lunedì 18 ottobre 2010

"Espresso tales" (Semiotica, pub e altri piaceri) di Alexander McCall Smith

E' incredibile. Non si fa in tempo a leggere la trascinante discussione nata sul blog dei Wu Ming riguardo, tra le varie cose, gli aspetti che rendono una storia tossica o meno, e mi trovo davanti ad un romanzo che, almeno in parte stride con le varie proposte e affermazioni. Una delle prime affermazioni riguardava gli stereotipi e l'uso potenzialmente annichilente del loro uso nel creare personaggi, situazioni e storie "tossiche". Della necessità di una storia "rugosa", in cui affondare, da cui tirare fuori pezzi di cute nascosti e pieni di voci altre. Che non si fermino a ostentazioni di scrittura, al puro impatto emotiva ma che parlino e facciano parlare. E magari pensare (vabbè vado un po' a braccio, l'argomento è molto interessante e consiglio di cliccare sul link sovraposto, torniamo al libro).
Bene, questo libro riesce ad essere questo ed il suo esatto contrario.
Come nel precedente "44 Scotland street" l'autore ritorna alle vite di Bertie, Pat, Domenica, Angus, Big Lou e il resto degli strambi abitanti di una piccola zona di Edimburgo. Nel primo capitolo non succedeva niente, o quasi (tanto da scadere un pelo nel finale, appena appena ristagnante), ma era proprio il suo bello. In questo... non che accada molto di più ma con uno stile veramente squisito. In quasi ogni riga seguiamo la persona di turno con occhi quasi onniscenti, spostandoci anche di prospettiva, tra un paragrafo e l'altro (ed essere Cyril, il cane bevitore di birra che ama strizzare l'occhio alle ragazze e mordere con garbo le caviglie giuste è assai gradevole). Un microcosmo di storie, di piccole storie, che s'intrecciano tra loro, con le loro bizzare nevrosi (ma quali non lo sono?) e, a loro modo, finiscono.
Ognuna come ci si augurava. Più o meno.
Ecco, il finale consolatorio è un altro punto ritenuto in lizza per le storie "tossiche",vista la sua mancanza di spinta al cortocircuito, alla riflessione. In molti casi è vero e la lista di polpettoni di questo tipo buoni solo per concimare è fin troppo lunga. Eppure in questo caso non è così. Per prima cosa perchè la vita è lunga e l'autore lascia alcuni punti di sospensione su alcuni personaggi che permettono di perdonargli certi repentini cambi di direzione (in fondo, la loro durata sarà tutta da dimostrare).
In più, questo romanzo, è una vera e propria ode alla comunità, alle comunità di ogni tipo, invisibili da grandi distanze dalle lenti globalizzate ma "...ricche di posti piccoli, vicini, di racconti brevi e non di saghe...", "...di battute private, di espressioni intraducibili, di riferimenti che solo due o tre colgono... che parlano con tanta eloquenza dei posti piccoli e... sono il mondo, e contano quanto il mondo intero".
Tra le righe dello scorrere lento di una quotidianità costellata di diverse forme di solitudine, l'autore infila delle pieghe inaspettate, attimi dei riflessione tanto brevi quanto intensi che portano a rallentare, a tornare indietro e a ragionare. Almeno un poco.
Niente di starbiliante, per carità. Niente parnasi d'alta letteratura o robe simili.
Semplice scorrere e incrociarsi. Di persone. Di luoghi. Di persone di certi luoghi.
Leggendo viene da chiedersi quanto intorno a noi possa assomigliare a modo suo alla semplice vita che resiste alle brutture di un materialismo d'abitudine tanto ben decritta in queste pagine.
Nente di strabiliante, l'ho già detto, ma, chiusa l'ultima pagina, ci si trova più curiosi verso ciò che ci sta intorno, anche solo un vicino di casa o di strada.
Un'ode al concetto di comunità e ai suoi tesori nascosti.
Veramente bello.

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