lunedì 26 aprile 2010

Una domenica di Monte Sole

Dopo il rannuvolamento dei giorni scorsi, la mattina del 25 aprile ha deciso di concedersi tersa e soleggiata.
Da Bologna e dintorni, persone di tutte le età, ogni anno, decidono di recarsi sulla vetta di Monte Sole insieme ad amici, figli, nipoti. Per vari motivi, ogni volta si arriva con spirito simile e differente dall'ultima. In questa ancor più motivati, viste le recenti dichiarazioni (qui, qui e se ne trovo altri li aggiungerò qui). In ogni caso è sempre piacevole carezzare i prati e i sentieri di questa parte dell'Appennino.
Questa volta arriviamo tardi, le due passate. Due poliziotti provinciali deviano il traffico. Peccato non aver portato un bordone. Troviamo un buco ai piedi delle colline, un'occhiata alla salita, zaino in spalla. Dai che si va!
Immersi nel verde, su sentieri d'asfalto, un passo dietro l'altro. Sulle orme di chi, anni addietro, seguiva diramazioni segrete, custodite da tracce nascoste. Un po' per pigrizia, un po' per emulazione, dirottiamo per un prato ripido e sdrucciolo, verso una legnaia distesa. Mobile processione a cogliere vibrazioni lontane. Il sole batte e ci scopriamo in abiti un po' troppo pesanti, pazienza. Se non altro, una volta in cima, libereremo i piedi.
Per un tratto, seguiamo la scia di ragazzi che tra bandiere, canti, inseguimenti annaspanti ad ogni possibile mezzo di passaggio, alleggeriscono il peso di ogni passo. Ostinati, li vediamo diminuire, chi sopra una moto, chi dentro ad un'auto.
Ritorna un'idea di silenzio e, dietro la curva, spunta una coppia alle prese con le insidie del percorso. Spingono una carrozzina, al cui interno, un tesoro. Meno di un mese e già pellegrin*. Dormicchia, assaporando ogni eco intorno. Altri viandanti offrono un passaggio. No, grazie, il Poggiolo non è distante. Accostati, li salutiamo con un sorriso.
Inconsapevoli d'essere così vicini come si è detto. A piedi, i punti di riferimento edulcolorano. Dopo l'ultima curva, passiamo dai freschi toni primaverili ad una luminosità dalle tinte estive. Qualche ultimo passo, un fazzoletto d'erba sufficientemente asciutto, piedi liberi di respirare terra ed erba. I panini, una volta addentati, sono i più buoni di sempre, conditi dagli aromi incontrati salendo. Sul palco, si alternano gruppi e vecchi Litfiba graditi al mixerista. Mentre offriamo la faccia a sole e vento, vediamo un capannello di persone crearsi d'improvviso. Dall'interno, le parole di Franco Fontana, per quanto a basso volume, risuonano e sovrastano, cariche di commozione. Nemmeno le sovrapposizioni censoree di chitarre distorte riescono a fermarle. Ma siam qui solo per la musica?
L'intervista finisce e il brusio circostante mi ha lasciato poche parole preziose e pesanti, molte si sono perse. Fontana ci ha parlato di sé, di quand'era staffetta, di ciò che ha visto accadere. Le guerre non finiscono mai ha detto, interrogandosi sul perché un contadino italiano debba voler uccidere un contadino di un altra nazione o ideologia. Salutandoci ci parla di un libro La staffetta, in cui coi suoi occhi assistiamo a quella parte di storia di cui é, dolentemente, stato testimone. L'idea è nata da una maestra, che alla fine di una gita scolastica, dove anche i più scalmanati si erano vestiti di silenzio e attenzione, lo pregò di non stancarsi mai di parlare.
Il libro, oltre a parlare del Fontana ragazzo, giovane staffetta partigiana, sulla scia della disciplina sportiva si fa a sua volta staffetta, testimone, per chi continuerà a correre dopo di lui.
Tornando a valle, con le note della Banda Roncati in sottofondo, ripenso alle parole di Alice Miller, alla sua convinzione nella venuta di un giorno in cui non si riusciranno a comprendere le motivazioni che portarono ad orrori simili a quelli che si scatenarono a Monte Sole. Può darsi. Ma i testimoni diretti sono sempre meno. I racconti, tra qualche anno, si faranno di seconda mano. Lo stesso libro, che ci pone dinanzi ad orribili flash di quei giorni, letto con le immagini del Fontana di oggi, con il suo sguardo ed i tremiti della sua voce impressi negli occhi, riesce a spalancare ancor di più il baratro di quei giorni. Mi chiedo se l'effetto sarà lo stesso, quando rimarranno solo documenti di quel periodo, se il revisionismo, il sottovalutismo, troveranno terreno più fertile per degradare.
Sicuramente, questi documenti saranno indispensabili per far capire l'incomprensibilità di quegli anni, per creare le condizioni capaci di portare ad affrontare in maniera più razionale e creativa le minacce presenti nella realtà. Oltre alle voci passate ne serviranno di nuove, capaci di raccontare quel periodo come chi se lo trova cucito addosso.
Verso casa, con un tassello di memoria nello zaino e le sue parole di fuoco, fradice di sangue e lacrime.

Scendendo le colline, in un'improvvisata armata Brancaleone, affrontiamo distese di fango con passo leggero e risate, verso un tramonto che indica in segreto l'alba a seguire.

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