"Benvenuti al party del secolo. L'Italia fatta a pezzi in una sfrenata ed esclusiva apocalisse".
Già nella quarta di copertina la storia ci viene riassunta in modo conciso ma preciso. Chi si sentiva ancora i vestiti umidi ed i sensi intorpiditi dalle ambientazioni e dallo spietato realismo del precedente "come dio comanda" sarà costretto ad un fulmineo riassestamento cognitivo.
Con questo libro Ammaniti si dimostra capace di svariare da un genere all'altro, mantenendo inalterato il ritmo narrativo cinematografico con cui è solito mostrare lo svolgere degli avvenimenti. Dalle tetraggini della periferia di pianura alle luci ed alterazioni della Roma "bene".
Come ha detto l'autore un mese fa da Fazio (che, nonostante l'impegno, non è riuscito a rovinare completamente i colpi di scena celati nel romanzo) l'ironia (o la satira?) è la protagonista indiscussa della storia. Un'ironia inversa o comunque disillusa.
Le vite e le particolarità dei protagonisti oscillano in continuazione tra buffo stereotipo e triste rappresentazione di umane miserie. Come nella vita di tutti i giorni, i personaggi celano così tante sfaccettature da risultare ora gradevoli, ora fastidiosi, ora compatibili. Per quanto la storia sia dichiaratamente surreale, le reazioni degli attori di questo teatro dell'assurdo sono dolorosamente reali. Anche quando ci fanno ridere di cuore.
Con questo racconto allegorico Ammaniti ci mostra i lati che meno vorremmo conoscere delle persone e con cui siamo ormai ben abituati a convivere.
La lettura risulta piacevole, scorre come una massa d'acqua dirompente in un cunicolo. Pagina dopo pagina veniamo accompaganti verso un finale allo stesso tempo inaspettato e scontato (a voi scoprire il perchè). Certo, rispetto al lavoro precedente è tutta un'altra cosa. Resta una bella cosa però. Lo stile, la storia e i personaggi ricordano il Palahniuk dei primi tempi, senza miscele di genere o improvvise deviazioni della storia. La capacità di scrittura, fortunatamente, ricorda il buon vecchio Ammaniti.
Gustoso.
Già nella quarta di copertina la storia ci viene riassunta in modo conciso ma preciso. Chi si sentiva ancora i vestiti umidi ed i sensi intorpiditi dalle ambientazioni e dallo spietato realismo del precedente "come dio comanda" sarà costretto ad un fulmineo riassestamento cognitivo.
Con questo libro Ammaniti si dimostra capace di svariare da un genere all'altro, mantenendo inalterato il ritmo narrativo cinematografico con cui è solito mostrare lo svolgere degli avvenimenti. Dalle tetraggini della periferia di pianura alle luci ed alterazioni della Roma "bene".
Come ha detto l'autore un mese fa da Fazio (che, nonostante l'impegno, non è riuscito a rovinare completamente i colpi di scena celati nel romanzo) l'ironia (o la satira?) è la protagonista indiscussa della storia. Un'ironia inversa o comunque disillusa.
Le vite e le particolarità dei protagonisti oscillano in continuazione tra buffo stereotipo e triste rappresentazione di umane miserie. Come nella vita di tutti i giorni, i personaggi celano così tante sfaccettature da risultare ora gradevoli, ora fastidiosi, ora compatibili. Per quanto la storia sia dichiaratamente surreale, le reazioni degli attori di questo teatro dell'assurdo sono dolorosamente reali. Anche quando ci fanno ridere di cuore.
Con questo racconto allegorico Ammaniti ci mostra i lati che meno vorremmo conoscere delle persone e con cui siamo ormai ben abituati a convivere.
La lettura risulta piacevole, scorre come una massa d'acqua dirompente in un cunicolo. Pagina dopo pagina veniamo accompaganti verso un finale allo stesso tempo inaspettato e scontato (a voi scoprire il perchè). Certo, rispetto al lavoro precedente è tutta un'altra cosa. Resta una bella cosa però. Lo stile, la storia e i personaggi ricordano il Palahniuk dei primi tempi, senza miscele di genere o improvvise deviazioni della storia. La capacità di scrittura, fortunatamente, ricorda il buon vecchio Ammaniti.
Gustoso.
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