domenica 18 aprile 2010

Cronache dalla periferia

L'asiatica si trascinava a fatica. Un mezzo passo dopo l'altro, evitando movimenti sgraditi alle contusioni. Trasportandosi verso casa, incapace di percepire alcunché intorno, portandosi appresso l'eco di una violenza mai immaginata. A trovarla, una sua insegnante. Lo shock nel riconoscerla non era paragonabile a quello che la ragazza doveva ancora trascrivere dalla carne alla mente.Arrivate al capannone, l'insegnante si trovò circondata da una moltitudine di piccoli sarti e tessitrici. Cazzo, come Gomorra... La ragazza sparì, risucchiata in un ondeggiare di voci incredule al suo pianto inconsolabile, scalpitanti d'apprensione verso le sue condizioni peste. Rimasero una serie di domande incomprensibili e sorrisi di circostanza. Per l’insegnante, una viscerale voglia di fumare a cui non poter porre rimedio. Finalmente una traduttrice, a mutarne l’espressione tirata. Chiarimenti veloci, spiegazioni su cosa fare l'indomani.
Fine del primo atto, nell'attesa di maggior chiarezza in una trama ancora singhiozzante.
Nelle ore d'interludio, ansia e rabbia si aggrovigliavano, lacerandole lo stomaco e tormentandone i sogni.
Finalmente l'alba. La scuola. Tanti occhi testimoni delle mani che avevano staccato brandelli di crine corvino e pelle sottostante, delle braccia che avevano spinto e strattonato, delle suole che avevano calpestato impietose e delle unghie che avevano lacerato carne e tessuti. Tante bocche a sparar fuori la propria versione. Qua e là, un assenso dell’asiatica.
Chi: Due sorelle, dodici ed undici anni. Quest'ultima, nella stessa classe dell'asiatica. Più il fratello maggiore a garantire il non intervento di terzi incomodi dotati di scampoli di senso civile.
Dove: a una fermata d'autobus, periferia di Bologna.
Movente: una presunta ingiuria scritta in un muro o forse su un computer. Poco importa.
Arrivano le attrici, altere. Giovani matrone imprigionate in un pregiudizio più forte di loro.
- Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare? chiede la minore con incredula impazienza al vicedirigente (i presidi e i loro secondi sono relegati ad un'età ormai arcaica e nebulosa) mentre la maggiore, lontana figlia di faraoni, si spreme lacrime titaniche a prova di un pentimento sincero. Poco importano le contusioni, le ciocche raccolte dentro una busta trasparente, puro stile CSI, dalla madre della pluricontusa e la descrizione dei fatti.
- Un litigio, certo. Cose che capitano. Macché bullismo, è grave, certamente, ma può capitare. Vedremo come punire, certo. Vedremo cosa deciderà il consiglio di classe. dichiara con mestizia al disgusto dell’insegnante, alle tre ragazze ed ai timidamente indignati genitori dell'asiatica il simulacro di vicedirigente, ormai vaccinato alla pedagogia dalle tante sconfitte affrontate nel nome del nuovo corso della scuola italiana.
La giornata prosegue. Ronzii della classe, sguardi fieri, increduli o estraniati, tentativi, più o meno maldestri o incisivi, del corpo docente di far chiarezza sull'accaduto. Tutto sembra essere risolto. Vittime e colpevoli, delineati. Di conseguenze si parlerà in seguito.
Nel terzo, breve atto di questa storiella metropolitana, entra in scena il padre delle novelle street fighters, novello deus ex machina, che, messo a conoscenza dei fatti, decide di vederci chiaro e di assicurarsi che la storia abbia la più giusta delle conclusioni. Durante l'ora d'epica, la piccola Connie C. sorta dalle sponde del Nilo viene chiamata a raggiungerlo dal vice dirigente. Rientra altera, soddisfatta. - Ha detto che vuole capire meglio, richiederle come sono andate le cose. spiega all'insegnante, il cui stomaco è stretto e pulsante quanto gli occhi dell’asiatica due giorni prima - Ma tuo padre che avrebbe detto? Scandisce, prima di andare a deflagrare le sue ragioni in vicepresidenza.
- Che così siamo pari.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti su questo blog sono liberi ed aperti a tutti (esclusi troll o "piromani" da web). Da chi commenta in forma anonima è gradita una qualsiasi forma di riconoscimento (firma, sigla, nick), renderà più facile parlarci.