domenica 6 febbraio 2011

Ramponi arrugginiti e scodella di latta: il mio nome è Wolfe


Nel 1939 un miliardario americano di nome Dudley Wolfe, appassionato di viaggi e natura, partì dal Maine alla volta del K2, la seconda vetta più alta della terra, deciso a diventare il primo uomo a scalarne la vetta. Tanti furono i tentativi falliti; a partire dai primi del Novecento questa montagna, straordinaria e terribile insieme, cominciò ad attirare la curiosità di impavidi e coraggiosi, determinati a raggiungere una dei tetti più ambiti del mondo. Con la sua altezza di 8611 m s.l.m, si dice sia la seconda scalata con il più alto tasso di mortalità: ogni 4 apinisti che scalano, 1 muore. La Montagna Selvaggia, inospitale e burbera verso l'uomo, ha pareti troppo ripide e ghiacciate e non possiede punti ideali ad un ristoratore bivacco. Vi sono diverse vie di ascensione, tutte accumunate nella difficoltà della ripida pendenza. La spedizione di Wolfe fu una delle prime a raggiungere e toccare i 7500 metri; nonostante l'età e l'inesperienza, questo ricco miliardario insieme a Fritz Wiessner e a tre sherpa, decise di attaccare la vetta fino allo stremo delle sue forze. Il libro della scrittrice-giornalista Jennifer Jordan ripercorre dall'inizio la storia di questa spedizione con una ricostruzione abbastanza dettagliata dei fatti che la caratterizzarono. Una storia molto complessa che affascina nel contrasto forte di dicotomie che si creano dalle prime pagine fino alla fine del libro. Dai più caldi e lussuosi salotti europei alle vie ghiacciate e inviolabili del K2, la storia si snoda a partire dal ritrovamento che, 63 anni dopo, l'autrice farà dei resti di Wolfe trascinato ai piedi della montagna in mezzo ad una distesa di detriti. 
...frammenti di tessuto,stringhe di cuoio, corde di canapa, ramponi arrugginiti, un piatto e una scodella di latta, anche il bruciatore di un vecchio fornello Primus. Poi i miei occhi caddero su qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi lì insieme alle rocce e ai detriti...
In mezzo ai resti che chiaramente l'autrice percepisce appartenere ad un epoca lontana è il ritrovamento di un piccolo frammento di osso a  metter luce sul misterioso accumulo custodito nel ghiacciaio. Una moffola di pelle e stoffa, consumata, sgualcita, attraversata dal tempo riporta chiare le lettere di un nome. Wolfe. 
Qui giace, Wolfe!

Il libro "La scalata impossibile" offre una ricostruzione abbastanza imparziale della spedizione rimasta per anni al centro di importanti dibattiti. Al lettore è lasciata la possibilità di riflettere su quelli che sono gli equilibri umani che si giocano in vetta. Lettura densa di dettagli, a tratti giornalistica a tratti romanzata, uno sguardo femminile che pone un accento particolare alla storia di Wolfe per rompere la falsa idea, lanciata dai superstiti della sua inettitudine davanti alla vertigine dell'altezza.
La traduzione italiana del titolo a mio giudizio non rende giustizia alla storia, non si tratta di una scalata impossibile perchè Dudley arrivò comunque ad un'altezza considerevole. A conti fatti si potrebbe parlare di una discesa impossibile o resa impossibile ed il titolo originale The Last man on the mountain - the death of  an American Adventurer on K2 sembra sottolineare proprio questa condizione. L'ultimo uomo rimasto a sorvegliare la montagna, a 7500 metri, avvolto in un sacco a pelo di sherpa, troppo piccolo  per avvolgerlo nel silenzio della grande montagna selvaggia.

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