martedì 28 dicembre 2010

Non è un paese per vecchie di Loredana Lipperini

Un paio di settimane fa sono stato alla presentazione di questo libro. Serata densa e ricca di spunti, che mi ha convinto a tuffarmici il prima possibile.
Un libro potente e senza peli sulla lingua.
Tratta tematiche forti ben celate da lustrini pubblicitari e deliri di eterna giovinezza/freschezza/bellezza ed un lunghissima serie di aggettivi dal sorriso largo e gelato.
Una semiparesi di negazioni.
Stiamo sistematicamente ignorando una delle componenti essenziali della nostra vita: la morte ed i vari cambiamenti e degenerazioni ad essa collegati.
La paura di cambiare. Di accettarsi, nel proprio scorrere.
Da qui la negazione della vecchiaia. Anzi, la forclusione. Eccetto nei momenti in cui ci si ritrova, volenti o nolenti, a guardarla negli occhi, indifesi e spaventati. Ed ecco la rabbia, il disprezzo, la volontà di annientamento di chi non può essere cambiato come un oggetto, ma che come quelli moderni non ha pezzi di ricambio.

Si legge molto bene, alcuni passaggi anche troppo. In certi momenti ci si ritrova commossi, straniti, incazzati a morte.
Altri passaggi possono risultare pesanti, ripetitivi. Troppo carichi.
Ma è proprio questo che si vuole raggiungere.
Si parla di vecchiaia. Di cosa comporta, di come la vive chi l'ha raggiunta e di come la vivrà chi, come tutti, vi è diretto.

Non è un saggio che vuole dare chissà quale risposta. E' la condensazione di dati di fatto, considerazioni ed interrogativi. Un viaggio attraverso forum, gruppi di discussione, gruppi d'odio, letteratura, musica (meravigliosa la parte sul metal) ed altre espressioni sociali di vario genere.
Una panoramica che non ha bisogno di monologhi asfissianti e consolatori, ma che con intelligente rapidità cerca di scuotere ciò che l'occhio ormai troppo spesso si dimentica di vedere, ciò che è preferibile ignorare.
Per comodità, pigrizia e soprattutto per paura.
Ma la negazione della paura, il consumare l'inconsumabile (almeno per ora) non è altro che un circolo vizioso che sbrana dall'interno.
Una lenta zombificazione di plastica.
Un film horror in cui non accade nulla di più del debutto in società del "mostro" di turno, troppo stanco per opporsi a ciò che lo circonda e rimanere se stesso.

[Per chi è interessato all'argomento: discussioni e confronti in progress qui e qui]

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