In questi giorni di flebile febbre e vigliacca spossatezza non si può fare altro che leggere, tra un dormiveglia e l'altro. Ottima occasione per aiutare la pila di libri in attesa a trovare il proprio posto sulla libreria. Ci tengo a premettere quanto Baricco sia per me un autore perlomeno controverso. Ne ho sempre apprezzato la scrittura, rimanendo però, una volta chiuso il libro, se non durante, con una fastidiosa sensazione di sottofondo. Se non ricordo male, la sua prima opera letta fu "Seta", delizioso libercolo che mi colpì (erano ancora i tempi del liceo) per la sua poetica ma di cui ricordo ben poco (se non una struttura narrativa simile a quella dei libri di Maxence Fermine, scritti e pubblicati in seguito). Inoltre avevo sentito parlare molto bene di altre sue opere da professori che avevano la mia stima e perciò divvene uno scrittore "da provare". Perciò, qualche anno dopo, non mi feci scappare "Questa storia", che mi aveva intrigato al primo sguardo. E, ammetto, mi aveva letterlamente entusiasmato.
Ricordo di aver interrotto più volte la lettura del primo capitolo, per pochi secondi, per esprimere ai muri di camera mia, alle coperte ed agli altri libri che ci osservavano curiosi, l'emozione che una tale scrittura era riuscita a provocare. La storia, se ben ricordo, parla di un ragazzo pittoresco che s'intestardisce nel realizzare un'impresa unica nel suo genere. Baricco ha scelto di raccontarcela cambiando punto di vista ad ogni capitolo e con questo anche lo stile narrativo, purtroppo. Non che gli altri capitoli siano brutti o scritti male, per carità, semplicemente vengono offuscati dalla bellezza del primo. C'è da sottolineare, però, il coraggio e la bravura dell'autore nello scrivere un romanzo che sembra scritto a più mani e nel far parlare ogni personaggio con una voce propria. Per questo motivo, finito il romanzo, non ero ancora riuscito a capire che opinone avessi sull'autore. Con queste ed altre domande, tempo dopo, lessi "Castelli di rabbia", libro di cui, ammetto, ricordo pochissimo. Eccetto una monumentale descrizione della realizzazione dell'opera musicale perfetta: la momentanea fusione di due composizioni distinte, eseguite a mò di parata, che si avvicinano, fondendosi lentamente, per poi riallontanarsi ritrovando vita e senso proprio. Idea e scritture bellissime ma, ahimè, non so aggiungere altro al romanzo, se non che, a grandi linee, ricordo aver gradito. Può sembrar strano sentir parlare di storie se non se ne ha memoria, ma il fine di questo blog non è fare lezioni di narrativa, giudicare gli altrui stili di scrittura o dare assolutistici pareri pseudoaccademici (non ne ho nè la capacità nè la voglia). Il fine di questo blog è palare di storie, di narrazioni. Delle emozioni e/o sensazioni da esse create. Nella speranza di poter, prima o poi, beneficiare con apporti esterni con cui interagire e arricchire ogni argomento.
Continuando il mio arrovellamento su Baricco passo ora alla sua sperimentazione più grande: "Lezione 21". Opera con cui l'autore ha mantenuto il suo stile narrativo sperimentale, realizzato, questa volta, senza sbavature alcune. Ammetto che quando entrai al cinema ero altamente bendisposto verso la pellicola, grazie alla "Nona" di Beethoven, da me molto amata. E anche alla fine sono rimasto molto soddisfatto, nonostante in sala qualche impaziente sia uscito strada facendo. Immagino che l'utilizzo di storie nella storia, i commenti fatti da personaggi quasi onirici, a sè stanti e totalmente slegati dal filo narrativo ed il vorticare di contenuti, filosofici e non, che contraddistinguano lo stile di Baricco, possano essere risultati indigesti ad occhi ed orecchie più "quadrati" e meno inclini al sospeso (spesso le sue storie sono gomitoli che si dipanano strada facendo, che lasciano a lungo estraniati e smarriti e che necessitano di pazienza ed elevata curiosità). Ma "Lezione 21" è una storia meravigliosa, forse un po' sbruffona ma al contempo anche ironica, che si addentra in tematiche quali la bellezza, la vecchiaia ed il riscontro della leggenda nella realtà. Assolutamente da provare.
Del Baricco di cui ho parlato finora posso quindi dire di apprezzare fortemente le sperimentazioni narrativo/filosofiche che tenta in ogni sua storia, la sua particolarità di esser sempre simile, coerente, pur cambiando tantissimo da una narrazione all'altra (almeno, in ciò di cui ho esperienza). Forse l'impatto visivo meglio si addice alle sue storie o forse la sua scrittura non è tra le più adatte per me, lasciandomi sempre un pochino inappagato. Passiamo adesso al
Baricco più recente. Il suo ultimo lavoro, "Emmaus", è come la copertina del libro. Candido. Intangibile. Un mix tra saggistica, narrativa e intimismo. Si parla di adolescenza, di fede religiosa (in questo caso cattolica), di ceti sociali, di possibilità. Di vita. In poche pagine l'autore affronta moltissime tematiche con gli occhi di un adoloscente che si appresta a divenire uomo. Libro curioso, ricco di riferimenti e filosofia ma che, devo ammettere, non mi ha entusiasmato. I personaggi, da diafani e dicotomici, diventano strada facento sempre più complessi e dimensionali. Ammetto di non aver capito fino in fondo dove l'autore voleva spingerci e di essermi ritrovato circondato da un bianco spaesante per tutta la lettura. Ognuno sceglie la propria strada, o è già scelta? Il mio rapporto con Baricco è ben lungi dall'essere sereno e incondizionato. Tuttavia c'è. Perlomeno finchè continuerò ad essere incuriosito dagli enigmi che ci propone.
Ricordo di aver interrotto più volte la lettura del primo capitolo, per pochi secondi, per esprimere ai muri di camera mia, alle coperte ed agli altri libri che ci osservavano curiosi, l'emozione che una tale scrittura era riuscita a provocare. La storia, se ben ricordo, parla di un ragazzo pittoresco che s'intestardisce nel realizzare un'impresa unica nel suo genere. Baricco ha scelto di raccontarcela cambiando punto di vista ad ogni capitolo e con questo anche lo stile narrativo, purtroppo. Non che gli altri capitoli siano brutti o scritti male, per carità, semplicemente vengono offuscati dalla bellezza del primo. C'è da sottolineare, però, il coraggio e la bravura dell'autore nello scrivere un romanzo che sembra scritto a più mani e nel far parlare ogni personaggio con una voce propria. Per questo motivo, finito il romanzo, non ero ancora riuscito a capire che opinone avessi sull'autore. Con queste ed altre domande, tempo dopo, lessi "Castelli di rabbia", libro di cui, ammetto, ricordo pochissimo. Eccetto una monumentale descrizione della realizzazione dell'opera musicale perfetta: la momentanea fusione di due composizioni distinte, eseguite a mò di parata, che si avvicinano, fondendosi lentamente, per poi riallontanarsi ritrovando vita e senso proprio. Idea e scritture bellissime ma, ahimè, non so aggiungere altro al romanzo, se non che, a grandi linee, ricordo aver gradito. Può sembrar strano sentir parlare di storie se non se ne ha memoria, ma il fine di questo blog non è fare lezioni di narrativa, giudicare gli altrui stili di scrittura o dare assolutistici pareri pseudoaccademici (non ne ho nè la capacità nè la voglia). Il fine di questo blog è palare di storie, di narrazioni. Delle emozioni e/o sensazioni da esse create. Nella speranza di poter, prima o poi, beneficiare con apporti esterni con cui interagire e arricchire ogni argomento.
Continuando il mio arrovellamento su Baricco passo ora alla sua sperimentazione più grande: "Lezione 21". Opera con cui l'autore ha mantenuto il suo stile narrativo sperimentale, realizzato, questa volta, senza sbavature alcune. Ammetto che quando entrai al cinema ero altamente bendisposto verso la pellicola, grazie alla "Nona" di Beethoven, da me molto amata. E anche alla fine sono rimasto molto soddisfatto, nonostante in sala qualche impaziente sia uscito strada facendo. Immagino che l'utilizzo di storie nella storia, i commenti fatti da personaggi quasi onirici, a sè stanti e totalmente slegati dal filo narrativo ed il vorticare di contenuti, filosofici e non, che contraddistinguano lo stile di Baricco, possano essere risultati indigesti ad occhi ed orecchie più "quadrati" e meno inclini al sospeso (spesso le sue storie sono gomitoli che si dipanano strada facendo, che lasciano a lungo estraniati e smarriti e che necessitano di pazienza ed elevata curiosità). Ma "Lezione 21" è una storia meravigliosa, forse un po' sbruffona ma al contempo anche ironica, che si addentra in tematiche quali la bellezza, la vecchiaia ed il riscontro della leggenda nella realtà. Assolutamente da provare.
Del Baricco di cui ho parlato finora posso quindi dire di apprezzare fortemente le sperimentazioni narrativo/filosofiche che tenta in ogni sua storia, la sua particolarità di esser sempre simile, coerente, pur cambiando tantissimo da una narrazione all'altra (almeno, in ciò di cui ho esperienza). Forse l'impatto visivo meglio si addice alle sue storie o forse la sua scrittura non è tra le più adatte per me, lasciandomi sempre un pochino inappagato. Passiamo adesso al
Baricco più recente. Il suo ultimo lavoro, "Emmaus", è come la copertina del libro. Candido. Intangibile. Un mix tra saggistica, narrativa e intimismo. Si parla di adolescenza, di fede religiosa (in questo caso cattolica), di ceti sociali, di possibilità. Di vita. In poche pagine l'autore affronta moltissime tematiche con gli occhi di un adoloscente che si appresta a divenire uomo. Libro curioso, ricco di riferimenti e filosofia ma che, devo ammettere, non mi ha entusiasmato. I personaggi, da diafani e dicotomici, diventano strada facento sempre più complessi e dimensionali. Ammetto di non aver capito fino in fondo dove l'autore voleva spingerci e di essermi ritrovato circondato da un bianco spaesante per tutta la lettura. Ognuno sceglie la propria strada, o è già scelta? Il mio rapporto con Baricco è ben lungi dall'essere sereno e incondizionato. Tuttavia c'è. Perlomeno finchè continuerò ad essere incuriosito dagli enigmi che ci propone.
Mi piace l'idea di accostare un colore al libro. In effetti è un libro ambiguo. All'inizio mi aveva entusiasmato tanto che mi ero creata l'illusione che lo scrittore avesse usato questi adolescenti per inserire nella storia un suo particolare pensiero. Andando avanti però a questo proposito si è via via collegato un senso di spaesamento. Perchè Baricco ha scritto una storia così? Immaginavo questi ragazzi compiere chissà quale acrobatica eresia ed invece niente..il nulla. Solo il classico festino con droga e sesso e allegato trio sessuale alla Dreamers di Bertolucciana memoria. I personaggi perdono peso con lo scorrere delle pagine, da qui forse il bianco. La fanciulla(onnipresente oggetto di desiderio) viene usata dai ragazzi, ma forse e soprattutto dallo scrittore come un feticcio romantico sul quale riversare preghiere e sementi fertilizzanti. Baricco, con i suoi 50 anni suonati, anela alla bellezza diafana di una Madonnina postPunk e riversa nella storia accadimenti chiusi in se stessi. Che voglia con questo sgranare il piccolo rosario dei suoi anni migliori? La voce narrante inizia con un lungo monologo che gli permette ogni tanto di affacciarsi nella testa del lettore. Bello lo stile libero e poetico delle parole, forse è questo che mi ha sedotto. Peccato per lo Scontato finale... ma non sempre le ciambelle escono con il buco e questo Baricco di sicuro lo sà.
RispondiEliminaPer Baricco: con i tuoi ultimi interventi ti sei messo contro la critica che non sembra abbia apprezzato le tue ultime fatiche. L'idea di far parlare dei giovanetti un pò bamboccioni proprio non ha funzionato,rendono il racconto poco fluido, stitico a tratti.