domenica 26 settembre 2010

sKOla - echi da una riforma (II parte)

Ho sentito parlare della crepa nell’aula 18 ma cazzo non ci potevo credere. I rega ne han dette di storie sulla vecchia aula, un vero fottìo e non basta un quadrimestre a campanarle tutte. Tra quella sull’anima del Zeno, il bidellaccio rosso che ci rimase negli scontri dell’occupazione del ’19, ma dicono tutti che se la cercò di brutto, il bastardo, e che lo spararono per errore; quella sulla forza galattico-magnetica o stronzate simili da secchiafrocetto, come la condenzione del dolore della scuola o puttanate varie. Che coglioni! Ancora lì a credere a ‘ste favole da pippettari new age. Penosi. Diceva Achille (e va là che di bazze non ne ha poche, lui) che probabilmente è una tattica da vecchi revisionisti (studentelli o intellettualini dell’università), che piazzavano ‘sti ampli sparastronzate per cuccarsi le simpatie degli studenti più idioti delle famiglie più zozze e per questo l’aula fa da magazzino. Ma dalle altre scuole ‘ste storie girano zero e importa sega. Entro e c’è un rumore. Mica alto, eh, ma impossibile non sentirlo. Vien proprio da dietro le berte a compressa, i dizionari di latrino, le guide Gelmi J in“Smsese – Italico; Italico – Smsese” e le casacche balilla per il campionato scolastico. Cazzo s’è fitto ‘sto posto! Beh, sai che faccio? Prendo il mangano, che non si sa mai sia un barbone o una merda di zingaro, negro o extra del cazzo che già se ne vede qualche ancora in giro ma qua dentro non ci devono entrare, RAUS! o son cazzi. Noi regàz scherziam mica. Che magari poi hanno fregato un cell e son lì che chiamano a casa loro, bastardi, che ci tornano pure invece di star qui. Vabbè, mi avvicino e il rumore si fa più forte, come un cine, un mp3 o giù di lì. Mica è una voce, son tante. Una sopra l’altra che quasi non si campana una sega. Mi faccio vicino e sai che è? Voci del cazzo di una lezione del cazzo. Solo che devo portare alla Galli una guida J che sennò i temi te lo scordi che li corregge ‘sta impedita, poi dopo c’è lezione col sergente (marcia e tiro) e se faccio tardi m’incula a suon di flessioni e mi tocca la ronda 7 un’altra volta e stasera c’è la partita con il Livorno e a ‘sto giro qualcuno ce lo facciamo rimanere, mica cazzi, che col Bonomia Lux si scherza mica.

Prende una guida e si gira. Le voci già sbiadiscono dagli inchiostri della testa rasata. Poche falcate ed è fuori.
Le voci no, quelle restano. Spillano dalla crepa del muro portante, un po’ alla volta. Non toccavano orecchio da tempo, parevano intimidite. Se potesse sentirle, la nuova armeria in noce capirebbe come ha fatto a finire lì in quella stessa stanza carica di muffe e vecchi suoni. Stanno parlando anche di lei, della strada spianata al suo arrivo. Dell’ultima, enorme, classe che ha avuto per aula la 18, trasformata in magazzino a causa delle strane voci percepite con sempre maggiore frequenza dagli studenti.
Radio Crepa, la chiamavano verso la fine, voce delle verità. Si potevano udire espressioni e discorsi di professori, studenti, segretariati, educatori e ministeri. Da tutta la penisola. Una micro cassa di risonanza fatta d’echi, calce e vecchi mattoni a cui arrivava e scaturiva di tutto, perfino una rivolta considerevole, per i tempi. Giunta ai piani alti la notizia (era il periodo delle “Riforme Restauro”) era stata attivata celermente la circolare 88/d3u7x4 con ordine di chiusura dell’aula al personale non autorizzato, pena la soppressione dell’intero liceo.
Ed oggi, proprio ora che l’acido sudore del giovane centurio continua a percepirsi, si possono sentire le voci della vecchia classe 18. Settembre 2011, quando il Maggiore Morris (Morrisi alla nascita, i finale troncata per “gagliardizzare” il cognome, a sentir lui) fece il suo ingresso marziale in V A, dando il via al tour di raccolta crediti formativi richiesto dal ministero.

- Rega oggi gran bazza, salta greco! - sbercia Renato scalciando la porta. Si spegne la baraonda, tutti i fari sono per lui.
- Finetti, alzati un po’! - dice a un compagno alzandolo in malo modo e spingendolo verso i posti in piedi in fondo alla sala.
- Che palle Renni, ma sempre io?- pigola il ragazzo dall’aspetto tisico mentre raggiunge i compagni di turno al muro portante .
- Non rompere i maroni Finetti che sennò vedi. Eppoi oggi in prima fila ci sto io, che m’interessa. Viene uno a parlar dei nuovi crediti formativi, altro che scacchi o pugnette simili, eh Fengiuz? –
In risposta, un grugnito.
In classe dilaga un crescente mormorio. Saltare greco il giorno della versione è un evento raro. Voci, ipotesi, ricostruzioni campate in aria si tessono intorno al silenzio di Renato che, in bilico sulla sedia ostenta una compiaciuta indifferenza al caos creato. Chi assicura che la prof è malata, ma no, è morta, ma che dici, è fuggita con l’amante in qualche luogo tropicale; chi sostiene che sia accaduto qualcosa di grave che riguarda la scuola, durante la notte, e che Renato lo sappia perché figlio del sindaco, ma se è così non ci si spiega la sua presenza; altri ancora convinti che verrà la preside, chissà, con le forze dell’ordine, a portar via Tommaso che si è sempre saputo gli ambienti che bazzica ed uno come lui in scuole come questa non è visto affatto bene, una cazzata delle sue, senz’altro, e questa volta non gliela fanno passare liscia; Tommaso poi butta lì per provocare che verranno gli acchiappafantasmi per le voci che si sentono ogni tanto in aula ma un coro di va a caghér! lo zittiscono subito facendolo tornare alla sua lettura polverosa. Si aggiungono altre ipotesi di ogni genere e declinazione e più il tempo passa più diventano assurde e senza senso, mentre il sorriso di Renato occupa ormai metà della faccia solitamente accidiosa. Metà classe è ormai in preda ad una curiosità morbosa, quasi fisica, e comincia a inventarsi stereotipie di ogni tipo; l’altra metà freme in silenzio, logorandosi in silenzio. Solo Renato se la gode e continua a dondolarsi fischiettando un motivetto irregolare a tortura dei due gorilla spacciati per amici che gli siedono accanto, altrettanto se non maggiormente curiosi del resto della classe; anche Tommaso, a ben guardare, pare indifferente, arroccato su un passo di difficile interpretazione (purtroppo il titolo dell’opera non è dato a sapersi).
Un meccanismo perverso, a cui sembra non esserci rimedio, dilaga e strazia gli astanti, neanche lo sguardo arricciato da miope, della professoressa di greco sembra funzionare, questa volta. A squarciare la tela perversa, un verso rugginoso, quasi metallico, una secchiata a 32 gradi fahrenheit chiusa dal colpo secco di due tacchi spessi tre dita.
- AAAAAT-TENTÌ!
Sulla porta si staglia un uomo in divisa. Neanche tanto alto in verità ma terribilmente imponente. Mento squadrato, cranio rasato, postura rigida, sguardo ferino. Il viso glabro tranne per un mimetico paio di bianche sopracciglia si sposta ad osservare tutti i presenti alternando da Renato a Tommaso, tutte le gradazioni di severa curiosità e feroce disprezzo.
Il silenzio creato si fa più pesante, opprimente. Riempie ogni angolo e incatena ogni pensiero, perfino nella professoressa. Dopo un minuto carico di tragedia gli scarponi del tizio si muovono fino alla cattedra, dove viene depositato un fascicolo spesso due palmi.
- Buongiorno. - spara verso la classe attonita piantando i pugni sui fianchi.
- Pfff… sembra Totò in un film di guerra. - sussurra Melchiotti a Tommaso, che finge di non sentire.
- Ho detto BUONGIORNO! - cannoneggia fulminando i ragazzi. Il mormorio in risposta scatena un grido ancora più alto e l’imposizione ad alzarsi in piedi, quando salutati da un superiore.
-…cioè, da un adulto. - si corregge il maggiore ripiombando in un penetrante silenzio che riesce a mettere a disagio perfino Renato.
Passa un altro minuto e il maggiore riprende a parlare. – Come dicevo, buongiorno a voi gioventù dell’oggi, futuro della nazione! Sono il maggiore Morris, qui dinanzi a voi su precisa indicazione del ministero. Vi illustrerò celermente i nuovi crediti formativi curricolari entrati in vigore su scala nazionale da quest’anno dopo le sperimentazioni a livello regionale di quello precedente. Ci sono domande? Bene, nel caso, riservatele per la fine e che siano brevi. Non ho tempo da perdere, io. E nemmeno la vostra professoressa, vi aspetta una versione di greco, dopo. - sguardi d’odio verso Renato, non più così spavaldo come al solito, ma per un attimo, poi di nuovo verso i tratti lignei del maggiore.
- Giovani, per chi non lo sapesse viviamo in tempi difficili, duri e allarmanti. Il paese diventa ogni giorno più degradato, insicuro e pericolante, e sapete perché? Perché siamo in un costante pericolo di attacco. Su tutti i fronti! I nostri sacri confini e le nostre tradizioni vengono costantemente minati dall’interno e dall’esterno. Ci è stata data la tecnologia ed ogni mezzo per il sollazzo, per allontanarci dal sano cameratismo che contraddistingue ogni uomo e donna degno d’essere chiamato italiano! Ci si vuole rendere triste isole, frammentate, mentre il barbaro invasore s’insinua nel nostro tessuto sociale appropriandosene poco per volta, i-ne-so-ra-bil-men-te!!! Chi di voi sa cosa succede la sera per le strade? Chi di voi si rende conto dell’erosione a cui assistiamo giorno dopo giorno? Alle innumerevoli sofferenze che i nostri concittadini sono costretti a sopportare giorno dopo giorno e a cui lo Stato non può più far fronte come vorrebbe, per colpa di biechi figuri che trattano la politica come un mestiere qualunque, accusando, boicottando e calunniando chi, giorno dopo giorno, tanto s’adopera per il bene del suolo natio. Sì professoressa, lo so, non siam qui per fare politica, ma è giusto che i giovani sappiano, che si preparino, che comprendano quanto ci sia bisogno del loro agire per riprendere in mano le redini di questa povera Italia, ma non solo! anche di quella povera vita a cui andranno incontro se non faranno presto qualcosa, se resteranno fermi ed inermi davanti agli schermi dei loro computer e delle loro televisioni. Giovani, studenti, futuri uomini e donne italiani, i vostri compatrioti lombardi già da un anno stanno provando il corso “Allenati per la Vita”, un corso in cui le varie attività proposte permettono di avvicinare, in modo innovativo e coinvolgente, il mondo della scuola alla forze armate, alla protezione civile, alla croce rossa e ai gruppi volontari del soccorso tramite attività ludico-formative quali lo sparare con pistola ad aria compressa, il tiro con l’arco, l’arrampicata ed il confronto con percorsi ginnico-militari d’impronta rigorosamente appenninico-alpina che prevedono una gara pratica finale tra le diverse pattuglie di studenti. I vostri collegi e fratelli lombardi già da un anno praticano questo corso gagliardo e i risultati già si vedono sul campo: il tenore di vita è migliorato del 40% rispetto all’anno precedente, il Pil del 23% e il tasso d’ottimismo ben del 62%. Ma non è tutto, da quando le pattuglie, in primavera, sono state presenti sul territorio l’immigrazione clandestina è diminuita ben del 38% e con lo spaccio di droghe nelle strade, il degrado cittadino del 49% e l’incidenza di tumori ben del 87%! Lo so, dopo un solo anno è ancora presto per capire se sia tutto merito dei nostri corsi, a cui, vi ricordo, ha aderito con entusiasmo la maggior parte degli studenti. Perciò mi rivolgo a voi, nostro futuro, cosa volete fare? Rimanere con le mani in mano? Tu per esempio! – sbraitò indicando l’ormai cinereo Renato – sono sicuro che saresti un capo pattuglia fenomenale, abbiamo già tantissimi iscritti dagli istituti tecnici che necessitano delle vostre fresche menti per essere guidati alla gloria. Cosa aspettate dunque? È un’ occasione unica, irripetibile. In più, come previsto dal decreto 9846/bis approvato ieri sera in senato, l’adesione a tale gruppo faciliterà non solo la carriera liceale et universitaria ma perfino le possibili carriere nelle professioni future. Chi ama e risponde alla propria patria da questa sarà ricompensato. Ricordatevelo! –
Detto questo arpionò Renato per il colletto piazzandogli in mano il fascicolo di volantini da distribuire ai compagni.
- Veloce ragazzo, che la morte non aspetta. Ho già parlato con tuo padre che mi ha assicurato di poter contare su di te e sul tuo entusiasmo. Ci sono domande? - sbuffa al resto della classe con fiera esaltazione.
Tra lo sbigottimento generale si alzò una mano. Sia il maggiore che la professoressa avevano notato la febbrile attenzione e velocità con cui Tommaso aveva preso appunti durante la presentazione. Si era infatti segnato tutti i passaggi ritenuti poco chiari, le percentuali e statistiche allucinate e le inquietanti asserzioni che riteneva infrangere la legge 645/52. Scostato il ciuffo e piantati gli occhi in quelli gelidi del maggiore, stava per aprire bocca quando la professoressa gli aveva intimato di andare in presidenza senza fiatare, pena la sospensione, permettendo così al maggiore di uscire indisturbato da una classe messa al sicuro da domande spiacevoli.

Uscito di classe il maggiore venne accolto da un uomo azzimato, capelli bianchi, occhi incavati e cerchiati da troppe ore di sonno arretrato.
- Complimenti maggiore, ottimo discorso. Un po’troppo morbido, se mi permette. -
- Ci mancherebbe signore – disse chinando il capo – cercherò di essere più incisivo nelle prossime classi. –
Uno sguardo d’intesa e l’uomo in nero scendeva già le scale, diretto all’uscita. Tra il primo e il piano terra s’incrociò con un ragazzetto moro, dinoccolato, impegnato in una rapida telefonata da corridoio.
- Non puoi immaginare Albè, che cazzo di discorso ci ha fatto quel tizio! E gli altri imbecilli tutti ad ascoltarlo estasiati! Giusto Renato s’è cagato sotto, l’ha capita lui la solfa, non ne ha mezza il fighetto. Sì, sì, pura apologia ti dico, non puoi capi…-
Una mano secca a chiudergli il telefono, dietro, un ghigno giallastro. L’indice sulla bocca del ragazzo, deciso e pungente.
- Meglio star zitti, ti pare? – con fare mellifluo – Torna ben in classe e pensa a studiare invece. -
Il ragazzo rimase lì qualche minuto, poi tornò in classe.
Era l’unico a non aver ancora aderito al corso.

(Piccola storia ispirata dalla lettura di articoli come questo e questo.)

giovedì 23 settembre 2010

Da lontano era un'isola







Da lontano era un'isola è un libro di Bruno Munari pubblicato nel 1971 per le Emme edizioni, ristampato prima da Einaudi e poi da Corraini.
Il titolo prende spunto dalla osservazione diretta di un sasso che da lontano assume la forma di una perfetta isola con castello. Nel libro si possono trovare tanti spunti interessanti per aprire le porte all'immaginazione. Ogni sasso che Munari ci presenta racconta una storia:

Visti da molto lontano alcuni sassi sono come un piccolo mondo con i loro continenti le isole i mari. gli astronauti vedono così il pianeta Terra avvolto nelle nuvole.


Solo i bambini e gli adulti che rimangono bambini possono raccogliere gli echi di queste storie fantastiche, provare per credere, basta impegnarsi. In realtà è più facile di quanto sembri, basta trovare una spiaggia dove ci sono tanti sassi ed iniziare a camminare con gli occhi ben puntati a terra. Può risultare utile passeggiare con un piccolo contenitore dove riporli e con un paio di Super occhiali per non affaticare troppo gli occhi che come vedrete si stancheranno molto nella ricerca. Ogni sasso è diverso dall'altro. Sono pezzi unici. Tante Opere d'Arte. Facciamo come ci consiglia Munari e impariamo a giochiare con l'Arte osservando questi Micromondi dove è possibile ancora sognare.

Giocare con l’arte? Ma capiranno? Così piccoli, capiranno cos’è l’Arte?
Capire cos’è l’Arte è una preoccupazione (inutile) dell’adulto.
Capire come si fa a farla è invece
un interesse autentico del bambini.

P.S: Con i sassi si possono fare tante attività didattiche a scuola, si possono usare come alternativa ai soliti strumenti e sono validi anche per attività con soggetti autistici.
Credere per provare!

sabato 18 settembre 2010

2H non mi piaci!

Compiti Itineranti è un rubrica che raccoglie compiti che svolgiamo quotidianamente nel lavoro che facciamo a contatto con i bambini. La novità assoluta consiste nel dilazionarli all'interno del Blog come approfondimenti tematici per approfondire in maniera del tutto disinteressata quelli che sono i temi più cari ai bambini.
Partiamo dal primo.


1)Il materiale scolastico

Dicesi materiale scolastico quell'equipaggiamento che fa del semplice bambino uno studente: quaderni a righe e quadretti, astuccio contenente penne, matite, righello, temperino, colla e forbici, gomma da cancellare e colori vari. Entrando nello specifico tempere e acquerelli, album da disegno e carta lucida, compasso, squadre, regoli e Abbecedario se partiamo dall'inizio. Una volta avremmo aggiunto anche grembiule e fiocchetto ma visto che i tempi sono cambiati accontentiamoci della moda tout-court.
Il corredo di ogni singolo alunno è fondamentale e vieno spesso usato come una specie di carta d'identità che i bambini amano esporre sui loro banchi da lavoro. Basta osservare con attenzione come e con quale cura il bambino sta dietro alla sua piccola cassetta degli attrezzi per arrivare con pochi elementi a capire se dietro si nasconde un vero bricoleur. Ai bambini che si apprestano a riempire le pagine di lettere in corsivo e stampatello dovrebbero spiegare per bene che la matita 2H non perdona. Che dolore agli occhi vedere queste pagine trafitte da segni chiari e poco visibili ma così profondi da sembrare punta secca. Anche se cancelli mille volte il segno rimane e l'errore diventa sempre più nitido, incisivo, assillante a ricordare che la grammatica non perdona. Le sbavature di matite rosse e blu anziché contornare gli articoli si espandono a macchia d'olio, un tripudio di colore. I bambini quando si trovano faccia a faccia con questi errori si innervosiscono e pretendono che la maestra abbia la Super Gomma per cancellare, una volta per tutto. Ogni volta che la scena si ripete ripenso agli anni in cui facevo le Elementari. Ricordo la maestra così precisa e meticolosa: oltre alla succulenta lista di cose da acquistare aggiungeva i nomi delle marche migliori, una forma molto autorevole di pubblicità meritata che faceva la fortuna dei piccoli cartolai dell'angolo e che permetteva di non sbagliare.

Se l'ha usata la maestra non puoi sbagliare
!
Se te la consiglia la maestra vuol dire che funziona, provala!
Signora, la Maestra si rifornisce qui da noi da anni, queste biro sono le migliori
E come non darle torto, quella sì che era una Maestra con la m maiuscola, di quelle che quando entrava in classe ti veniva da stare in silenzio perché avevi voglia di starla ad ascoltare.

I pastelli Giotto dal profumo indistinguibile di legno non potevano tradire il neofita ed anche se la mamma nell'acquistarli aveva imprecato un po', il rendimento era ottimale e questo le avrebbe fatto riconquistare il sorriso. I dieci fioccavano con esuberante facilità. Oggi le cose sono un pò cambiate. La lista è sempre lunga, non viene più scritta dagli alunni sul quaderno ma consegnata come un avviso da allegare nel quadernino delle comunicazioni. Una fotocopia che riporta il numero esatto del materiale che servirà al bambino. Per evitare qualsiasi congettura in termini di propaganda pubblicitaria si lascia tutto al piacere dell'interessato. Il genitore, lista alla mano, si recherà in uno dei centri commerciali più forniti e comprerà quaderni e penne a volontà risparmiando il più possibile per mettersene da parte una bella scorta. E così di matite 2H non una ma 20 e penne e colori a volontà. Se i maestri hanno smesso da un lato di consigliare i genitori sui prodotti migliori per la scuola dall'altro però diventano severi giudici quando vedono che i bambini sono costretti a scrivere con il materiale errato. Del loro declassamento qualcuno dovrà pur "pagare". Forse qualcuno obietterà che una penna vale l'altra e su questo potremmo anche trovare un punto daccordo ma sulla matita non è possibile. I bambini prima di arrivare alla penna devono imparare a scrivere con queste. Non so chi ad un certo punto l'abbia deciso, se sia giusto o meno, è così e AMEN.
Non bisognerebbe eccedere nella quantità ma ritornare alla SANA qualità, soprattutto per insegnare fin dall'inizio a rispettare gli oggetti, a tenerli con cura. Se una cosa l'hai pagata molto la custodisci come un gioiello. Questa è una regola universalmente nota. Posseggo ancora le matite, i cosiddetti mozziconi che usavo alle elementari ed ancora colorano bene. Il compasso di quando studiavo al liceo non ha perso neanche un colpo ed è ancora riposto nella scatola originale. A distanza di anni, quando i ricordi sbiadiscono è un oggetto, un frammento che spesso viene in aiuto a farci districare nel caotico dedalo dei ricordi. Non c'è Facebook che tenga. Il ricordo che nasce da un oggetto ritrovato che ci apparteneva e al quale eravamo affezionati è potente come una matita che per scrivere non sia nè troppo dura nè troppo morbida: semplicemente PERFETTO. Insegnare ai bambini che anche gli oggetti hanno una loro anima è utile e fondamentale in una fase di decrescita e RI-valutazione degli affetti materiali.

venerdì 17 settembre 2010

Lettera a Mary Poppins numero 1


Parti dall’inizio: Chi era tuo padre e chi era tua madre, che rapporto avevano e di cosa ti parlavano quando vi sedevate a tavola, procedi con i voti che prendevi a scuola, con le volte che hai rubato caramelle al bar di tua nonna, quante bugie hai detto, quante volte hai sognato di fare a pezzi la tua Barbie ed il suo Pony e poi quante possibilità eri in grado di elencare per fare in modo che non trovassero tracce sul luogo del delitto, riconosci te stesso e cosa vedi oggi in questa foto.
A ruota libera: Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto??? Preferisci il bianco, il nero o il colore? La Coca-Cola o l’aranciata? La madre o il padre? Hai mai rinnegato qualcuno? Chi rinneghi per primo e chi per ultimo, la tua maestra credi abbia mai pensato al suicidio o ad un omicidio di massa, il tuo migliore amico ha mai conosciuto il tuo bisnonno? Agorafobico o aracnofobico? Ti piace quando ti leccano l’alluce o ti piace di più vestirti da barman e camminare in piena eccitazione in mezzo alla gente? Hai mai pensato ad una montagna o ad un fiume e l’acqua era limpida o sporca? Limpida o sporca.
Interpretazioni non-sense: cosa significa mordersi le labbra o sudare freddo quando l’ascensore scende veloce, quando una macchina ti sfreccia vicina e pensi: oddio poteva mettermi sotto e non l’ha fatto, Sono salva!!! Ma che fortuna domani diventerò sicuramente migliore. Ecco un buon proposito per arrivare senza ansia all’altare, io come una giovane sposa e lui come un equilibrista convinto. Mary Poppins non sai che gli uomini non hanno mai posseduto un senso estetico per le calze e per tutto l’intimo in generale ed è per questo che oggi ti scrivo per salvarmi. Salvami dal piccolo Edipo con gli occhi piccolissimi dietro i suoi occhialoni da intellettuale che lo rendono abbastanza saccente e bifolco. Geometrie dei sentimenti, me lo hai insegnato te che a volte siamo punti massicci, a volte lunghe linee solitarie che si perdono all’infinito, attraversando luce e suoni, luce e suoni.
Una volta, ricordi, ho sbagliato ad osservare ed ho scambiato un sadico con Babbo Natale? Mary Poppins credo di non aver imparato la lezione ed oggi ci riprovo aggiungendo all’errore il gusto proibito che solo i miraggi sanno ottenere. Morgana e Pandora mi alitano alle estremità del letto tirando ognuna dalla propria parte. Prima che cambi il vento in modo favorevole mi piacerebbe che questi amici impazziti riescano a raccogliere i passi di questa melodica danza. Hai promesso di non farmi più soffrire del grave disturbo ossessivo-compulsivo, del Supercalifragilistichespiralidoso, non presente nel DSM quarto. L’anno prossimo forse per regalo verrà inserito nel quinto. Comincio ad appuntare i sintomi che riesco nonostante la fatica a rilevare. Nel frattempo Dio mi aiuterà.

P.S: ho bisogno di un nuovo ombrello e di un marito che all’occorrenza sappia di fresco e pulito. Per il resto puoi liberamente inventare tu. La fantasia non ti manca.


Con affetto e sinceRità- iLarità-cordiAlità-

lunedì 13 settembre 2010

"Sozaboy" di Ken Saro-Wiwa

La prima volta che ho sentito parlare di questo libro è stato ad uno speciale di "Che tempo che fa", ospite speciale Roberto Saviano. Si parlava, tra i vari argomenti, di letteratura, grande e scomoda, e di autori a rischio di morte per il proprio operato. Una storia appassionante, quella di Saro-Wiwa e del suo operato. Autore da segnare, cercare e leggere.
Poi vinse il divano. Penna e carta rimasero al loro posto e il suo nome, così complicato per orecchie zeppe d'occidentalità, finì nel dimenticatoio, lasciando qualche labile traccia di devo cercare... sotto soglia d'attenzione.
Fortunatamente quella presentazione non morì lì ed essere un autore di risonanza significa anche ridare voce a chi non ne ha più per forza di cose. Amplificarla, farle prendere il largo. Giudicarla no, non importa. Bastano un paio d'orecchie o d'occhi e la voglia di attivarli per far questo. Fattostà che girando in libreria mi cade l'occhio su questo nome in rosso Sozaboy e sul sottostante Saviano. Qualche movimento sinaptico e voilà, alla faccia del pigro dimenticatoio.
L'opera è particolare. Da una lato trascinate e vorticosa, dall altro di non facile lettura, visto lo stile arzigogolato e saltimbantico di scrittura (la traduzione dev'essere stata veramente pesante per il dicono ottimo Piangatelli) che fa parlare Mene, il sozaboy, in un candido creolo, quasi infantile nel suo sbilenco ragionare. Scritto in prima persona, salta e zooma da un tempo all'altro ponendo il lettore in situazioni da presa diretta, documentario ed antica reminescenza tra un capoverso, per non dire parola, e l'altro, ricreando il senso del casino totale della Nigeria '67/70. Come lettura non è leggera subito, a tratti frenetica, a tratti immobile e l'edizione italiana ha omesso il sottotilo d'avvertenza di quella originale: A Novel in rotten english. Non è solo l'uso della grammatica ma anche il lessico spiccio, le storpiature da pidgin del luogo, a sballottare il lettore da un tempo all'altro fino ad avere un senso d'eternità degli avvenimenti narrati. Si attraversano gli scenari della guerra del Biafra, delle nascenti corruzioni del delta del Niger, con lo sguardo ingenuo e troppo lontano dalle dinamiche di quella storia in cui si scopre intrappolato Mene.
Perciò, anche se la lettura a volte si fa incespicante, paerndo ripetitiva, la forza del libro in sè è unica, oggi come allora, 1985, anno di pubblicazione. Interessanti anche la prefazione e la postfazione, che permetteno a chi non mastichi liscio liscio di storia africana o di petrolstoria di comprendere meglio il periodo e lo spessore artistico ma sopratutto umano dell'autore.

mercoledì 8 settembre 2010

L'editoria secondo Roger Rabbit

Nelle ultime settimane si è parlato molto di editoria, etica e dello strano legame che le interconnette. Per chi non è pratico dell'ambiente (così come non lo ero e non lo sono io tutt'ora) si possono trovare, tra i tanti, spunti interessanti qui, qui, qui e qui (ma non solo, con un po' di pazienza, partendo da questi spunti, si possono aprire strade verso un sacco di altri collegamenti e punti di vista).
La querelle, per chi avesse meno pazienza, riguarda la Mondadori (e le case editrici ad essa affiliate) e le leggi ad aziendam a lei dedicate dall'odierno governo per evitarle di pagare al fisco una somma consistente di arretrati che sembra dovesse da parecchi anni. Bene, da qui sono scattate insurrezioni, strepiti e conati, crisi di coscienza in alcuni autori Mondadori e movimenti inneggianti al boicottaggio di massa degli autori che si fossero ostinati a rimanere in una tanto becera casa editrice. Fortunatamente, molti di questi autori, invece di arroccarsi in silenziosi parnasi maleodoranti, si sono buttati nella mischia, spiegando con estrema chiarezza le proprie ragioni, che la questione è mooolto più complessa di come sembra, essendo le case editrici e l'editoria mooooolto più complesse e articolate di come sembrano.
Condivisibili o meno (e sinceramente, su questo blog, si condivide) le loro argomentazioni non erano certo imputabili di scarsa chiarezza. Ma si sa. Non è sempre facile accettare che chi viene degnato della nostra stima possa pensarla in modo diverso da noi, in particolare quando si tratta di Mr B.
O fedeltà totale alla linea, o contro! pare di sentir riverberare tra le righe degli accusatori, e il groviglio che tanti interventi sembravano aver dipanato si è fatto sempre di più nodo scorsoio per i vari autori impegnati al dialogo. Ecco il vero boicottaggio, togliere tempo ed energie alla realizzazione delle future opere, non la minaccia di non comprarle. Il tutto, a nostro parere, è molto ben riassunto nell'allegoria usata da Moresco nel suo ultimo post, che tratta di questo video.
Il biscotto è Mr B, il bambino i populistici boicottatori della domenica, che con le parole di Moresco
non riesce a pensare ad altro, per lui tutto il mondo e la vita sono concentrati in quel biscotto che vorrebbe afferrare. E così si muove nella stanza con quest’unico scopo, a quattro zampe sul pavimento, si arrampica sul tavolo, sulle sedie, sui mobili, facendo franare ogni cosa. Ma a lui non interessa, non vede nient’altro, a lui interessa solo quel biscotto che cerca di afferrare mentre intorno a lui tutto crolla, con gli occhi fissi sempre e solo su quello, indicandolo con la mano e gridando: “Il biscotto, il biscotto!”
E Roger Rabbit? Il povero Roger (con le dovute differenze del caso) fa come i nostri sventurati autori. Cerca di riportare il bambino "sulla terra", dove oltre al biscotto ci sono tantissime altre cose da tener di conto: cose che lo sorreggono, che rischiano di crollare, di fare ancor più danni ecc ecc ecc.
Fortunatamente i vari autori linkati non sono costretti a sfracellarsi al posto di Baby Herman per colpa di qualche minaccia sul loro futuro. Hanno abbastanza palle e scorza dura per deciderlo. Il tempo è poco. Il bambino è stato avvertito. Ci sono un sacco di altre cose da trattare in quella stanza.
Che finisca pure lo stronzetto, sotto il frigo.

martedì 7 settembre 2010

L'invasione dei cloni - 2

L’ispettore era riuscito a entrare.
Era abituato all'attesa, in particolare di notte, quando i sogni sembrano soppiantare le ansie. O trasfigurarle momentaneamente. Ma quella sera era rimasto a suonare, battere e dar di gola per venti minuti buoni. Mica cazzi sotto l'ultimo scroscio prima dell'alba, e con l'agente Tonelli impegnato a cercare sul retro una finestra aperta.
A fine marzo. A Bologna.
Grande idea ispettore, si era detto Tonelli, se non altro non mi becco l'acqua solo io stavolta.
La casa, forse l'ultima bifamiliare della Cirenaica, era circondata da platani e magnolie. Dall'intonaco stanco, rosso sfumato smog, aveva la maggior parte delle finestre sbarrate e quelle dell'appartamento più piccolo scrostate e pericolanti. Il cancello d'ingresso, un ammasso di ruggine cigolante e il vialetto annesso, dissestato e poltiglioso.
In poche parole, un cesso di posto.
L'ispettore aveva osservato Tunél per qualche minuto, per poi arrendersi all'idea di una bella doccia fuori programma. In centrale avevano assicurato che la famiglia risiedeva proprio lì, dietro le croste spacciate per muri.
Ci mancava ‘na che'sa d’fantesmi, zio boia.
Prima di ritrovarsi fradicio a sbucciarsi le nocche contro un portone decrepito, pensando alle parole giuste per raccontare quel che era riuscito a capire dal ragazzone trovato poco prima, la serata era filata senza problemi di sorta. Il giro San Vitale-San Donato, con qualche puntatina in centro per restar svegli, era tra i suoi preferiti. Mediamente prevedibile nelle serate di pioggia. Niente più di qualche schiamazzo da ubriachi o accenni di rissa da teste di cazzo, che a Bologna, a chilometri zero o d’importazione, sembravano non mancare mai. In più stavolta era bastato mandare avanti Tonelli a far la voce grossa, senza neanche tirar giù il finestrino. Di lusso. Qualche settimana più avanti e si sarebbe fatto anche un gelato più trucco di magia da Bob e Costa, al baracchino prima del ponte.
Invece, poco dopo aver risolto una contesa amorosa in via Guerrazzi, avevano dovuto zigzagare tra le macerie del Civis fino alle luci dell’autoambulanza.
- Zio boia Tunél, mo dove hai imparato a guidare? Sì lóng come la mèsna ed såtta
- Sì ispettore - Tonelli non era pratico di dialetto – guardi, è là. Sembra un’aggressione, che dice?
L’ispettore aveva capito che la notte si prospettava ancora lunga, zio boia.

Alla dodicesima escoriazione (sua e della porta) era spuntata una luce dalla finestrella sopra la porta. Qualche scatto di serratura, sferragliar di catena e un’enorme paio di lenti da bottiglia sormontate da un’arruffata crocchia biancastra si era sporti con titubanza verso l’ispettore, per venirne immediatamente travolti.
L’ispettore era riuscito a entrare in casa, lasciandosi alle spalle pioggia, freddo e Tonelli. Poco male, prima o poi sarebbe riuscito ad entrare anche lui. Cominciò a guardarsi intorno, mentre i residui di calore cominciavano a colpire il fradiciume dei suoi abiti. La camera d’ingresso, una specie di soggiorno, era in penombra ma si riusciva lo stesso a vedere la montagna di stoffe, bottoni, grucce, tessuti, metri a nastro che la saturavano, nascondendo tavolo, divano e poltrone. Solo la vecchia cucitrice a braccio, svettava al centro della sala, fiera e severa. Avanzando di un passo, l’ispettore vide la porta che dava su bagno e cucina e quella che portava alle camere, al piano di sopra. Fece per avviarsi ma si voltò, distratto da un rumorino alle spalle.
- Mi scusi - tremolò la signora - lei sarebbe...?
- Polizia polizia… - disse laconicamente guardandosi intorno.
- Oddio! È successa una disgrazia… - mormorò la signora, a metà tra l’affermazione e la domanda, ripiegandosi verso terra.
Son proprio imbecille.
L’ispettore l’afferrò al volo, stando attento a non romperla. Dopodiché la portò a sedere in un angolo di divano libero e cominciò a spiegarle i fatti, cercando di tranquillizzarla. Non aveva ancora finito quando quattro colpi ruppero il filo delle sue parole.
- Ispettore! È dentro? Mi faccia entrare ispettore che qua aumenta ancora!
- Veloce inbezéll, e non urlare, che mi svegli tutta la strada. Signora Luisa, le presento l’agente Tonelli. Sarà a sua disposizione nel mentre che io ispeziono la camera.
- Ma ispettore…
- Zitto, bestia! - sibilò di sbieco.
La signora Luisa era ancora seduta, attonita. Da quando era diventata vedova aveva cominciato ad agitarsi sempre più spesso e per sempre più cose. Da un po’ di mesi inoltre, quando le capitava, faticava a respirare e veniva colta da terribili palpitazioni e forti capogiri. Era sveglia da poco più di dieci minuti e non ancora del tutto lucida. La paura con cui si era svegliata, sentendo battere e suonare alla porta, si era tramutata in sgomento quando era stata travolta da quell’energumeno zuppo di pioggia. Saputo essere della polizia, era piombata del tutto in un secco terrore. Era successo qualcosa al suo Pigi, era chiaro, qualcosa di grave, visto che l’ispettore non trovava le parole per spiegare l’accaduto e chiedeva con insistenza di visionarne la camera. Si sentiva mancare di nuovo ma riuscì a pigolare la richiesta di una spiegazione sulle condizioni del suo povero Pigi.
- Come? Gliel’ho detto signora, è vivo, non è ferito. Respira, è tutto intero e non sanguina. Solo che non abbiam capito un’acca di come possa essersi ridotto come l’abbiam trovato. Visto che neanche lei sembra sapere cosa era andato a far là fora le chiedevo se potevo dare un’occhiata alla stanza del ragazzo, già che son qui. Così non devo stare a far avanti e indie… cioè, così potevamo velocizzare un po’ le indagini ecco tutto.
La signora Luisa era riuscita a capire meno della metà delle cose dette dall’ispettore. Era troppo presa a continuare a respirare. Aveva però capito che Pigi era vivo e in salvo, anche se non stava bene. Indicò la porta alla sua destra esalando le indicazioni per trovare la stanza. Uscito l’ispettore restò sola con Tonelli, svenendogli di lì a poco tra le braccia.
Ci mancava solo ‘sta vciaza, dio bono. Mò chi lo sente l’ispettore quando ritorna?

Una firma che salva la vita

Dopo una lunga pausa estiva di meritato riposo torno alla ribalta per informarVi che in questi giorni è in discussione al Parlamento Europeo una legge sulla vivisezione che le aprirebbe le porte in tutta Europa. Questo naturalmente a favore dei soliti interessi economici che arricchiscono società che fanno del sangue il loro marchio indistinguibile. Fermare questo scempio è difficile ma se ognuno di noi si muove forse qualcosa è possibile ottenerlo. Se dovesse passare la legge si potrà sperimentare anche su cani e gatti randagi, senza anestesia, sperimentare anche in assenza di gravi motivazioni per la salute umana e purtroppo eccetera eccetera e eccetera. Vi invitiamo a firmare qui, compilando un semplice modulo per cercare di fermare l'ennesima legge sbagliata mentre se volete leggere il testo integrale della direttiva europea cliccate qui.

La petizione è promossa dalla LEAL (lega antivivisezionista).

lunedì 6 settembre 2010

sKOla - echi da una riforma (I parte)

Eravamo trentacinque. Neanche tanti a dir la verità. Oggi ci si trova ad essere un po' di più ma non troppo. È un fatto, ormai abitudine.
Allora no.
Quell'anno eravamo in trentacinque e l'aula, gialla e malandata, corsia di un ospedale senza cure per sintomi sempre più evidenti e numerosi, ci andava un po' stretta. Per carità, non che fosse piccola, avevamo visto di peggio. Adeguatamente arredata sarebbe riuscita a contenere i mobili necessari ad un ampio monolocale, angolo cucina e bagno inclusi. Invece a quelle quattro mura la sorte aveva riservato una serie di banchi e sedie non sufficienti a contenerci.
Non fu facile inizialmente, poi il tutto da amara consuetudine si trovò tinto d’ironia. È tinto d’ironia anche ora che i colori sfumano e gli attori sbiadiscono. Solo gli echi di voci, stridori e tonfi, che avevano martellato in continuazione, deformandole, finestre e pareti, faticano a sperdersi. Quasi che la pietra li custodisca, gelosa. O forse perché mai cessati.
Se si accosta l’orecchio, al di sotto del fragore delle lezioni si sentono le voci dei professori e al di sotto ancora le voci di allora, quando si scelse tutto questo e i nostri occhi fatui da quattordicenni osservavano senza vedere lo sgretolamento in mezzo a cui ci avevano posti.

Fu Renato, il nipote del sindaco, il primo a parlare, indignato di non trovar da sedere in un luogo di grane prestigio come il nostro liceo, sorretto da crepe e muffe di indubbio valore storico. Aprì la bocca mostrando il suo incisivo appuntito, sputando fuori parole seguge di quelle paterne. Mai, dall’anno scolastico 1860-61, tra le ombre dell’Ospedale della Morte, ci si era trovati in condizioni tanto cenciose e imbarazzanti. Cos’era accaduto, chiedeva, per rendere così decadente un cotal faro della città?
Si erano poi levati Lucacarlo e il Fengiuz a dar manforte, nella speranza di bloccare fin da subito le lezioni, minacciando scandalo, trasferimenti, denunce finché Tommaso, ben oltre il suono della campanella, era ciondolato in classe mormorando scuse di circostanza. Qualche sbirciata sonnolenta da dietro i rasta e si era seduto in terra, al centro dell’aula, sbloccando così la catatonia della professoressa, arpionata ai braccioli (tale comportamento era ancor più inaccettabile delle proteste dei tre ragazzotti, in particolare se fatto da uno sbrindelloso del genere. Ma aveva idea di dove si trovava lo stordito?).
Riprese le redini della classe, ci si era concentrati sulle possibili soluzioni. Di sedere in due su alcune sedie, neanche a parlarne (né uno in braccio all’altro, né con una chiappa per uno), in primo luogo perché ritenuto scomodo oltremisura e in secondo perché non tutte le sedie sembravano poter sopportare carichi di tal genere. Tommaso aveva proposto di sedersi a terra a rotazione, infondo c’erano ventisette posti e per lui andava bene star sempre in terra, appoggiato al muro, che si sentiva comunque bene. Così facendo gli altri compagni sarebbero stati a terra più o meno un’ora al giorno o un giorno alla settimana. Fu sbattuto fuori mentre stava ancora spiegando la sua idea, ripresa velocemente da Renato: potremmo saltare a turno un giorno, otto alla volta. Dopo un rapido calcolo la professoressa bocciò l’idea. Non si potevano fare più di cinquantun giorni d’assenza, pena la bocciatura diretta. Troppo rischioso per dei bravi ragazzi volenterosi come loro.
Ci si scervellò per tutta l’ora, finché non si presentò, paonazzo più che mai, il prof di fisica, da poco vicepreside, che dopo aver vagliato ogni proposta sbuffò che a turno, ogni giorno, otto studenti di ambo i sessi sarebbero rimasti in piedi per l’intera durata delle lezioni, fino a quando il ministero non avesse provveduto a fornire banchi e sedie nuovi.
L’idea di portarle da casa, perlomeno le sedie, sembrava non aver sfiorato nessuno, o forse non era stata ritenuta degna del buon nome dell’istituto.
Finalmente potevano cominciare le lezioni, per chi fosse riuscito a sentirle.