lunedì 8 febbraio 2010

"Il concerto" di Radu Mihaileanu

Nel proseguire sulla trama che si va tessendo intorno a pensieri e spunti di riflessione, la domenica appena passata è stata a dir poco proficua. Di giringiro ci siamo diretti al MAMbo a vedere la mostra di Zorio (peccato sia finita perchè era veramente suggestiva nella sua primordialità contemporanea) e, saliti al piano di sopra, abbiamo frugato la collezione permanente. Non male, un fuoco sotto le ceneri esiste ancora. Tra la poesia di Penone, un candido Burri e molte belle opere di cui ho già scordato gli autori, spicca il "Funerale di Togliatti" di Guttuso, opera di grande impatto visivo, sublime nell'esporre e descrivere lo svolgimento ed il sentire ideologico. Echi di 54, trame e pensieri sobbollenti, ma la mostra proseguiva, mettendoli in stand-by.
In serata, e qui finisce il prodromo, andiamo a vedere "Il concerto" (per chi volesse approfondire, c'è un bel sito qui), scritto e diretto dall'ottimo Radu Mihaileanu, conosciuto soprattutto per "Tren de vie", film con cui, quest'ultimo, dialoga amabilmente. Incredibile la capacità che ha, in particolare tramite immagine e musica, nell'esprimere concetti quali l'integrazione, la libertà di pensiero o la lotta con i propri mostri. "Il concerto" si sviluppa tra Russia e Francia, tra le macerie dell'Urss e quelle del capitalismo, tra i portatori di un'ideologia (politica, artistica, esistenziale) e chi ne fa uso per fini personali.
Un gruppo di musicisti, stroncati trent'anni prima esclusivamente per motivi ideologici, si trova nella condizione di poter andare a Parigi a suonare sotto mentite spoglie. Il film parla dei loro tentativi per riuscire nell'impresa, in una Russia in cui corruzione e impostura valgono di più e non sono più del tutto distinguibili da onestà e capacità (esilarante la scena della contraffazione dei documenti in areoporto!). Un po' pochino? Sembrerebbe, se non fosse che scena dopo scena si dipanano gli aspetti di una ferita rimasta lacerata troppo a lungo. In delle persone, in un (?) paese e in una (?) cultura.
Storia mai banale, dura e spassosa allo stesso tempo. Capace di giocare coi cliches in maniera particolare. E' la storia di chi si è visto scorrere intorno la Storia, non potendo far altro che rimanere in linea con il proprio essere e di strapparne un pezzetto di veste. Di chi ha perso senza mai essere sconfitto e non vuole smettere di fare i conti con i propri fantasmi. Una storia a tuttotondo. Il finale è un crescendo d'emozioni, una catarsi. Si esce dalla sala provati ma felici.
Una bella favola per non smettere mai di credere.

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