sabato 9 gennaio 2010

Una considerazione su Sherlock Holmes


Sono passate poco più di ventiquattro ore dalla mia uscita dal cinema. Ogni tanto sceneggiatori, produttori e registi vari si rendono conto di non saper più come stupire o intrigare il grande pubblico e così, purtroppo e/o per fortuna, attingono ad idee non provenienti dai loro calamai digitalizzati e si rifanno ai classici. Purtroppo o per fortuna perchè, sebbene questa fruizione possa stuzzicare la curiosità verso i progenitori cartacei di queste rappresentazioni, il risultato finale non sempre evita ai trapassati autori di piroettare nelle loro tombe.
Questa volta è stato scelto di mostrare le gesta del "più grande investigatore di tutti i tempi" (per chi non sapesse chi è, guardare qui).
Devo ammettere che l'argomento è per me molto delicato, essendo l'opera su Holmes una delle prime belle ossessioni della mia adolescenza. Il solo vedere un servizio in cui il film veniva descritto come dotato di "meno logica e più azione", aspetto che sarà anche servito ad attirare nelle sale più telesedati, mi aveva immediatamente convinto a non guardarne neppure il trailer). Nonostante il ricordo letterario non fosse quella sera e non sia tutt'ora più limpidissimo, come potevo scordarmi le straordinarie particolarità investigative ed umane create da Conan Doyle? Come dimenticarsi delle immense conoscenze selettive, del modo obliquo di guardare le cose creando nessi inimmaginabili, delle astuzie per risolvere un caso, i vizi per tenersi allenato, l'insofferenza verso il banale? Nonostante i vari racconti si siano fatti nebulosi e faccia molta fatica a ricordare le particolarità che contraddistinguono i romanzi e le novelle (ad eccezione, non so perchè, de "Il mastino dei Baskerville), ricordo molto chiaramente le sensazioni provate durante le letture, l'emozione nel cercare d'intuire nessi tra indizi che non sempre Doyle ci mostrava immediatamente, preferendo lasciarci osservare da un punto di vista più "comune". Più vicini a Watson o addirittura a Lestrade, per intenderci.
Per questo motivo immaginare i miei due beniamini di un tempo paragonati a Batman e Robin mi lasciava tra lo stomacato e l'incazzato, "va bene dover accettare di combattere con l'ignoranza dilagante, pensavo, ma a tutto c'è un limite!!!". Eppure, dopo aver ascoltato diversi pareri di persone di cui mi fido (o di cui non mi sarei mai aspettato un apprezzamento verso certi film), ho ceduto e sono andato a vederlo. E devo dire di essere contento di averlo fatto. Intendiamoci, se si entra in sala per appagare in toto aspettative da romanzo, si uscirà delusi. Ma la storia è costruita bene.

I due personaggi (Watson in particolare) assomigliano, perlomeno fisicamente, all'idea che si forma riga dopo riga. Certo, sono molto americanizzati rispetto agli originali londinesi. Più sboroni. La battuta è spesso dietro l'angolo e le botte alla "Die Hard" pure. Ma i personaggi sono fedeli ai loro cartacei, così come il rapporto che li lega. Watson riprende di continuo Holmes per i suoi esperimenti o per le sue abitudini poco salubri e non riesce a staccarsene, sebbene in procinto di crearsi un proprio nucleo familiare. Lo stesso investigatore ci viene mostrato in tutta la sua scaltrezza, in tutta la sua logica. Il ritmo è molto veloce (ma non più intenso d molti racconti originali) e il rischio caricaturale sempre presente. Va comunque apprezzato il fatto che gli sceneggiatori abbiano letto e rispettato i tratti più salienti lasciando presente l'essenza dei personaggi, anche se più a stelle e strisce. Perfino la storia, che non lascia dubbi sul/i sequel futuro/i, è ben costruita e dotata di un finale dalle fattezze holmesiane: supremazia alla logica e certezza nella spiegabilità degli eventi.
Non viene lasciato molto spazio al trascendente ed anche la resurrezione risulta una semplice concatenazioni di eventi. Ma forse il trascendente risulta più chiaro se analizzato da occhi che non si accontentano di guardare ma si sforzano di vedere.
Concludendo, merita di essere visto. Può piacere, fare schifo, ma è comunque qualcosa di più di botte, sangue e tante tante esplosioni (trama media holliwoodiana). Merita una chance, se non altro per il tentativo di mostrare le evoluzioni di una mente unica nel suo genere.
Inoltre, per quanto mi riguarda, è un ulteriore insegnamento a non fermarsi davanti ai pregiudizi.

P.S.
Per chi non avesse mai avuto occasione, consiglio il racconto "Il caso del dottore", di Stephen King, contenuto nella raccolta "Incubi e deliri". Ottimo esempio di prosecuzione, o resurrezione, narrativa. Leggendolo viene da chiedersi se non abbia pubblicato un inedito di Doyle a proprio nome, tanto lo stile di scrittura si assomiglia!!!

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