lunedì 8 agosto 2011

"Gli psicoatleti" di Enrico Brizzi

Ritrovarsi costretti in città non è mai una bella cosa, in particolare tra luglio ed agosto. Sarà il caldo, la stanchezza accumulata sommata alla radicata concezione di questo lasso di tempo (complici anni ed anni di break scolastici dall'influenza maggiore alle abitudini che si cerca di adottare in seguito) come di un periodo doverosamente vacanziero, ma il mio corpo, già molte settimane prima della data stabilita, sente la necessità di staccarsi dalla routine e lanciarsi verso la scoperta/incontro di nuovi orizzonti, magari zaino in spalla.
Quest'anno, come succedaneo a tale bisogno, ho trovato particolare conforto (intervallato da momenti di vera e propria tortura da mancato voyeur) nelle pagine dell'ultima fatica di Brizzi, "Gli psicoatleti", ultimo capitolo della "Trilogia dei viaggi a piedi" di cui avevamo già trattato qui, qui e qui.

Come nelle precedenti opere, il libro è uno splendido connubio tra cronaca e fiction, capace di far bere al lettore più credulone qualsiasi cosa scritta, o quasi; di lasciare in regalo un bel pacchetto di dubbi su cosa sia frutto dell'immaginazione dell'autore e cosa sia ricostruzione storica o descrizione affidaile di eventi più o meno inattesi. Personalmente, comincio tutte queste letture con l'attitude degna del più grande boccalone che si possa immaginare, riprendendomi strada facendo, quando le licenze dell'autore si fanno più nitide. E tutto ciò non è semplicemente dovuto alla mia credulonità ma alla grandiosa capacità che ha Brizzi nel riprodurre l'intimità, l'intensità, i nervosismi, le sincronie, i vezzi, i tic e tutte le altre sfaccettature che s'instaurano in un gruppo di amici durante il viaggio. Ci catapulta sulla strada, al loro fianco, facendo percepire sprazzi di una fatica che, nel suo scalpellare il corpo un poco alla volta, si fa fedele e necessaria compagna di una traversata non esclusivamente legata allo spazio.

E' un libro di formazione, parla dell'evoluzione continua che affrontiamo percorrendo le diramazioni che ci si aprono inanzi, dei cambiamenti continui a cui andiamo incontro giorno dopo giorno; un libro intimista, che, tramite le parole del narratore, insegna a guardarsi dentro, tra le risorse e le debolezze più inaspettate che possono risiedere in ogni animo; è un libro politico e non solo per l'espediente che da il là al viaggio, il 150° anniversario dell'unità d'Italia, il volerne vedere le affinità e le differenze che la attraversano da nord a sud, ma anche per la forza con cui mostra che altri modi di guardare le cose, di fruire del tempo e dello spazio sono possibili (e nel turborisucchio del Guaiafermarsiunattimo!!! di oggi non è poca cosa).

La storia, come esposto nel video spoileriggiante qua sotto, comincia dall'intreccio della storia di un gruppo di camminatori moderni definitisi in altre occasioni psicoatleti e tra la ricostruzione della storia della Società Nazionale di Psicoatletica fondata nel 1861 da tre gentiluomini erranti dal fascino irresistibile (e qua scatta una delle credulonità non del tutto risolte: Brizzi si è ispirato a qualche società realmente esistita o inventa tutto di sana pianta? chiunque voglia ragguagliarmi è libero di farlo nel totale sbeffeggio, non mi offenderò) che in qualche modo ricalcano ideali e modi d'essere dei più moderni colleghi.
La psicoatletica infatti nasce in tempi di meccanizzazione esasperata proponendosi di riscoprire la sola macchiana perfetta, il corpo umano, purchè mosso a nobili fini da un animo fermo e curioso. Gli psicoatleti non sono meri passeggiatori, e l'andare come laici pellegrini non è per loro tempo speso nell'ozio, ma la più preziosa delle fonti di conoscenza. Oltre alla storia, alla lingua (ottimamente espressa) ed alle abitudini dei luoghi attraversati, Brizzi in questo romanzo si addentra nella conoscenza più profonda e intangibile che ci sia, ponendo(si) domande che riguardano l'essenza delle cose e dell'esistenza e descrivendo modalità di ricerca e di conoscenza esoteriche che non risultano mai scontate o posticce, come ben riassume la massima eteroversa della psicoatletica: Chiudi gli occhi e osserva ciò che non si lascia vedere.

Libro che scorre più velocemente della miriade di passi fatta per scriverlo, dotato di un linguaggio mai forzato, allo stesso tempo leggero e raffinato. E' necessario lo sforzo da parte del lettore di fermarsi ogni tanto per lasciar depositare determinati passaggi. Denso di spunti di riflessione, di leggera ironia e di foto dettagliate di buona parte dello stivale. Non vengono cercate facili risposte rassicuranti ma si stimola a mettersi col culo per strada per porsi domande che ci appartengano.
L'unica certezza espressa è che l'uomo che arriva alla fine di un viaggio non è mai lo stesso che era partito.

A questo punto vi lascio al video qua sotto, che oltretutto non ho finito di vedere (!) per motivi di tempo (ri-!). Un'ultima ricontrollata allo zaino e finalmente potrò riportare anche il mio di culo per le strade, sotto il peso rassicurante di uno zaino.