lunedì 28 marzo 2011

"Il divoratore" di Lorenza Ghinelli

Se c'è una cosa che non mi è chiara (e forse mai lo sarà) è cosa si aspetti un cultore di horror e thriller. D'accordo, chiunque ami il genere e si sia mai avvicinato a Stephen King storcerà il naso davanti a qualsiasi altro piatto gli proponiate, ma la scelta resta vasta, in giro ci sono tante altre storie avvincenti e ben scritte che possono far passare piacevolmente una domenica pomeriggio formato divano e un lunedì mattina formato fila Inps (e con questo ho detto tutto...). Per questo non capisco  queste critiche, lagnanti e biliose, che svariati lettori hanno riservato a questo libro.
Forse sono dovute al grande clamore con cui quest'opera prima è stata salutata (non solo in Italia). Effettivamente accostarsi a qualcosa, o a qualcuno, che ci viene presentato in pompa magna porta con facilità a vedere deluse le grandi aspettative create. 

Personalmente, fino ad un paio di mesi fa, non avevo mai sentito parlare nè dell'autrice nè del libro, finchè non mi capitò di leggere questa recensione di Evangelisti, che mi convinse ad acquistare il volume. A posteriori, devo ammettere di trovarmi sostanzialmente d'accordo con quanto lì espresso. 
La storia scorre bene, ha un suo perchè, quasi atipica rispetto alle abitudini del genere. I personaggi, ottimamente caratterizzati con poche frasi molto ben centrate, bucano le pagine.  Gli adolescenti in particolare. Sarà anche vero, come sostengono molti detrattori sopralinkati, che la narrazione a tratti procede ondivaga, in un tourbillon di punti di vista e che l'uso di alcuni termini può risultare forzato, ficcato in bocca ad un ragazzo. Questo se si vuole scomporre in maniera fredda e meccanica la storia, estrapolarne piccoli particolari, infime minuzie, finendo così per perdere di vista il ritmo incalzante, lo stile inusuale con cui si sviluppano, rapidi come stoccate, gli avvenimenti. La scrittura poi, se ben gustata come suggerito da Evangelisti, alza non poco il livello della storia. E quelle che possono essere definite semplici frasi ad effetto, se ci si riesce ad immergere nel loro flusso, altro non sono che ottime scelte stilistiche, quasi cinematografiche. Zoomate e primi piani su piccoli dettagli che piantano negli occhi ogni cosa. Movimenti impercettibili inclusi.
Inoltre, sfido qualunque scrittrice o scrittore ad esprimere con tale immediata chiarezza cosa possa significare non solo relazionarsi ma anche essere autistici. Basterebbero questi scorci fulminanti a ripagare il prezzo di copertina (tra l'altro veramente accessibile). Non scherzo.


Per quanto riguarda la storia non voglio dare anticipazioni. Vi basti sapere che i personaggi, come scritto nel risvolto, sono un bambino di 7 anni massacrato da una vita di merda, la cui unica fuga sono filastocche inquietanti; il suo unico amicoe vendicatore, l'Uomo dei Sogni, un ragazzo autistico di 14 anni e la sua educatrice. In una Rimini sospesa tra l'orrore di Derry e quello di Wonderland. Stop. Se interessa altro correte a leggerlo o cercate spoiler altrove.
Tra le varie critiche sentirete parlare del finale, secondo alcuni raffazzonato e sbrigativo. E' la solita storia. Generi come il thriller e l'horror o finiscono male, lasciandoci più incazzati di prima, o si aggrappano a colpi di coda improvvisi. Deus ex machina tanto prevedibili quanto inaspettati che risolvono la situazione. Anche il mio adorato King soffre dello stesso problema e non c'è niente da fare: un genere che ci sbatte in faccia gli orrori del mondo, scaricandci almeno temporaneamente pure dai nostri, ricorre spesso a situazioni manichee. I protagonisti si scagliano contro incarnazioni maligne (lo stesso divoratore, per rimanere accostati al Re, non può non far pensare ad un moderno Pennywise made in Romagna) portandosi dietro il proprio bagaglio di fragilità e sozzure. Ma contro la magia nera è necessario ricorrere a quella bianca, alla semplice forza vitale che ognuno porta dentro di sè. Purtroppo questa scoperta, le varie forme che assume in questi racconti, risulta spesso stridente, cogliendo chi legge impreparato, lasciato in mutande in mezzo alla strada.  Spesso si racconta la nascita del Male, ma non del suo antidoto. Da qui le accuse di finali poco solidi o "tirati via.

Non ho da aggiungere, se non che con questa prima opera la Ghinelli si è rivelata una scrittrica da tenere assolutamente d'occhio. Per l'uso delle parole, la sensibilità traboccante e la determinazione.
Chissà quante ce ne sono in giro, di scrittrici così, che ancora ignoriamo!

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