le luci sono spente. Possiamo uscire tra la folla, mentre il dj accoglie il popolo post-midnight, inconsapevole di essersi perso la perfetta espressione delle tre scimmie, un monologo collettivo dall'impatto magnetico.
Ecco, immaginiamo una serata del genere, forse riusciremo ad avvicinarci al rumore artistico prodotto ieri sera dagli Shellac, impossibile da racchiudere appieno tra le curve di un vinile.



Grandiosi, come nel pezzo riportato qui sopra.
Ma potrebbe benissimo farvi cagare, ben intesi.