martedì 29 marzo 2011

Ritagli futuri


[La storia seguente è stata ispirata dalla lettura di questo avviso e di questa lettera, dalle loro proiezioni nel futuro dai seguenti possibili riflessi Alcuni di questi avvenimenti sono inventati di sana pianta, alcuni veri, ma più o meno stravolti. A voi scoprire cosa sia cosa e quanto.
Resta il fatto che non solo a livello nazionale, ma per forza di cose (?) anche regionale, cominciano a vedersi i frutti della fantasia contorta e spezzata di persone che a colpi d'accetta stanno radendo al suolo tutti quei settori che, a prezzi miserrimi, operano ogni giorno a 360° nella prevenzione e promozione della salute. Nelle scuole, nei quartieri, nelle comunità. 
Dedico a loro tutti questo breve scritto.]

          - Eccoci qua, la tua postazione. Cuffia… telefono… e roba varia… dove è che sta l’elenco? Tò mò, per smistare le chiamate. Un po’ lunghino, ma ci si abitua in fretta dai. Oriano lo teneva tutto a memoria e serviva meno della metà di te, serviva… ‘zzo manca? Aaah sì, la password per il computer. Per quel che ti serve. Non so neanche se c’è internet qui dentro, e comunque pôc pugnàtt, non so se mi spiego. S’ha da lavurèr que dente, altro che balle. Ci sono domande?
         Si gira e lo guarda. Perfetto meccanismo polveroso e bisunto maturato fino al marciume nella macchina burocratica. Non avrà quarant’anni, sto pavone grigio. Silvestro si guarda intorno. Mica abituato a dei palazzi così lui. Prova ricambiare lo sguardo, ma agli occhi nemmeno si avvicina. Si ferma poco sotto lo zigomo e borbotta un arrossato tutto chiaro - tòcaro - devia lo sguardo e fa per sedersi. Poi si gira, allungando la mano in un riflesso di galateo. L’altro la scansa. L’altro non la vede nemmeno,’zzofregammè. Alza la spugna destra e si contorce in un rictus.
         - Benessum! – esclama contundendo la spalla - puoi cominciare allora. Buon lavoro e… poche cazzate.
         Sulla bocca, una lama serrata

         Silvestro si siede, sul primo giorno di prova, sei mesi più sei, se siam soddisfatti sei dei nostri. Si lascia cadere sui resti di una poltroncina a rotelle. Prende le cuffie in mano, collega lo spinotto, sistema gli occhiali. Non fa in tempo a metterlo a fuoco, che il pannello s’illumina a giorno.
         Sono le 7:31.

lunedì 28 marzo 2011

"Il divoratore" di Lorenza Ghinelli

Se c'è una cosa che non mi è chiara (e forse mai lo sarà) è cosa si aspetti un cultore di horror e thriller. D'accordo, chiunque ami il genere e si sia mai avvicinato a Stephen King storcerà il naso davanti a qualsiasi altro piatto gli proponiate, ma la scelta resta vasta, in giro ci sono tante altre storie avvincenti e ben scritte che possono far passare piacevolmente una domenica pomeriggio formato divano e un lunedì mattina formato fila Inps (e con questo ho detto tutto...). Per questo non capisco  queste critiche, lagnanti e biliose, che svariati lettori hanno riservato a questo libro.
Forse sono dovute al grande clamore con cui quest'opera prima è stata salutata (non solo in Italia). Effettivamente accostarsi a qualcosa, o a qualcuno, che ci viene presentato in pompa magna porta con facilità a vedere deluse le grandi aspettative create. 

Personalmente, fino ad un paio di mesi fa, non avevo mai sentito parlare nè dell'autrice nè del libro, finchè non mi capitò di leggere questa recensione di Evangelisti, che mi convinse ad acquistare il volume. A posteriori, devo ammettere di trovarmi sostanzialmente d'accordo con quanto lì espresso. 
La storia scorre bene, ha un suo perchè, quasi atipica rispetto alle abitudini del genere. I personaggi, ottimamente caratterizzati con poche frasi molto ben centrate, bucano le pagine.  Gli adolescenti in particolare. Sarà anche vero, come sostengono molti detrattori sopralinkati, che la narrazione a tratti procede ondivaga, in un tourbillon di punti di vista e che l'uso di alcuni termini può risultare forzato, ficcato in bocca ad un ragazzo. Questo se si vuole scomporre in maniera fredda e meccanica la storia, estrapolarne piccoli particolari, infime minuzie, finendo così per perdere di vista il ritmo incalzante, lo stile inusuale con cui si sviluppano, rapidi come stoccate, gli avvenimenti. La scrittura poi, se ben gustata come suggerito da Evangelisti, alza non poco il livello della storia. E quelle che possono essere definite semplici frasi ad effetto, se ci si riesce ad immergere nel loro flusso, altro non sono che ottime scelte stilistiche, quasi cinematografiche. Zoomate e primi piani su piccoli dettagli che piantano negli occhi ogni cosa. Movimenti impercettibili inclusi.
Inoltre, sfido qualunque scrittrice o scrittore ad esprimere con tale immediata chiarezza cosa possa significare non solo relazionarsi ma anche essere autistici. Basterebbero questi scorci fulminanti a ripagare il prezzo di copertina (tra l'altro veramente accessibile). Non scherzo.

sabato 26 marzo 2011

Le versioni di Barney di Mordecai Richler, regia di Richard Lewis

Avevo sentito parlare di questo libro grazie al film. Alle feroci polemiche nate dalla notizia che ingordi produttori assatanati di denaro si erano permessi di girare un film su Barney Panofsky.
Dandogli così una faccia, diversa da quella che ognuno aveva immaginato.
Un vero scandolo, non c'è che dire. Altro che storie. Passato sotto silenzio sui media e ignorato dai più. Ma sempre di scandalo si tratta. 
Alla fine sembra siano stati tutti contenti, il film non ha assolutamente stravolto la storia raccontata nel libro e Giamatti ha svolto il suo dovere molto bene. L'ordine dell'universo è stato ripristinato e la vita è tornata a scorrere come doveva.
E' difficile che mi venga voglia di leggere il libro dopo aver visto il film. In questo caso avrei preferito aspettare un po' di tempo, così per potermi dimenticare alcune cose e godermi di più la lettura. Così non è stato e me la sono un po' rovianta (quando sai cosa succederà, anche se cambiano alcuni particolari e lo stile è trascinante, tendi ad andare avanti in maniera automatica). Se non altro, mi son tolto il dente.

Per chi non la conoscesse (qualcuno che non faccia parte dei 9652 anobiiani) la storia è comunque abbastanza prevedibile: la vita di Barney Panofsky raccontata da lui medesimo in vecchiaia, poco prima dell'accelerazione del proprio declino. Alcuni potrebbero indicarla come la storia di uno stronzo, altri come quella di uno che ha capito tutto dalla vita e se l'è goduta il più possibile. 
Niente di tutto ciò. Oppure no?

venerdì 18 marzo 2011

Il mio 150°

Dal 150° anniversario dell'unità d'Italia sono tornato a casa piacevolemente sfiancato, con alcune riflessioni preziosissime in saccoccia e con sensazioni più positive rispetto al passato riguardo alle macerie implosive della società in cui viviamo.
Partiamo dal finale.
Da una piccola, splendida, calda, accogliente biblioteca nei pressi di Bologna dove i Wu Ming hanno sfoderato una serata da vere rock-star (qui la prima parte), con una celebrazione spacca sinapsi, ubriacante, che ha tenuto tutti i presenti incollati alle sedie per due rapidissime ore. Tra i molti spunti, riflessioni e digressioni storiche oblique che mi si sono ingarbugliate in testa, ci sono due aspetti che mi sono rimasti più impressi degli altri.
Il concetto di familismo amorale come descrizione oggi ancor più attuale dell'italianità più cupa e visibile e la molteplicità di significati che il tricolore può assumere in diversi contesti spazio-temporali. Tornando a casa dal centro, ieri mattina, io e la mia compagna riflettevamo sulla reazione automatica che scattava nel vedere le bandiere alle finestre. La mente tornava a qualche anno fa, quando esporrle significava essere d'accordo con l'intervento militare in Iraq. Oggi, ci chiedevamo, chi li espone, per quale motivo lo fa?
Rigido nazionalismo? Adesione pavloviana all'evento? Espressione di sentimenti e simbologie più complesse?
Durante la serata si sono dispiegate delle possibili risposte. Tanto semplici e potenzialmente immediate, quanto facilmente scordabili. In un periodo come questo, in cui i colpi d'accetta verso tutte quelle istituzioni espressione della Costituzione, esibire il tricolore significa fare un primo passo per difenderla.
Oppure, in una regione come il Veneto, che secondo le induzioni dei media potrebbe essere chiamata Padanialandia, può significare affermare con fermezza la propria non appartenenza alla Lega.

giovedì 17 marzo 2011

Inane polvere umana?


In vista del 150° anniversario dell'unità peninsulare ho pensato a lungo a come avrei potuto celebrare una tanto nobile data, cercando invano l'ispirazione, lo slancio per elevarmi ad altissime quote dove toccare le più raffinate vette espressivo-letterarie, ma mi ritrovo al punto di partenza. Consapevole della convivenza tra un patriottismo da stadio (ormai edulcorato) e la mia identità che non può prescindere dalla storia, recente e remota, dai micro e macro sistemi in cui si è formata.
In fondo voglio bene al vecchio stivale, è tra le immagini che, da quando sedevo dietro ai banchi delle elementari, ho osservato con maggiore curiosità. In particolare per le innumerevoli variazioni di confini interni (da qui in poi).

Eppure di questo enorme collage linguistico, questo multifeudo che pare tenersi insieme con lo sputo, in cui si rimpiangono regni passati, si scoprono nuovi miti e radici o ci si sente, in vari modi, stranieri, fatico a trovare qualcosa di sensato, profondo, o semplicemente non premasticato da dire. Sicuramente anche grazie ai profondi solchi di storia e politiche annesse che mi porto appresso ed al nome stesso dato al periodo, la cui etimologia mi porta a scivoloni continui verso nomenclature meno vicine a Romero.

mercoledì 16 marzo 2011

Time out, e gli educatori?

        
RIDEFINIZIONE E DIVERSIFICAZIONE DELLE MODALITA' DI ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI INTEGRATIVI SCOLASTICI DI PRE SCUOLA, POST SCUOLA, POST SCUOLA NELL'ORARIO DEL PRANZO E DI ACCOMPAGNAMENTO NEL TRASPORTO COLLETTIVO RIVOLTO AGLI ALLIEVI DELLE SCUOLE PRIMARIE E SECONDARIE DI 1 GRADO A PARTIRE DAL MESE DI SETTEMBRE 2011.

Questa è la bella notizia pubblicata l'11 Marzo che farà cambiare il sistema di gestione dei servizi integrativi nel comune di Bologna. Partiamo dai tagli: è certo ormai che a settembre molti servizi subiranno dei cambiamenti. Il 31 agosto scadrà l'attuale contratto che porterà ad una nuova rinegoziazione degli attuali fornitori dei servizi che per il Comune di Bologna sono nella maggioranza dei casi gestiti dalla Cooperativa che ha in appalto anche i servizi all'integrazione-assistenza agli handicap nelle scuole.  In relazione al mutato contesto scolastico (riforma Gelmini) e ai conseguenti nuovi bisogni dell’utenza, il comune definisce i criteri per una nuova gestione più flessibile, in cui la flessibilità, trattandosi di servizi che integrano e arricchiscono l’offerta scolastica, devono necessariamente essere incentrati su un livello organizzativo rappresentato dalla scuola. Sarà quindi cura della scuola individuare le attività adatte a quel particolare contesto e scegliere il giusto fornitore tra una lista di possibilità che possono andare dalla piccola cooperativa che propone laboratori all'ente sociale o fondazione senza scopo di lucro fino ad organizzazioni di volontariato che possono prestarsi per coprire tali servizi. Questo sulla carta, hanno messo nero su bianco. In tutto questo  accorato discorso con al centro sia la necessità della domanda che l'interesse dell'offerta, di noi educatori neanche l'ombra. Ovviamente!

martedì 15 marzo 2011

S.O.S Parchi: quest'anno vacanze in Italia


Oggi ho ricevuto via mail questa importante informazione che riporto per intero
Abbiamo ricevuto una preoccupante notizia dal WWF, in cui si illustra la tragica situazione amministrativa dei Parchi abruzzesi. La legge sulle aree naturali protette prevede che ogni Ente Parco sia gestito attraverso un Presidente ed un consiglio direttivo, con un direttore, iscritto in  un albo nazionale dei direttori e scelto dal Ministro dell'Ambiente su segnalazione di una terna di nomi da parte degli Enti.
Ad oggi, il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è l'unico parco a presentare una situazione quasi corretta. Ha un Presidente, un Consiglio direttivo ed un direttore (anche se quest'ultimo ha recentemente presentato le proprie dimissioni).
Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è stato commissariato dal 2006 fino al 2010. In questo periodo si sono alternati ben 3 commissari! Il 7 luglio 2010 l'ultimo commissario, Arturo Diaconale, giornalista, anche lui senza alcuna competenza in materia di gestione di aree naturali protette, è stato nominato Presidente, ma da allora non è stato ancora nominato il Consiglio direttivo: permane quindi anche per questo Parco una forma gestionale anomala (volendo fare dei paragoni è come se un comune fosse gestito da un Sindaco senza Consiglio Comunale). Dal 2004 il Parco è privo di un direttore nominato secondo quanto prevede la legge: le funzioni di direttore vengono così svolte da un coordinatore tecnico-amministrativo con contratto a termine rinnovato annualmente non iscritto nell'albo nazionale dei direttori.

lunedì 7 marzo 2011

"Anatra all'arancia meccanica" di Wu Ming

Avviso ai naviganti: questo non è un libro di Wu Ming, o meglio, dovrebbe esserlo e in un certo senso lo è anche, ma allo stesso tempo  riesce ad essere altro.
Chi si aspettasse un còlossal in costume alla De Gaudentiis o  un romanzo sugli stili a cui la narrativband ha abituato, senza saziare ancora, prenderebbe un granchio enorme. Basta un'occhiata alla copertina e al titolo per capirlo.
Allora che cos'è questo starano oggetto a metà tra narrativa e fantacucina?
E' un memoriale del decennio passato. Una raccolta di fotografie degli "anni zero" dalle prospettive sgembe ed inaspettate. La parte più laboratoriale e libera della loro officina artigiana. Una concatenazione di sperimentazioni, brevi brani bellissimi dotati di vita propria, che nel susseguirsi e rieccheggiarsi a vicenda, in modi funambolici, ben chiari o invisibili, si fa sinfonia.
Tommaso De Lorenzis, nel testo che la apre, consiglia di leggere questa antologia, con la Nona del "Ludovico Van" in sottofondo. L'accostamento alla pellicola nata dalla penna di Burgess non è casuale, nè dovuto a facilonerie da scribacchini senza smalto. Il dispiegarsi dei racconti, pagina dopo pagina, acquista una dinamicità tale da richiamare realmente l'ultima fatica di Beethoven. L'unica differenza sta nella dislocazione dei primi due movimenti, che in questo caso si trovano mescolati tra loro a tal punto, da cominciare direttamente dal secondo, per poi riassemblarsi e riordinarsi nelle varie fughe che portano verso il tripudio finale.
L'overture, naturalmente, è di De Lorenzis.

Primo movimento
La sinfonia, dopo il riscaldamento degli strumenti, comincia direttamente dal Molto vivace, con i primi cinque racconti. Per chi non ha li mai letti on-line, l'effetto potrebbe essere quello di uno schiaffo improvviso, di una ginocchiata nei denti; la presa per il culo di uno chef anarchico verso palati ormai troppo raffinati. I racconti, infatti, sono molto ruvidi, impastati di un'ironia vibrante e sfacciata, quasi acida. Scritti tra l'estate del 2000 e la primavera 2001, lampeggiano rosso fuoco, quasi allertati dagli avvenimenti del luglio e settembre seguenti. Il mondo del cinema, dell'editoria e delle mobilitazioni sociali in Italia, sono intervallati da due grandissimi racconti apocrifi sui personaggi della Disney: il nazistoide Topo Lino e un incazzattissimo Anatrino prendono coscienza della propria natura e sconvolgono il mondo ipocritamente ovattato creato negli states negli anni '20.
All'epoca la band era agli inizi, straripante adrenalina ed entusiasmo. Danno l'idea di aver macinato un numero esorbitante di parole, in quel periodo, ad un ritmo tale da far impallidire King. Lo stile narrativo di primo acchito può far storcere il naso. Più trattoria che ristorante di classe per gli occhi boriosi di snob letterari. Il sapore è rustico, vero, da trattoria. Ma stiamo parlando di una signora trattoria! Di quelle in cui far venir mattina in un lampo.
Riallineati gli occhi e le orecchie, le pagine iniziano a scorrere implacabili, lasciando deliziati ma ancora affamati una volta conclusa ogni storia.
Pronti alla seconda portata.

sabato 5 marzo 2011

Dal passato al presente - Le premonizioni di Piero Calamandrei

[Pubblichiamo il discorso che Piero Calamandrei pronunciò l'11 febbraio 1950 al terzo congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale. Un discorso lungo, denso e, nella sua attualità, inquietante. Se certe tematiche erano già così sentite sessant'anni fa, viene da chiedersi cosa sia stato fatto, nel concreto, fino ad oggi e a che punto ci troviamo (alcune risposte e riflessioni in questa lettura fondamentale). 
I grassetti e le sottolineature sono nostri. Sono totalmente parziali e insufficienti a comprendere la portata delle sue parole, ma si sarebbero dovute evidenziare intere frasi o paragrafi. Perciò ci siamo concentrati su alcuni dei più significativi.
Buona lettura]

(...) La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue (...).

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società (...).

mercoledì 2 marzo 2011

Antipanico


E' passato ormai un mese da quando il Teatrino Clandestino di Bologna ha fatto la muta e cambiato pelle. All'esterno, perlomeno, perchè all'interno rimane la solita, preziosissima, fucina d'idee, scambi e cultura come è sempre stata.
Perciò si è deciso di cercare qualcuno che avesse un progetto valido per una nuova installazione visiva per la porta dello spazio Si, atelier nucleo di produzione e di ricerca artistica del teatro. Un'installazione che rimanesse in linea con quella precedente, che si contraddistingueva per l'accesissima tonalità di arancione, che, quasi fosse un faro, era indice di apertura ad altro e ad altri, per usare le parole di Fiorenza Menni, tra le ideatrici del progetto.

Più o meno nello stesso periodo (metà gennaio) accadeva che  la libertà della cultura, della possibilità di scegliere autonomamente che cosa leggere, veniva messa in discussione poco distante, in Veneto, da alcuni loschi figuri (per chi si fosse perso qualche puntata o l'intera serie, o per i più fragili di memoria, consiglio di leggere qui, qui e qui per farsi una prima idea, sono ottimi trampolini per dedali di link).
Cosa accomuna questi due avvenimenti, tra l'altro all'oscuro l'uno dell'altro? Non molto, ma allo stesso tempo un sacco di aspetti.
Adesso ci arrivo.

Il progetto che ha vinto il bando per la porta del Teatro è stato Antipanico, del giovane artista bolognese Marcello Spada. L'opera è stata realizzata pensando, parole sue:
ad una porta sulla strada come ad un limite privato, una possibile dimensione sconosciuta alla quale si accede grazie alla volontà di qualcuno all’interno.
L’accesso del Sì possiede questa connotazione “privata”, ovvero se non fosse per il suo colore arancione potrebbe sembrare una porta qualunque.
Il confine di ogni proprietà privata è segnato da una soglia in cui si colloca un dispositivo di sicurezza.
Tale dispositivo funge da barriera che limita l’accesso e spesso è accompagnato da altri strumenti di visione e di ascolto per verificare l’identità di colui o colei voglia entrare (spioncini, citofoni, video citofoni).
La soglia privata è segnata da una polarità interno-esterno (...) orientata verso l’interno.
Ho pensato di ribaltare questa polarità, ponendo 16 spioncini ottici sulla porta del Sì che
permettano a chiunque passi in Via San Vitale 67 di guardare all’interno.
Chiunque sia spinto a guardare attraverso uno di questi spioncini potrà generare la curiosità di altri, innescando una reazione a catena. Un generatore di comunità temporanee unite dall’attrazione per l’ignoto.
Ogni barriera verso la dimensione privata o, come in questo caso, di un luogo pubblico racchiuso da mura che di fatto lo rendono privato, è infranta. Un luogo di cultura, di ricerca, studio e sperimentazione, già di per sè apertissimo e in cui si possono scandagliare variegate forme di espressione, riesce a superare i propri limiti e si apre alla strada, a chi vi si voglia accostare. E lo fa sottolineando con forza quanto la cultura negli ultimi anni sia stata crivellata dai colpi della più pericolosa forma di violenza. Quella travestita da grettezza e ignoranza.
L'autore è ignaro di ciò che accade poco lontano da lui negli stessi giorni in cui progetta e plasma l'opera. Ma nonostante ciò, è saturo di miasmi e tossine che sempre più impestano ogni ambito socio-culturale. Ci è cresciuto in mezzo, ha sviluppato enormi anticorpi in grado di attivarsi autonomamente alla minima eco infettiva.
Per questo la disposizione dei sedici spioncini è ben studiata e non casuale.
La dislocazione dei 16 buchi, dove applicare gli spioncini, corrisponde ai fori di proiettile nel muro di Via Mascarella, luogo in cui è stato colpito a morte Francesco Lorusso il giorno 11 Marzo 1977.
Il valore assunto dagli spioncini è perciò duplice. Simbolo non solo d'apertura verso l'esterno, verso ogni viandante errante, le sue storie ed esperienze, ma anche degli spari contro uno spazio, in cui ci si ritrova a discutere di contemporaneo, di resistenze, in cui ci si può confrontare ed aprire all'aletrità. Perfetta allegoria del trattamento riservato alla cultura in Italia e del suo riorganizzarsi di conseguenza.
Oltre a ciò è anche un richiamo alla memoria, a non dimenticarsi della parete custodita sotto al vetro che, come esposto dall'artista in questa intervista, può essere considerata già un'opera d'arte di per sè. Una stratificazione storica preservata da cui partono voci e rimandi dalla portata vastissima (basti solo pensare che il racconto dell'episodio, fatto da un mio amico maestro ad una terza elementare, ha fatto storcere il naso ad alcuni genitori perchè ritenuto poco attendibile e dotato di troppi coni d'ombra).

  
Passo davanti a quella porta due volte al giorno, cinque volte a settimana, scaldato dal pensiero dello strano filo che in gennaio si è arrotolato, con evoluzioni transtemporali, intorno a biblioteche e teatri, scuole dell'obbligo e d'espressione, Preganziol, Bologna e molte altre piazze dentro e fuori stivale, ed alle varie forme che la lotta sociale può assumere, ogni volta che vengo sferzato da quel giallo elettrico che pulsa sotto al portico.
Antipanico.
Non poteva esserci parola più azzeccata di così.


[N.B. L'ultima fotografia è stata fatta ed appartiene a Niccolò Morgan Gandolfi
Le altre foto ed immagini sono state scattate ed appartengono a Marcello Spada.]