martedì 20 aprile 2010

...siamo lo stesso, coinvolti

Pausa pranzo.
Saltello tra un link e l'altro in attesa che l'acqua cominci a bollire e, guarda un po', mi ritrovo davanti a parole che con periodica decisione mi ronzano tra la scatola cranica e il cervelletto. Un commento di Licia Troisi all'ottimo articolo dei Wu Ming sulla questione Saviano e le recenti contraddizioni del mondo dell'editoria, che rimanda ad un suo post fresco di giornata su "Storia di un impiegato" del vecchio Faber e le interconnessioni con le tante questioni ben linkate nell'articolo sopracitato.
Storia di un impiegato... disco politico dalle tinte poetiche, che, nonostante i suoi 37 anni, ci parla di tematiche sempre più attuali. Libertà, potere, presa di coscienza... Fin dall'inizio e fino alla fine De André ci avverte: dagli avvenimenti quotidiani, che siano ingiustizie, fantasmi che non vogliamo vedere, lontananze appena immaginabili, in un modo o nell'altro ci appartengono, fanno e faranno parte di noi. Evitarli o delegarli non ci assolverà dal nostro esserne coinvolti.
Certo, é dura riuscire a creare frizioni, provare a farlo collettivamente, con la consapevolezza della propria posizione nei confronti del potere e del sistema, con un rotondo senso critico:

Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni
(Nella mia ora di libertà, De André 1973)
Quest'ora di libertà non è riducibile ad un contesto esclusivamente carcerario. Quanti tipi d'ora d'aria possono esistere? De André ci saluta con parole che scorrono leggere, lasciandosi alle spalle solchi profondi e allarmanti. Quest'ultimo passaggio ogni volta mi elettrizza come uno spiffero mai domo, rimandando ostinatamente alle parole di un'altro pensautore, che ha ragionato a lungo sulla libertà e la presa di coscienza:
Un uomo affascinato da uno spazio vuoto
che va ancora popolato
(...) da chi odia il potere e i suoi eccessi
ma che apprezza un potere esercitato su se stessi
(...)
(Se ci fosse un uomo; Gaber 2003)
All'interno dell'odierno meccanismo, possiamo parlare di spazi vuoti alternativi, ancora da riempire? Possiamo sperare in un passaggio dall'individualismo collettivo ad un collettivismo individuale? Sono concetti vasti, labirintici, sdrucciolevoli, che rischiano di sfociare nello stagno del qualunquismo, se non vagliati adeguatamente.
Il tempo stringe, la pasta è da scolare.
Meglio fermarsi qua. Per ora.
Buon coinvolgimento a tutti.

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