martedì 7 settembre 2010

L'invasione dei cloni - 2

L’ispettore era riuscito a entrare.
Era abituato all'attesa, in particolare di notte, quando i sogni sembrano soppiantare le ansie. O trasfigurarle momentaneamente. Ma quella sera era rimasto a suonare, battere e dar di gola per venti minuti buoni. Mica cazzi sotto l'ultimo scroscio prima dell'alba, e con l'agente Tonelli impegnato a cercare sul retro una finestra aperta.
A fine marzo. A Bologna.
Grande idea ispettore, si era detto Tonelli, se non altro non mi becco l'acqua solo io stavolta.
La casa, forse l'ultima bifamiliare della Cirenaica, era circondata da platani e magnolie. Dall'intonaco stanco, rosso sfumato smog, aveva la maggior parte delle finestre sbarrate e quelle dell'appartamento più piccolo scrostate e pericolanti. Il cancello d'ingresso, un ammasso di ruggine cigolante e il vialetto annesso, dissestato e poltiglioso.
In poche parole, un cesso di posto.
L'ispettore aveva osservato Tunél per qualche minuto, per poi arrendersi all'idea di una bella doccia fuori programma. In centrale avevano assicurato che la famiglia risiedeva proprio lì, dietro le croste spacciate per muri.
Ci mancava ‘na che'sa d’fantesmi, zio boia.
Prima di ritrovarsi fradicio a sbucciarsi le nocche contro un portone decrepito, pensando alle parole giuste per raccontare quel che era riuscito a capire dal ragazzone trovato poco prima, la serata era filata senza problemi di sorta. Il giro San Vitale-San Donato, con qualche puntatina in centro per restar svegli, era tra i suoi preferiti. Mediamente prevedibile nelle serate di pioggia. Niente più di qualche schiamazzo da ubriachi o accenni di rissa da teste di cazzo, che a Bologna, a chilometri zero o d’importazione, sembravano non mancare mai. In più stavolta era bastato mandare avanti Tonelli a far la voce grossa, senza neanche tirar giù il finestrino. Di lusso. Qualche settimana più avanti e si sarebbe fatto anche un gelato più trucco di magia da Bob e Costa, al baracchino prima del ponte.
Invece, poco dopo aver risolto una contesa amorosa in via Guerrazzi, avevano dovuto zigzagare tra le macerie del Civis fino alle luci dell’autoambulanza.
- Zio boia Tunél, mo dove hai imparato a guidare? Sì lóng come la mèsna ed såtta
- Sì ispettore - Tonelli non era pratico di dialetto – guardi, è là. Sembra un’aggressione, che dice?
L’ispettore aveva capito che la notte si prospettava ancora lunga, zio boia.

Alla dodicesima escoriazione (sua e della porta) era spuntata una luce dalla finestrella sopra la porta. Qualche scatto di serratura, sferragliar di catena e un’enorme paio di lenti da bottiglia sormontate da un’arruffata crocchia biancastra si era sporti con titubanza verso l’ispettore, per venirne immediatamente travolti.
L’ispettore era riuscito a entrare in casa, lasciandosi alle spalle pioggia, freddo e Tonelli. Poco male, prima o poi sarebbe riuscito ad entrare anche lui. Cominciò a guardarsi intorno, mentre i residui di calore cominciavano a colpire il fradiciume dei suoi abiti. La camera d’ingresso, una specie di soggiorno, era in penombra ma si riusciva lo stesso a vedere la montagna di stoffe, bottoni, grucce, tessuti, metri a nastro che la saturavano, nascondendo tavolo, divano e poltrone. Solo la vecchia cucitrice a braccio, svettava al centro della sala, fiera e severa. Avanzando di un passo, l’ispettore vide la porta che dava su bagno e cucina e quella che portava alle camere, al piano di sopra. Fece per avviarsi ma si voltò, distratto da un rumorino alle spalle.
- Mi scusi - tremolò la signora - lei sarebbe...?
- Polizia polizia… - disse laconicamente guardandosi intorno.
- Oddio! È successa una disgrazia… - mormorò la signora, a metà tra l’affermazione e la domanda, ripiegandosi verso terra.
Son proprio imbecille.
L’ispettore l’afferrò al volo, stando attento a non romperla. Dopodiché la portò a sedere in un angolo di divano libero e cominciò a spiegarle i fatti, cercando di tranquillizzarla. Non aveva ancora finito quando quattro colpi ruppero il filo delle sue parole.
- Ispettore! È dentro? Mi faccia entrare ispettore che qua aumenta ancora!
- Veloce inbezéll, e non urlare, che mi svegli tutta la strada. Signora Luisa, le presento l’agente Tonelli. Sarà a sua disposizione nel mentre che io ispeziono la camera.
- Ma ispettore…
- Zitto, bestia! - sibilò di sbieco.
La signora Luisa era ancora seduta, attonita. Da quando era diventata vedova aveva cominciato ad agitarsi sempre più spesso e per sempre più cose. Da un po’ di mesi inoltre, quando le capitava, faticava a respirare e veniva colta da terribili palpitazioni e forti capogiri. Era sveglia da poco più di dieci minuti e non ancora del tutto lucida. La paura con cui si era svegliata, sentendo battere e suonare alla porta, si era tramutata in sgomento quando era stata travolta da quell’energumeno zuppo di pioggia. Saputo essere della polizia, era piombata del tutto in un secco terrore. Era successo qualcosa al suo Pigi, era chiaro, qualcosa di grave, visto che l’ispettore non trovava le parole per spiegare l’accaduto e chiedeva con insistenza di visionarne la camera. Si sentiva mancare di nuovo ma riuscì a pigolare la richiesta di una spiegazione sulle condizioni del suo povero Pigi.
- Come? Gliel’ho detto signora, è vivo, non è ferito. Respira, è tutto intero e non sanguina. Solo che non abbiam capito un’acca di come possa essersi ridotto come l’abbiam trovato. Visto che neanche lei sembra sapere cosa era andato a far là fora le chiedevo se potevo dare un’occhiata alla stanza del ragazzo, già che son qui. Così non devo stare a far avanti e indie… cioè, così potevamo velocizzare un po’ le indagini ecco tutto.
La signora Luisa era riuscita a capire meno della metà delle cose dette dall’ispettore. Era troppo presa a continuare a respirare. Aveva però capito che Pigi era vivo e in salvo, anche se non stava bene. Indicò la porta alla sua destra esalando le indicazioni per trovare la stanza. Uscito l’ispettore restò sola con Tonelli, svenendogli di lì a poco tra le braccia.
Ci mancava solo ‘sta vciaza, dio bono. Mò chi lo sente l’ispettore quando ritorna?

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