Una bella metafora della menta umana era stata usata da Thomas Harris in "Hannibal". Nel suo bel romanzo l'autore ci spiegava che il motivo per cui il suo psycho-fenomeno, il dottor Lecter, riuscisse a sopportare tanto a lungo la prigionia, l'isolamento e la privazione di qualsivoglia stimolo, era la ricchezza con cui aveva arredato il proprio palazzo/mente. Quest'ultimo veniva descritto come sconfinato, dotato di innumerevoli saloni ben illuminati in cui il dottore poteva girare e rimirare le grandi meraviglie contenute: dall'arte alla letteratura, dalla musica alla filosofia. Una splendida reggia in cui ripararsi e da cui trarre conforto, di preservarsi da autoimplosioni e crolli psichici.
Ecco, la metafora mente-casa è per molti versi interessante, un po'scontato forse, limitato e limitante in molti suoi aspetti ma comunque interessante. Come una casa è un luogo intimo, personale, che si arreda col tempo con tutto ciò che ci appartiene o ci è appartenuto. Può avere contenuti d'ogni tipo, preziosi, futili, colorati, dolorosi. Alcune cose stanno in bella vista, osservabili tutti i giorni (ma non per questo osservate) mentre altre , molte, vengono relegate alla soffitta, in cantina, fin uno sgabuzzino. Luoghi bui destinati a farle dimenticare in fretta, per i più vari motivi. Bene, nella casa di Ellroy, questi luoghi erano immensi, tetri e minacciosi. Pieni d'infiltrazioni e di cedimenti strutturali, pronti a far crollare l'intera costruzione. Con questo romanzo ai limiti dell' UNO (Unidentified Narrative Object) l'autore si lancia in un'autobiografia senza censure, mostrandoci come già in passato ha fatto i conti con gli ammassi informi contenuti in queste profondità e cercando di arieggiare e portare alla luce anche ciò che le prime pulizie non erano riuscite a riordinare.
L'autore, infatti, tentando d'indagare sull'omicidio della madre, compie in realtà un indagine sulla propria famiglia e su se stesso. Comincia il tutto con la ricostruzione delle indagini che quarant'anni prima non riuscirono a fare luce sul delitto. Con un collage denso di particolari ci mette davanti il caos che gli investigatori dovettero affrontare e, complici anche la riservatezza della madre sulla propria vita e l'indeterminatezza delle fonti, non riuscirono a sbrogliare. In seguito, Ellroy passa alla descrizione della propria infanzia e adolescenza. Degli anni caotici figli dell'omicidio materno (subito congelato e posto nel dimenticatoio) e dell'influenza di un padre ancorato alla tarda adolescenza. Sono anni difficili per lui. Anni di merda, che lo portarono a guardare negli occhi la pazzia. Fortunatamente, invece di trovarvi un palliativico conforto, l'autore vi trovò un enorme terrore, da cui riuscì a svicolarsi anche grazie all'irrefrenabile creatività ed ossessività verso le storie che lo ha sempre contraddistinto. Nelle seguenti due parti del romanzo, si parla del detective che l'ha aiutato nelle indagini e di come queste siano state da loro svolte.
Siamo davanti ad un'opera strana, dotata di cariche sia attrattive che repulsive. Personalmente ho fatto molta fatica a terminare la lettura. Non ne potevo più. Il libro è bello, affascinante. Pagina dopo pagina vediamo la discesa agli inferi di Ellroy e la lenta risalita. Le piccole grandi scoperte sulla propria famiglia materna e sulla madre stessa. Il tutto commuove, stordisce, appassiona, lascia increduli. Un gran viaggio tra i meandri di un'esistenza. Di più esistenze. Dimostrazione biografico-narrativa della capacità che il conoscere se stessi e la propria storia, saper convivere con essa, possa restituire l'integrità perduta (Alice Miller, qui; è curioso come libri così diversi riescano ad incontrarsi, per tempi e temi). Ma alla lunga la descrizione di ogni passaggio, di ogni ipotesi, passo avanti, passo falso, deviazione, vicolo cieco e impressione rischia di diventare sfibrante. Per me lo è stato.
Resta comunque un grande romanzo. Interessante da provare.
Intrigante aperitivo per "American Tabloid" (per quando mi ci cimenterò).
Sono contento d'averlo letto ma, al contrario di molti altri libri, sono anche contento d'averlo finito.
Ecco, la metafora mente-casa è per molti versi interessante, un po'scontato forse, limitato e limitante in molti suoi aspetti ma comunque interessante. Come una casa è un luogo intimo, personale, che si arreda col tempo con tutto ciò che ci appartiene o ci è appartenuto. Può avere contenuti d'ogni tipo, preziosi, futili, colorati, dolorosi. Alcune cose stanno in bella vista, osservabili tutti i giorni (ma non per questo osservate) mentre altre , molte, vengono relegate alla soffitta, in cantina, fin uno sgabuzzino. Luoghi bui destinati a farle dimenticare in fretta, per i più vari motivi. Bene, nella casa di Ellroy, questi luoghi erano immensi, tetri e minacciosi. Pieni d'infiltrazioni e di cedimenti strutturali, pronti a far crollare l'intera costruzione. Con questo romanzo ai limiti dell' UNO (Unidentified Narrative Object) l'autore si lancia in un'autobiografia senza censure, mostrandoci come già in passato ha fatto i conti con gli ammassi informi contenuti in queste profondità e cercando di arieggiare e portare alla luce anche ciò che le prime pulizie non erano riuscite a riordinare.
L'autore, infatti, tentando d'indagare sull'omicidio della madre, compie in realtà un indagine sulla propria famiglia e su se stesso. Comincia il tutto con la ricostruzione delle indagini che quarant'anni prima non riuscirono a fare luce sul delitto. Con un collage denso di particolari ci mette davanti il caos che gli investigatori dovettero affrontare e, complici anche la riservatezza della madre sulla propria vita e l'indeterminatezza delle fonti, non riuscirono a sbrogliare. In seguito, Ellroy passa alla descrizione della propria infanzia e adolescenza. Degli anni caotici figli dell'omicidio materno (subito congelato e posto nel dimenticatoio) e dell'influenza di un padre ancorato alla tarda adolescenza. Sono anni difficili per lui. Anni di merda, che lo portarono a guardare negli occhi la pazzia. Fortunatamente, invece di trovarvi un palliativico conforto, l'autore vi trovò un enorme terrore, da cui riuscì a svicolarsi anche grazie all'irrefrenabile creatività ed ossessività verso le storie che lo ha sempre contraddistinto. Nelle seguenti due parti del romanzo, si parla del detective che l'ha aiutato nelle indagini e di come queste siano state da loro svolte.
Siamo davanti ad un'opera strana, dotata di cariche sia attrattive che repulsive. Personalmente ho fatto molta fatica a terminare la lettura. Non ne potevo più. Il libro è bello, affascinante. Pagina dopo pagina vediamo la discesa agli inferi di Ellroy e la lenta risalita. Le piccole grandi scoperte sulla propria famiglia materna e sulla madre stessa. Il tutto commuove, stordisce, appassiona, lascia increduli. Un gran viaggio tra i meandri di un'esistenza. Di più esistenze. Dimostrazione biografico-narrativa della capacità che il conoscere se stessi e la propria storia, saper convivere con essa, possa restituire l'integrità perduta (Alice Miller, qui; è curioso come libri così diversi riescano ad incontrarsi, per tempi e temi). Ma alla lunga la descrizione di ogni passaggio, di ogni ipotesi, passo avanti, passo falso, deviazione, vicolo cieco e impressione rischia di diventare sfibrante. Per me lo è stato.
Resta comunque un grande romanzo. Interessante da provare.
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