lunedì 20 giugno 2011

E' solo questione di nuances

Capelli grigi: non è colpa di alimentazione e stress
                  Addio capelli bianchi, una molecola farà ritornare il colore,
                                  Capelli bianchi, la causa in ciò che mangiamo,
                                             Perchè compaiono in giovane età?
                                                              Tecniche per coprire i capelli bianchi,
                                                                                   Capelli grigi: se li strappi, triplicano,

Ecco, lo sapevo. Primi capelli bianchi che arrivano e un'imbarazzante quanto amletica domanda a occupare i miei pensieri di fine giornata: li lascio stare o me li tingo? La rete non porta consiglio, giro tra un sito e l'altro e mi soffermo a guardare qualche bella foto di chiome in Sale e Pepe. Gli uomini naturalmente sempre ritratti con disinvoltura, guardo George Clooney ammiccare fiero dei suoi capelli  mentre al femminile solo foto di chiome o altamente ossigenate o da signore un pò troppo attempate. Qualcosa di più vicino al mio stile? Neanche a pagarlo oro, o troppo Trendy o troppo Nonna. Qualcosa che non somigli troppo a Crudelia Demon e tantomeno a una versione sexy di Madonna ai tempi del Blond Ambition Tour.
Il momento della fatidica domanda arriva per tutt*, chi prima chi dopo davanti ad uno specchio ci passiamo. Sono un paio di mesi che ho notato qualche capello affacciarsi sul mio viso da Trentatreenne organizzata. Tutti a dirmi: ah si, ma mica li dimostri! infatti, mica li dimostro. Se mi siedo a gambe incrociate in mezzo ad un gruppo di bambini riesco ancora a mimetizzarmi perfettamente ma se i capelli si moltiplicano non potrò più usare questo trucco. Credevo bastassero biberon di thè verde e frutta a volontà per allontanare i radicali liberi e invece NADA= Niente = Nothing, qualche radicale ce l'ha fatta, ha oltrepassato la cortina di ferro ed i primi capelli canuti son arrivati. Ne ho qualcuno qui vicino alla vertigine della frangia, ho pensato di ignorarli ma sembrano contagiosi. Da due, tre si allargano, qualche amica mi ha detto di non provare a strapparli che il dio Grey si intestardisce e ti riempie la testa. Per carità, guai a controbattere dicerie popolari e poi perchè strapparli? Qualcuno alle prime apparizioni ricorre subito al parrucchiere o a tinte fai da te che sembrano dire ogni volta: Achtung! se mi usi una volta poi non potrai più farne a meno. Allora che fare? ripeto dubbio amletico, li lascio stare? o li ignoro, come faccio con i fottuti tarli che son tornati a smangiucchiare la credenza dei bisnonni di Ub. Ignoro o combatto, stermino capelli - tarli- continuo a far finta di non vederli o corro ai ripari, provando con una nuances vicino alla mia? Castano chiaro, medio, scuro, ebano, cioccolato e liquirizia ce n'è per tutti i gusti. Scegliere una nuances è come scegliere un vino all'IperCoop di Villanova di Castenaso. Opto per il risparmio oppure punto sulla qualità? non li tingo dai tempi memorabili del primo anno d'Accademia di Belle Arti, forse ho dimenticato anche come si fa ma se mi impegno riporto tutto a com'era prima dell'incontro con sti quattro radicali liberi. Nel frattempo potenzio frutta e verdura, il thè verde lo faccio più forte e poi esagero con piante aromatiche dal timo al rosmarino passando per la salvia e l'origano. 
Nel frattempo una miriade di clichè da sfatare: gli uomini brizzolati son tutti affascinanti e le donne sanno di trasandato: non è vero, non è assolutissimamente vero. Conosco signore che indossano il bianco in testa con un eleganza da far invidia e uomini che con il loro brizzolato a macchie sembran più dei cuccioli di Dalmata che altro. Come al solito è una questione di sicurezza ed eleganza. Questo non basta a convincermi a tenermi questi quattro peli bianchi. La commessa di Acqua&sapone dice che la giusta nuances ti ravviva il colore, e che oramai in commercio si trovano solo tinte molto delicate che neanche te ne accorgi che le stai usando, può star tranquilla,e poi fà sempre in tempo a tenerseli al naturale, ma così giovane è quasi un peccato...
già..un peccato...

Scusi Signorina
cosa stava dicendo delle Nuances....................



domenica 19 giugno 2011

Racconti sotto l'albero

Spesso sentiamo parlare di come i bambini e i ragazzi di oggi facciano fatica a rimanere concentrati per più di qualche minuto su attività intellettuali che richiedano un alto livello d'attenzione. In parte è vero e lo si percepisce già tra le mura scolastiche, in cui la sfida maggiore è trovare il modo per appassionarli ad un argomento per un tempo superiore ad una partita a Pokemon o Mario kart. Figurarsi poi a scuole chiuse, al campo estivo della parrocchia: centoventi pargoli dai 6 ai 12 anni stipati in pochi metri quadri quasi completamente alla mercè di un sole sempre più martellante, con l'afa bolognese ad ingolfare bronchi e giunture, soprattutto dei loro educatori. 
C'è abbastanza materiale per riempire tg di servizi e approfondimenti sull'emergenza iperattività, con orde di bambini ipercinetici o ADHD; sull'allarme caldo che, chissà perchè, si ripresenta improvvisamente ogni estate; sul pericolo dell'esposizione a certe temperature di codesti frugoletti caricati a molla, pronti a impazzare per le strade dell'intera penisola e devastare ogni cosa come cavallette antropomorfe (inoltre si potrebbe cogliere l'occasione per ricordare ai telespettatori che la maggior parte di questi bambini proviene, magari secondo autorevoli fonti statistiche, dalla scuola pubblica; o sottolieare i "benefici" del metilfenidato, ma queste sono altre storie).

Ovviamente non avviene nulla di tutto ciò e i centoventi bambini in questione, dopo mesi di fatiche più o meno intense sui banchi, riescono addirittura a svolgere ogni giorno un'oretta di compiti senza bisogno di particolari minacce o ricatti e a seguire lo svolgimento, recitato ad altissimi livelli sottoamatoriali, del tema dell'anno, Odissea (Piumini version). Per il resto del tempo la maggior parte di loro si lascia andare a giochi più o meno fantasiosi e scatenati (personalmente ho potuto "scoprire" le meraviglie di Palla senza palla, una vera chicca), in particolare nella pausa pranzo. Ed è proprio lì che, martedì scorso, ho avuto una piacevolissima sorpresa. Il piccolo gruppo di bambin*, con cui l'anno precedente avevo attraversato la trilogia di Roddy Doyle sotto la frescura apparente di tigli e tendoni, è venuto a chiedermi se anche quest'anno avrei portato dei racconti intorno cui sedersi. Perciò il giorno successivo abbiamo ricreato il semicerchio di panchine intorno alla mia sedia rossa per comiciare la seconda stagione del nostro personalissimo club di lettura.
E' un momento meraviglioso, quello della storia pomeridiana. Un piccolo crocevia tra il turbinio di giochi circostanti, libero da vincoli ed aperto ai vari naviganti. C'è chi ascolta l'inizio per un po', per farsi poi trascinare dalle correnti di avventure, partite e grida del grande giardino; chi passa un attimo per ascoltare qualche frammento, sbirciare un disegno o chiedere il titolo della giornata; chi arriva a metà e si gode il finale; chi, per troppa timidezza, non ha trovato nessuno con cui giocare e scopre amicizie interagendo tra le pagine di un libro. 
Poi ci sono gli affezzionatissimi membri del club: Arianna, che ascolta tutta la storia con lo sguardo perso tra le fronde, riabbassandolo ogni tanto per uno sguardo rapido alle figure; Sara, seduta sempre all'estremità della panchina, con la bocca semi aperta; Francesco, che gioca tra erba e polvere con le orecchie ben drizzate; Elettra, inclinata in avanti, quasi a voler sfiorare ogni personaggio; Ilaria, appollaiata sullo schienale della panca; Simone, seduto composto con un sorriso accennato; Greta, sorridente e con gli occhi socchiusi; Sofia, che si dondola appena, tenendo i capelli tra le dita.

Questa settimana abbiamo letto due storie di Roald Dahl, autore solitamente molto amato (perlomeno, io l'ho amato e l'amo ancora tantissimo).
Si è incominciato dall'ultimo libro che ha scritto, tra i meno conosciuti dell'autore inglese, Minipin, un breve racconto in cui sono inserirti, in modo leggero ma incisivo, la maggior parte dei temi a lui cari.
Come spesso accade nelle sue opere, il protagonista è un bambino curioso di scoprire quello che lo circonda, di fare le cose probite (sempre le più interessanti) e di guardare il mondo con i propri occhi. Entrato senza permesso nel bosco accanto a casa, si trova ad essere inseguito dal terribile Sputacchione Succiasangue Tritadenti Sparasassi, un mostro misterioso e sanguinario avvolto da un turbine di fumo. Per salvarsi, Piccolo Bill si arrampicherà sull'albero più alto, dove farà la conoscenza con i Minipin, minuscola popolazione che vive all'interno degli alberi e si sposta per il bosco grazie all'aiuto di scarpe a ventosa ed uccelli. Con l'ingegno, l'aiuto di chi lo circonda e una buona dose di coraggio, Piccolo Bill riesce a sconfiggere il mostro, liberando il bosco intero dalla sua minaccia e se stesso dai vincoli della paura.
Dahl con questa storia ci insegna ad imparare a guardarci intorno, in modo obliquo, ad osservare con occhi sfavillanti tutto il mondo intorno (...), perchè i più grandi segreti sono nascosti dove meno ve li aspettate. Si diverte a ribaltare i punti di vista, a trovare consonanze nelle differenze più grandi. Ogni situazione o impasse può essere superata con un pizzico d'ingegno (non con l'inganno, verso cui, in molte sue storie, riserba contrappassi inequivocabili) ed ironia.
Prima di concludere la settimana ci siamo invece cimentati in anagrammi. Giovedì ho chiesto chi sapesse cosa significasse Agura trat e il giorno dopo Sofia è venuta tutta sorridente con la soluzione. Rispetto al precedente, questo è un racconto più spensierato. Una love story in tartarughese ostacolata da troppa timidezza e giunta a buon fine in pieno stile Dahl: grazie ad un pizzico di coraggio e tanta creatività. Un modo simpatico per spronare i più piccoli ad ingegnarsi per superare i propri limiti e, al contempo, a non avere troppa fretta nel voler crescere.

Domani si ricomincia. Una nuova storia per il piccolo uditorio mobile.

sabato 4 giugno 2011

"The tree of life" di Terrence Malick

Continuo a convincermi sempre di una cosa: amo il cinema ma odio i cinema. Potrà sembrare una sottigliezza grammaticale, una forma radicata di insofferenza paranoide e antisociale, ma in certe situazioni mi piacerebbe esistessero sale composte da cubicoli semichiusi e ovatatti, insonorizzati a tutti i suoni estranei a quelli della pellicola in corso e in grado di permettere la visione del solo schermo. Spazi autistici in cui rinchiudermi, perdendomi nel buio della sala.
Deliro? Forse, ma durante la prima parte dell'ultimo film di Terrence Malick, un intreccio di immagini a metà tra Genesi e creazione corale stile Silmarillion talmente ben realizzato da far cadere in trance estatiche degne di Infinite Jest (il film della storia non il libro stesso), avrei volentieri fatto a meno di una buona fetta di presenti in sala. Sbuffi e scatti d'insofferenza crescente, sbadigli commenti risate a non basso volume del tipo machecazzocistoafarequi? si sono più volte frapposti tra me ed il fluire d'immagini e suoni che il regista è riuscito a inanellare con una capacità che sfiora il trascendente. Fortunatamente senza spezzare più di tanto il godimento sensoriale in cui mi sono ritrovato per una buona ventina di minuti. Resta il fatto che quando davanti agli occhi si alternano le viscere della terra e del tempo,  i frutti più distruttivi e vitali della creazione, di cui viene dato un assaggio impensabile, non è piacevole staccarsene per dedicarsi a pensieri da pseudoantropologo verso chi ci circonda, pieni di voglia di picchettare sulle varie spalle per dire qualcosa del tipo: "hey, anche se hai pagato il biglietto non sei obbligato a rimanere qua, va mò a fer di pugnatt da un'altra parte".

giovedì 2 giugno 2011

How much is it?

Dieci giorni al Referendum, una pausa festiva fa da cornice a molti dibattiti, un grande tam tam di immagini e di commenti tappezzano i più grandi network sociali. Tutti hanno qualcosa da dire e da aggiungere, indice che l'informazione sta interessando gran parte dell'opinione pubblica. Ogni tanto, vien da pensare, qualcosa funziona in questo paese. La rete funziona in questi contesti, il pc diventa una finestra dal quale apprendere i cambiamenti, i movimenti.
Il tema dell'acqua risveglia domande ataviche sul senso di proprietà, su come ci appropriamo di beni presenti in natura e sull'utilizzo che ne facciamo. Attraverso una piccola selezione di immagini fatte in luoghi e tempi diversi, abbiamo ripercorso, frammento dopo frammento, il significato che ha per noi tutto questo. E' interessante notare come in ogni cartella di foto in cui abbiamo frugato almeno una comprendesse il tema dell'acqua sia da un punto di vista estetico (acqua = paesaggio), sia come bisogno primario (acqua=sete=vita). L'immagine del tubo blu trasporta simbolicamente l'acqua in ogni frammento che segue. 
Uno speciale filo della memoria dell'acqua che forse tutti possiedono nei luoghi del cuore.