Immerso nella vasca a leggere "Juliet, Naked" di Nick Hornby, e con questo ho già anticipato il prossimo libro commentato (ma non importa! tanto non c'è nessuno che le legga queste cose!), mi sono accorto di esser stato citato dall'autore.
BUM!!! direte voi, ed invece è proprio così. Sono stato citato, io e molti altri. Verso pagina 60 una delle due protagoniste, Annie, ragiona con se stessa sulla necessità di scrivere qualcosa dopo aver letto un brano, in questo caso bruttarello. Ci descrive un urgenza, un bisogno fisico di imprimere i propri pensieri su di uno spazio bianco. Un bisogno d'espressione viscerale.
Ecco, la stessa sensazione che ho provato dopo aver letto l'ottimo saggio di Wu Ming "New Italian Epic" (per approfondimenti cliccate qui oppure scaricate il testo direttamente dal loro sito, se proprio non volete comprare il libro!). Una sorta di frenesia incontenibile, di accelerazione delle idee, della volontà di provare a sbrogliare una matassa ormai troppo vasta di pensieri. Questo spazio è uno dei tentativi di risposta a quella moltitudine di sensazioni.
Nel romanzo sopracitato si prosegue il ragionamento e le descrizioni di chi lancia tracce nella rete. Annie si distingue per acume e limpidezza narrativa mentre il suo compagno Duncan per la spocchiosità e la pomposità nel esporre le proprie idee riguardo a passioni/ossessioni (il caro Nick ci sa descrivere proprio bene nella quotidianità che celiamo dietro la porta). Ripensando alle bozze tentate finora ed ai tentativi di conversazione con autori a me cari (sul sito di Altai, miei cari non-lettori potete scovare miei piccoli arrembaggi al dialogo... non sempre di gran caratura), altro argomento che, anche se secondo altri fili, si rilega alla mia quotidianità, non posso non notare quanto sia ancora un Duncan che aspira all'Annie, ma in fondo sono qui anche per questo.
Non so quante miriadi di persone sentano questo bisogno d'espressione o sappiano risalire ai momenti che più l'hanno alimentato. Sono profondamente convinto che in ogni persona esistano narrazioni prototipiche che hanno solo bisogno di trovare una forma propria. Sicuramente l'argomento avrà una sua ricca letteratura alle spalle. Forse il bisogno di oggi di apparire e mostrarsi potrebbe essere una distorta realizzazione di questi slanci narrativi, vista la cattiva abitudine a ragionare/leggere/pensare (vedi qui).
Comincio a perdermi e a confondermi.
Vorrei raccontarvi di un fatto "molto italiano" (per citare Stanis La Rochelle) accadutomi pochi giorni fa ma forse è meglio rimandarlo (suspense!!!) a momenti di minor rincoglionimento...
BUM!!! direte voi, ed invece è proprio così. Sono stato citato, io e molti altri. Verso pagina 60 una delle due protagoniste, Annie, ragiona con se stessa sulla necessità di scrivere qualcosa dopo aver letto un brano, in questo caso bruttarello. Ci descrive un urgenza, un bisogno fisico di imprimere i propri pensieri su di uno spazio bianco. Un bisogno d'espressione viscerale.
Ecco, la stessa sensazione che ho provato dopo aver letto l'ottimo saggio di Wu Ming "New Italian Epic" (per approfondimenti cliccate qui oppure scaricate il testo direttamente dal loro sito, se proprio non volete comprare il libro!). Una sorta di frenesia incontenibile, di accelerazione delle idee, della volontà di provare a sbrogliare una matassa ormai troppo vasta di pensieri. Questo spazio è uno dei tentativi di risposta a quella moltitudine di sensazioni.
Nel romanzo sopracitato si prosegue il ragionamento e le descrizioni di chi lancia tracce nella rete. Annie si distingue per acume e limpidezza narrativa mentre il suo compagno Duncan per la spocchiosità e la pomposità nel esporre le proprie idee riguardo a passioni/ossessioni (il caro Nick ci sa descrivere proprio bene nella quotidianità che celiamo dietro la porta). Ripensando alle bozze tentate finora ed ai tentativi di conversazione con autori a me cari (sul sito di Altai, miei cari non-lettori potete scovare miei piccoli arrembaggi al dialogo... non sempre di gran caratura), altro argomento che, anche se secondo altri fili, si rilega alla mia quotidianità, non posso non notare quanto sia ancora un Duncan che aspira all'Annie, ma in fondo sono qui anche per questo.
Non so quante miriadi di persone sentano questo bisogno d'espressione o sappiano risalire ai momenti che più l'hanno alimentato. Sono profondamente convinto che in ogni persona esistano narrazioni prototipiche che hanno solo bisogno di trovare una forma propria. Sicuramente l'argomento avrà una sua ricca letteratura alle spalle. Forse il bisogno di oggi di apparire e mostrarsi potrebbe essere una distorta realizzazione di questi slanci narrativi, vista la cattiva abitudine a ragionare/leggere/pensare (vedi qui).
Comincio a perdermi e a confondermi.
Vorrei raccontarvi di un fatto "molto italiano" (per citare Stanis La Rochelle) accadutomi pochi giorni fa ma forse è meglio rimandarlo (suspense!!!) a momenti di minor rincoglionimento...
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