martedì 29 marzo 2011

Ritagli futuri


[La storia seguente è stata ispirata dalla lettura di questo avviso e di questa lettera, dalle loro proiezioni nel futuro dai seguenti possibili riflessi Alcuni di questi avvenimenti sono inventati di sana pianta, alcuni veri, ma più o meno stravolti. A voi scoprire cosa sia cosa e quanto.
Resta il fatto che non solo a livello nazionale, ma per forza di cose (?) anche regionale, cominciano a vedersi i frutti della fantasia contorta e spezzata di persone che a colpi d'accetta stanno radendo al suolo tutti quei settori che, a prezzi miserrimi, operano ogni giorno a 360° nella prevenzione e promozione della salute. Nelle scuole, nei quartieri, nelle comunità. 
Dedico a loro tutti questo breve scritto.]

          - Eccoci qua, la tua postazione. Cuffia… telefono… e roba varia… dove è che sta l’elenco? Tò mò, per smistare le chiamate. Un po’ lunghino, ma ci si abitua in fretta dai. Oriano lo teneva tutto a memoria e serviva meno della metà di te, serviva… ‘zzo manca? Aaah sì, la password per il computer. Per quel che ti serve. Non so neanche se c’è internet qui dentro, e comunque pôc pugnàtt, non so se mi spiego. S’ha da lavurèr que dente, altro che balle. Ci sono domande?
         Si gira e lo guarda. Perfetto meccanismo polveroso e bisunto maturato fino al marciume nella macchina burocratica. Non avrà quarant’anni, sto pavone grigio. Silvestro si guarda intorno. Mica abituato a dei palazzi così lui. Prova ricambiare lo sguardo, ma agli occhi nemmeno si avvicina. Si ferma poco sotto lo zigomo e borbotta un arrossato tutto chiaro - tòcaro - devia lo sguardo e fa per sedersi. Poi si gira, allungando la mano in un riflesso di galateo. L’altro la scansa. L’altro non la vede nemmeno,’zzofregammè. Alza la spugna destra e si contorce in un rictus.
         - Benessum! – esclama contundendo la spalla - puoi cominciare allora. Buon lavoro e… poche cazzate.
         Sulla bocca, una lama serrata

         Silvestro si siede, sul primo giorno di prova, sei mesi più sei, se siam soddisfatti sei dei nostri. Si lascia cadere sui resti di una poltroncina a rotelle. Prende le cuffie in mano, collega lo spinotto, sistema gli occhiali. Non fa in tempo a metterlo a fuoco, che il pannello s’illumina a giorno.
         Sono le 7:31.

         Ore 10:45. Pausa caffè. Appare l’untuoso. Briciole e crema a tempestare giacca e camicia. Altra pacca. Gocce di caffè a macchiare la maglia. Di Silvestro.
         - Come procede?- indaga.
         - Mha... mi sembra maluccio. Abbiamo ricevuto una trentina di chiamate, tutti reclami, otto nei primi venti minuti. L’autista della fondazione, quartiere san Donato, si era scordato di avvertire che aveva le analisi, nessuno lo poteva sostituire e le famiglie non sono riuscite a portare i parenti al centro. Hanno detto che sporgeranno reclamo per le ore di lavoro perse.
         - Capisco… e dalla fondazione? Cos’hanno detto?-  gorgoglia dietro il bicchiere.
         - Bè… non saprei. Non gli ho mica sentiti. Anche perché nel frattempo mi hanno chiamato un sacco di scuole…
         - Ci hanno chiamato. Chiamano noi mica te.
         - D’accordo, ci hanno chiamato cinque scuole per dire che i gruppi ludico-intrattenitori non si sono presentati per fare il pre-scuola.
         - E ti credo, questa settimana scattava il cambio turno, toccava ai genitori dare il cambio ad i gruppi, lo san pure che non ne abbiamo trovati abbastanza per coprire ogni scuola. Ma gliel’hai detto a ‘ste scuole?
         - Veramente…
         - No perché ci han rotto i maroni che non volevano contattare loro le associazioni e le balle vari gestire i pagamenti ochealtro, che tocca al comune garantire i servizi e che fan già troppa fatica con la miseria che gli diamo (come se poi gliene servisse di più di grano per fare lo schifo che fanno), poi ci si mettono le famiglie che i servizi devono essere garantiti che non possono essere parcheggi dovi i bambini sono lasciati a se stessi perché sai com’è Cometichiami, è il paese del bengodi sto qua e mò ogni cosa è garantita. Mancononcifossero delle direttive. Dì mò, ma gliel’hai detto a ‘ste scuole di non rompere i maroni, che già è tanto se gli abbiam lasciato i bidelli, col bisogno di carabinieri che c’è? Che c’abbiam da lavurèr què e non possiam cagar soldi a comando? Glielo hai detto o no?!
         - Veramente non ero al corrente di questo cambio turno…
         - Come non eri al corrente bròtt quajan, ma cosa cazzo stai a fare là in fondo! C’è la sperimentazione incrociata stradario/quartiere che alterna ogni 13 giorni le associazioni o le polisportive coi gruppi di genitori volontari. Sennò come pensi che la coprivamo la città? Va mò a chiamare ste scuole e digli che se non stanno dietro al calendario per me possono andare a cagare!

Poco prima di pranzo. Cielo a neve.
- Scusi dottore, posso?
- Cos’altro c’è adesso.
- Niente, niente. Giusto un paio di cose. – ente, ente. Ustaio dicòs.
- Eccheppalle, ma sempre da me? Cominciam mica bene sai?
- …
- Epparla!! Ziocristo…
- Ecco… han chiamato dal comprensivo 7. Gli operatori mensa sono in sciopero.
- Zecchedimmerda, e perché mai?
- Questioni di contratto, contributi, malattia, minimo sin…
- Capito, capito, se la sbrighi il sindacato con lor là. E chi li paga. ‘zzo vuoi che mi freghi… C’è altro?
- Bè, sì. Mi ha chiamato un’educatrice da San Lazzaro. È quasi un’ora che aspetta l’auto.
- Eccheccazzo! Ancora? Fundaziòn ed merda… vabbè, chiamali e digli di sbrigarsi.
- G-già fatto, è che…
- Cosa?
- No-non hanno auto da mandare. Quella a dispo-posizione ha dovuto soccorrere un’anziana scivolata sul ghiaccio, sa che son tenute a prestar soccorso - ssacson tnut prstar scorso sussurra paonazzo.
- E non può aspettare ancora un po’? Nevica mica più…
- Had-ha detto che sse n-non mandiamo qualcuno avverte i genitori e ciffà d-denunciare. D-dice che è insieme a un ragazzo au-autissstico, molto agitato, dice che si è impuntato su-suuna rampa e non  vuole più uscire.
- Cosa? - lo fissa in silenzio- hai già mandato qualcuno, spero.
- …
- Ma boia d’un boia, adesso me lo dici?! ‘rcocazzo, ma lo sai che per ‘na cosa così ci rimetto il culo? Allora sei un coglione, dillo, un vero coglione!
- …
- Adesso te ti metti in macchina e voli là, voooli, e porti il cinnazzo a scuola. Cheppoi i conti li facciamo dopo. Forza! Filare!
- Sarei in moto - pigola impercettibilmente. Meno di un alito di vento.
- Nonmenefregauncazzocomesei!! Fila a prenderlo, pezzo di merda!!

Silvestro scatta. Scatta e si gira. Prende le scale evitando persone. Uomini grigi tra donne grigie dentro un palazzo senza colori. Salta i gradini. Due, tre. Quattro. Prende il motore e parte, il casco in mano. Preferenziali, marciapiedi, semafori, taglia ogni cosa, una falce impazzita. Meno di cinque ore e lo scatto è di quelli da cane di Pavlov. Non si ferma, non pensa. Quasi in apnea. Tutt’intorno scaglie di ghiaccio.
Finalmente arriva. E si sveglia. Non è a letto e la neve lo impregna. È uscito in maglietta, non se ne accorge.
Vede il ragazzo. Dondola avanti e indietro. Mano destra sul petto, incessante, l’altra a tormentare i capelli. A ritorcerli. Accanto, chi lo accompagna. Occhi grandi e profondi, neri di odio. Infinito e straziante. È il nemico. Lo sa. Non importa chi sia, cosa provi o si porti dietro. Sa di essere il nemico, l’ultimo riflesso di quella catena tirata che alimenta quell’odio.
Non dice niente, Silvestro. Toglie il casco e scende. Lascia la moto e va oltre.

Appena cinque ore e non sente più niente Il freddo sulla pelle, le parole sulle labbra. Negli occhi: immagini. Scorrono a scatti senza continuità di sorta. Spie che lampeggiano, pezzi di carne incastrati nei denti, il telefono, il portone. Il termosifone a due tubi.
La sedia sdrucita al centro di un teatro di specchi.
Cinque ore lì dentro e si sente così. Immobile e sdrucito
Guarda il verde opaco del parco. Il profilo delle colline alle spalle. Il bosco.
 Incrocia le braccia e si avvia. Verso casa.

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