sabato 26 marzo 2011

Le versioni di Barney di Mordecai Richler, regia di Richard Lewis

Avevo sentito parlare di questo libro grazie al film. Alle feroci polemiche nate dalla notizia che ingordi produttori assatanati di denaro si erano permessi di girare un film su Barney Panofsky.
Dandogli così una faccia, diversa da quella che ognuno aveva immaginato.
Un vero scandolo, non c'è che dire. Altro che storie. Passato sotto silenzio sui media e ignorato dai più. Ma sempre di scandalo si tratta. 
Alla fine sembra siano stati tutti contenti, il film non ha assolutamente stravolto la storia raccontata nel libro e Giamatti ha svolto il suo dovere molto bene. L'ordine dell'universo è stato ripristinato e la vita è tornata a scorrere come doveva.
E' difficile che mi venga voglia di leggere il libro dopo aver visto il film. In questo caso avrei preferito aspettare un po' di tempo, così per potermi dimenticare alcune cose e godermi di più la lettura. Così non è stato e me la sono un po' rovianta (quando sai cosa succederà, anche se cambiano alcuni particolari e lo stile è trascinante, tendi ad andare avanti in maniera automatica). Se non altro, mi son tolto il dente.

Per chi non la conoscesse (qualcuno che non faccia parte dei 9652 anobiiani) la storia è comunque abbastanza prevedibile: la vita di Barney Panofsky raccontata da lui medesimo in vecchiaia, poco prima dell'accelerazione del proprio declino. Alcuni potrebbero indicarla come la storia di uno stronzo, altri come quella di uno che ha capito tutto dalla vita e se l'è goduta il più possibile. 
Niente di tutto ciò. Oppure no?
E' una storia di una vita. Come tante. Barney è un alcolizzato canadese di origini ebraiche, costantemente alle prese con i pregiudizi e le ortodossie delle varie culture in mezzo a cui si è ritrovato a vivere. E' la classica persona nata in una famiglia povera, a tratti controversa, con un suo personalissimo modo di approcciarsi alla vita ed alle varie situazioni che presenta. Il padre in particolare. Piedi ben piantati in terra e camminare, se non si vuol essere travolti. Magari con la giusta dose di pelo sullo stomaco e umanità, per non ritrovarsi schiacciati dai rimpianti. Ed è proprio questa la figura che più cambia dal romanzo alla pellicola, in cui, con la faccia ammiccante e malinconica di Dustin Hoffman, viene sgrezzato e ripulito. Reso piacevolmente eccentrico rispetto alle spinosità mostrate nel libro.
Ma il succo resta lo stesso. Barney si ritrova fin da giovane indurito, schivo. Pieno di slanci di vitalità imbevuti di alcool e sigari. Con un fiuto per gli affari istintivo e acutissimo,  in grado di far fruttare quella parte dell'intrattenimento che, ancor oggi, sembra essere sempre più malauguratamente indispensabile: la televisione più low-pop e maleodorante che ci si possa immaginare (pura spazzatura di serie z, per intenderci).
Dopo un centinaio di pagine di salti avanti e indietro nel tempo (fortunatamente condensati nei primi minuti del film, se non tagliati del tutto) ci si ritrova a seguire le sue scorribande parigine (che diventerà Roma per motivi di produzione) in mezzo ad artisti, intellettuali e futuri leader di diritti civili su cui riuscirà sempre ad ironizzare (un po' per invidia, un po' per leggerezza) e ad aprezzare contemporaneamente le caratteristiche personali. 
Da stronzo insensibile a giullare amorevole, potrebbe essere una delle condensazioni di come lo si scopre proseguendo nella sua storia.
La classica persona costreatta a nascondere la propria tristezza dietro un cinismo dionisiaco, incapace di evitare una personalissima forma di autodistruzione o casini apocalittici; "salvata", almeno per un po', dall'incontro del proprio vero amore (conosciuta alla festa del suo secondo matrimonio) di cui, in entrambe le versioni, viene fatta un'ottima sintesi in meno di un minuto e con brevissimi stralci di vita domestica.
La parte della sua vita che interessa farci vedere non è quella tutta rose e fiori. Per quella basta un piccolo sforzo d'immaginazione. E' lo scavo, il rimpianto, lo spaccamento interiore ad interessare.
Bareny è una persona come tante. Costantemente alle prese coi propri fantasmi e i cui scheletri, alla fine, non sono altro che una serie di abiti, più o meno pregiati, ammassati nel proprio armadio.

Consiglio, com'è ovvio, di leggere prima il romanzo. Le prime cento pagine sono un po' confuse ma è giusto così. Provate a cominciare a tenere un diario autobiografico, all'inizio sarà un vero pastruglio. Ci vuole tempo per trovare una sorta di linearità senza autocensure. Superato "l'ostacolo" il resto scorre con piacere, se, come ho fatto io, non siete già stati in sala.
In ogni caso, scegliete pure la forma narrativa che più vi aggrada, cambia veramente poco da una versione all'altra. Il Barney di carta è certamente più controverso e completo, nella sua complessità. Sullo schermo risulta (e non solo lui) ammorbidito, più lineare. Meno "sporco" di vita ma pur sempre lui stesso.
Una bella storia, la cui forza sta nel rendere straordianria l'ordinarietà della vita. Forse è proprio per questo che ha scatenato delle tale passioni nei lettori. Si possono cambiate luoghi, tempi e personaggi, provando a guardare se stessi e chi ci circonda allo stesso modo. 
Nella sostanza cambierebbe davvero poco.
Ma è un'azione fottutamente difficile da fare e libri come questo servono forse a conoscersi un po' di più.
Almeno credo.

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