lunedì 24 maggio 2010

L'invasione dei cloni - Prologo

Lanciato l’ultimo saluto agli amici, Michael aveva cominciato a traballare verso casa. Le nebbie di birra e fumo continuavano a circondarlo con delicata imponenza. Un passo dietro l’altro, tra i chiaroscuro dei portici, il rimestare di voci, facce e suoni. Mani in tasca, cappuccio in testa, seguiva la sua personale traiettoria verso il ponte di casa, ancora troppo lontano. Alla sua destra, i suoni della zona universitaria si facevano via via più distanti, lasciando scampoli di sorsi e risate al compito di annaffiare questo umido sabato di inizio primavera. Dentro la testa, un motivetto imperituro lo trainava tra i colonnati e le serrande. A sinistra la piazza, di fronte la collina, provata da una giornata di straordinari e improvvise secchiate. Gli orrori della versione ed i sadismi sallustiani erano svaniti da un pezzo, abbattuti dalle ruvide picconate elettriche, dal martellare incessante. Perlomeno fino a domani.
- Cazzo, che concerto. Mai visto un bassista mangiarsi lo strumento a quel modo. Mai. Che storia…- un mormorio tra i portici.
Un passo dietro l’altro, cercando di saldare bene i passaggi più importanti, da emulare in sala, e di dimenticare le contusioni a costole ancora poco avvezze al pogo più duro e sfrenato. Verso i portici più bui, da affrontare dopo una sosta della staffa dal cicchettaro. O forse no. Occhi fissi sulle zampe. Sul marmo sottostante e le geometrie dei suoi detriti. Sui riflessi dell’acqua appena scesa. Sul glaucopide riverbero delle strisce. Sul cemento. Umido e solido d’indifferenza. Occhi fissi, inconsapevoli. Stornati dagli echi ancora intenti a grattare tra incudine e martello.
Chiuso a stimoli esterni, di ogni sorta, in un personalissimo spettro autistico. Teso all’analisi distorta degli stralci ancora presenti in memoria, proseguiva il rientro verso casa con davanti agli occhi il buridone del Totem, nuovo locale di fresca occupazione. Le Squatter Pink e due gruppi emergenti, tra cui gli Shocking Bleik, a far tremare bulloni e calcestruzzo. Serata dura, ostile fin dalle premesse: il più femminista dei gruppi punk della scena italiana subito dopo i crudi sberci sessisti di una delle più indefinibili e discusse band spuntate dal sottosuolo felsineo. Un vero casino. In seguito a “Troia regina” era stato eseguito il brano più demenziale e di impossibile interpretazione. Un’autocritica talmente velata e sotterranea al pensiero testosteronizzato da risultare esclusivamente misogina. Subito dopo il culminante Io sono gay e tu chi sei?!?!, uno squarcio dalle retrovie Quella che vi fa il culo, stronzi!!!. A quel punto Michael si era improvvisamente ritrovato all’esterno, dopo un personalissimo e bizzarro minuetto, tra i rovi di una siepe, ammaccato ma ancora incolume. Concerto finito, serata da reinventare tra locali e pietra rossa.
Occhi fissi sulla strada sdrucciola, pensieri mischiati, “pensieri della casa” frutto di osterie e locali attraversati. Via Capo di Lucca alle spalle, un passo dietro l’altro verso casa. Sull’asfalto, poche macchine nottambule in cerca di una meta. Intorno, qualche ritmica lontana, echi di rapidi passi e l’accidia gocciolante delle ultime acquerugiole. Superato il rifornitore metal, dove il portico da quadro si arrotonda, arriva il colpo e il sonno saluta, addolorando lo sterno, l’occhio si ritrova sveglio, fisso sugli archi di crema sovrastanti.
- Ma che cazzo! E stai un po’attento imbeci…-
La parola si scioglie, tra le ultime piogge. Davanti agli occhi un essere come mai avrebbe potuto immaginare. Occhi pallati, sguardo ansimante. Il terrore dipinto sul corpo, fradicio ed epilettico. Un urlo glaciale e poi il nulla. Michael si alza verso l’uomo così spesso temuto, si volta e poi scappa. Impossibile affrontare qualunque troppo l’abbia ridotto così.

1 commento:

  1. molto bologna underground, aspettiamo intrepidi gli sviluppi...quo vadis baby?

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