sabato 27 marzo 2010

E pensare che ci sarebbe il pensiero...

Usciti di casa imbracciaccio la vecchia scassona attraversando strade, ponti e portici. Superato Bob '80 e salutata la vecchia porta, limes universitario, aumentiamo la pedalata schiacciati tra auto nervose e le deturpazioni al bel viale del vecchio magister, decisi a non farci superare da uno scandire implacabile e indifferente. Tagliando per la piazza mercatale sono apparsi i primi, discreti ma decisi, mescolati tra portici e rincasanti. Dopo un'altra serie di colonnati, arriviamo in via Riva di Reno e a questo punto non possiamo ignorarli. Una processione di pellegrini si staglia all'orizzonte tra strada e marciapiede.
Senza fretta, sereni.
Gli sfrecciamo accanto e, dopo la rotonda, il torrentello che risaliva placido la corrente si rivela mare. -Porca boia! Mai vista piazza Azzarita così.
Una moltitudine.
Individuati gli amici, ci abbandoniamo alla corrente, ritrovandoci presto dentro.
Circondati dall'eterogenea elettricità che sa smuovere animi e pensieri.

Inizialmente, non ero convinto di andare. Si profilava una serata lunga, sfiancante, a seguito di una giornata che si era bevuta con voracità ogni scampolo d'energia. Alla fine, sono contento d'essere andato. In fondo, come ha detto "qualcuno" "il giudizio universale, non passa per le case (...) dove noi ci nascondiamo, bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo".
Per questo, per una notte, è stato bello vedere tante persone con la voglia di ritrovarsi. Con la voglia di ridare una voce pubblica, un'identità, ad un canale d'informazioni sempre più martoriate e svilite.
Per una notte è stato bello provare a concepire cosa significhi televisione pubblica, di tutti.
Per una notte è stato bello raccolgliersi per ascoltare, per far circolare le idee. Per parlare, non solo ai microfoni e riuscire ad immaginare quello che all'estero viene chiamato giornalismo. Ridere, incazzarsi, restare sgomenti, guardare un po' di celato, confrontarsi.
Poter esprimere e far esprimere, in forme diverse. A volte dure, altre accomodanti.
Poter trattatare molti argomenti: di piccole persone, di principi e prìncipi, di sodomia nazionale, di libertà, neofeudalesimo e a tanti altre cose ancora.
Per questo è stato bello riavere un'idea di Rai (almeno) per una notte...
Per questo bisognerebbe gridare, con tutta la gioiosa e vitale rabbia di cui si può essere capaci, MAI per una notte.
MAI per una sola notte.
Far sì che questi momenti non rimangano scampoli d'epifanie.
Può suonare un po' qualunquista, forse, ma tant'è.

Torando a casa, sferzato dalla prima brezza primaverile, ripensavo alla bella serata appena trascorsa, rimescolando ciò che era fuoriuscito. Oltre all'importanza ed all'inquietante meraviglia dell'evento (sì, inquietante. Siamo al punto che la libera circolazione di idee deve sgomitare per non essere scambiata per qualcos'altro, rischiando di ritrovarsi relegata a simili manifestazioni) ci sono state piccole cose che mi hanno lasciato, come dire, irrequieto. Riverberi delle parole che il maestro Monicelli, con la disincantata, lacerante semplicità di chi ha assistito allo scorrere di tanta esistenza, ci ha donato, creando l'ennesima, limpida e disarmante fotografia del paese.
Tra gli ospiti della serata era presente anche Morgan. Ora, io capisco che come personaggio, artista o persona possa risultare più o meno gradito, e che vederlo scalmanarsi "leggermente fatteriello" possa aver infastidito; resta il fatto che non gli è stato concesso d'esprimersi fin da subito. Poco dopo aver iniziato il suo intervento (in cui tentava di mostrare parallelismi tra la divina commedia e le recenti vicende del signor b) è stato prontamente insultato e fischiato (qui) da una piccola parte del pubblico (perchè va bene la libertà di parola, ma qui i drogati non ce li vogliamo!!!) che è in seguito aumentata quando, non pago, è intervenuto nuovamente interrompendo l'ottimo discorso di Iacona (qui). Capisco non essere d'accordo con quello che vien detto, ma, come ha giustamente ricordato lui stesso, Morgan era un ospite della trasmissione, invitato proprio per parlare ed esprimersi. Spettava al conduttore, a Santoro, regolare i suoi interventi, non al regio potere della folla spazientita.
Viene un po'da sorridere a pensare che in un evento a favore della libera informazione ci si scagli con tanta veemenza contro chi è un po'sgradito (come mostrato ad inizio serata).
Un altro aspetto su cui mi è venuto da pensare sono gli applausi.
Tempo fa avevo letto un articolo (qui) di Gramellini in cui veniva descritto come usato con sempre meno significato:

Il simbolo plastico del cambiamento rimane l’uso dell’applauso. Fu inventato per sottolineare un'approvazione, mentre oggi si direbbe che la sua funzione principale consista nel coprire i baratri aperti dal silenzio, questa brutta bestia che ci induce a pensare, quindi fa paura e va rimossa come la morte.


Nel caso specifico si riferiva all'uso dell'applauso nelle situazioni di lutto. Eppure, anche in situazioni come quella dell'altra sera, se n'è fatto un uso spropositato, fuori luogo, quasi a voler sottolineare con decisione la propria approvazione a determinate dichiarazioni, finendo così per interrompere o coprire il proseguimento del ragionamento. Un uso ansiolitico ma autolesivo per chi ascolta.
Ma noi italiani siamo veramente fatti come ha detto Monicelli? Cerchiamo qualcuno che pensi per noi, sperando che faccia bene? Forse.
In ogni caso, il solo recarsi ad ascoltare il pensiero altrui, il poterlo rielaborare, osservare criticamente permette di tenerlo allenato, questo cosiddetto pensiero. Si parlava di rivoluzione, anche nel post precedente. Giustissimo. Sono tanti i campi e i modi in cui applicarla, non solo in quella distorsione della vita che è la politica.
Buona rivoluzione a tutti, quindi. Ogni giorno, ogni istante.
E buona partecipazione a tutti.

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