Con questa frase una madre saluta il proprio figlio di otto anni affidando la sua salvezza nelle mani di espatrianti etiopi. Siamo a metà degli anni ottanta (da cui, peraltro, fu in generale difficilissimo uscir vivi) e molti falascia fuggono dalla loro terra, in cui carestie e repressioni li stavano decimando, verso il non così amichevole Sudan, dove aerei israeliani sono pronti a trarli in salvo e ad accoglierli nella terra promessa. Il protagonista, Shlomo, straniero tra connazionali, si deve fingere un altro per riuscire ad arrivare a Gerusalemme. Una voltà lì si troverà costretto ad affrontare gli enormi fantasmi che si porta dentro, contornato da quelli di una nazione altrettanto spaccata e frammentata.
Cosa è più importante nel valutare una persona? La nazionalità? La religione? Le idee? Il denaro? Cosa? Sulla carta sembra di parlare di categorie ben distinte che possono portare a distinzioni ben nette e precise. Una specie di scacchiera in cui ogni pezzo ha compiti e funzioni ben precise. Guardando bene, però, il tutto appare molto più incasinato, si scopre con sgomento della dimensionalità di ognuno di questi aspetti e di tanti altri, si tenta di rifugiarsi in un ordine ancora più rigido e "pulito", nella speranza di tener tutto sotto controllo. Ma le persone hanno maschere più ricche e complesse da mostrare, fatte d'infinite combinazioni. Sono accomuntate dal loro essere differenti, indipendenti e imprevedibili; a volte tutto ciò fa paura.
Rispetto agli altri suoi due film, questa volta Mihaileanu s'immerge in tantissime tematiche complesse e articolate, difficili da trattare. Non ci vuole dare risposte, non solo almeno. Ogni personaggio ha le sue particolarità, risorse e debolezze che si sviluppano per tutta la favola della crescita, del diventare, di Shlomo. Ogni personaggio si sviluppa, scelta dopo scelta. Forgia la propria starda come meglio può. La storia di una vita. La storia di popolazioni. La storia dell'uomo. Perlomeno, uno tra i tanti capitoli.
Film ben girato, godevolissimo. Senza pretese di sconvolgere o strabiliare ma dotato di un'intenso desiderio di raccontare una storia. Particolare come tante e per questo preziosa.
Cosa è più importante nel valutare una persona? La nazionalità? La religione? Le idee? Il denaro? Cosa? Sulla carta sembra di parlare di categorie ben distinte che possono portare a distinzioni ben nette e precise. Una specie di scacchiera in cui ogni pezzo ha compiti e funzioni ben precise. Guardando bene, però, il tutto appare molto più incasinato, si scopre con sgomento della dimensionalità di ognuno di questi aspetti e di tanti altri, si tenta di rifugiarsi in un ordine ancora più rigido e "pulito", nella speranza di tener tutto sotto controllo. Ma le persone hanno maschere più ricche e complesse da mostrare, fatte d'infinite combinazioni. Sono accomuntate dal loro essere differenti, indipendenti e imprevedibili; a volte tutto ciò fa paura.
Rispetto agli altri suoi due film, questa volta Mihaileanu s'immerge in tantissime tematiche complesse e articolate, difficili da trattare. Non ci vuole dare risposte, non solo almeno. Ogni personaggio ha le sue particolarità, risorse e debolezze che si sviluppano per tutta la favola della crescita, del diventare, di Shlomo. Ogni personaggio si sviluppa, scelta dopo scelta. Forgia la propria starda come meglio può. La storia di una vita. La storia di popolazioni. La storia dell'uomo. Perlomeno, uno tra i tanti capitoli.
Film ben girato, godevolissimo. Senza pretese di sconvolgere o strabiliare ma dotato di un'intenso desiderio di raccontare una storia. Particolare come tante e per questo preziosa.
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