venerdì 18 marzo 2011

Il mio 150°

Dal 150° anniversario dell'unità d'Italia sono tornato a casa piacevolemente sfiancato, con alcune riflessioni preziosissime in saccoccia e con sensazioni più positive rispetto al passato riguardo alle macerie implosive della società in cui viviamo.
Partiamo dal finale.
Da una piccola, splendida, calda, accogliente biblioteca nei pressi di Bologna dove i Wu Ming hanno sfoderato una serata da vere rock-star (qui la prima parte), con una celebrazione spacca sinapsi, ubriacante, che ha tenuto tutti i presenti incollati alle sedie per due rapidissime ore. Tra i molti spunti, riflessioni e digressioni storiche oblique che mi si sono ingarbugliate in testa, ci sono due aspetti che mi sono rimasti più impressi degli altri.
Il concetto di familismo amorale come descrizione oggi ancor più attuale dell'italianità più cupa e visibile e la molteplicità di significati che il tricolore può assumere in diversi contesti spazio-temporali. Tornando a casa dal centro, ieri mattina, io e la mia compagna riflettevamo sulla reazione automatica che scattava nel vedere le bandiere alle finestre. La mente tornava a qualche anno fa, quando esporrle significava essere d'accordo con l'intervento militare in Iraq. Oggi, ci chiedevamo, chi li espone, per quale motivo lo fa?
Rigido nazionalismo? Adesione pavloviana all'evento? Espressione di sentimenti e simbologie più complesse?
Durante la serata si sono dispiegate delle possibili risposte. Tanto semplici e potenzialmente immediate, quanto facilmente scordabili. In un periodo come questo, in cui i colpi d'accetta verso tutte quelle istituzioni espressione della Costituzione, esibire il tricolore significa fare un primo passo per difenderla.
Oppure, in una regione come il Veneto, che secondo le induzioni dei media potrebbe essere chiamata Padanialandia, può significare affermare con fermezza la propria non appartenenza alla Lega.


Quello stesso partito che, mentre giravo per le strade in festa di un quartiere di Bologna chiamato, guarda un po',  proprio Cirenaica (e, cent'anni dopo questi fatti, alla luce delle notizie di oggi, suona un po' sinistro), ha attirato la mia attenzione con questo cartellone.


Inizialmente l'occhio mi era caduto sull'anziano e sul bambino, il resto ancora fuori fuoco, e ho pensato: Guarda un po', una pubblicità contro i recenti tagli di governo al welfare. Poi ho messo a fuoco ed è salita la rabbia. Che cazzo vuol dire "prima i bolognesi"? Che il melting pot di ragazzi con cui lavoro a scuola tutti i giorni, nato e cresciuto in questa città, è da considerare a me alieno? Che "i primi" devono superare un qualche esame araldico, dialettale ed estetico? Che Nassim, Adam, Yuan ting, Jack, Mirel, Alexandra e tutti gli altri sono concittadini Z? Dotati di una qualche dose di disumanità? E il discorso vale anche per i vari Alessio, Paola, Daniela, Federica eccetera eccetera eccetera le cui famiglie vengono da altre parti d'Italia?
Mentre auguravo colpi a destra e a manca ho alzato lo sguardo, sui caroselli della strada. Musicisti italiani, cori ucraini, ballerini equadoregni, sapori ed odori da tutto il mondo, risate di bambini colorate e sgargianti, intrecci improbabili e deliziosi di lingue giravano intorno al cartellone irridendone la vomitevole idiozia.




 Ecco, è a quel punto che ho provato un certo, seppur sempre cauto, senso d'ottimismo verso il futuro.

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