Di Gianpiero Franchini non si è mai potuto dire più di tanto.
Figlio di tabaccaio e sarta bolognese, aveva trascorso gli anni di formazione tra le mura del mausoleo della nonna e le tante storie in esso contenute. Ecco, la nonna sì che era una figura ingombrante; mastodontica, per azzardare. Centoquaranta chilogrammi accumulati in anni di peregrinanti tribolazioni passate accanto al mancato nonno della futura famiglia Franchini, Ermete Dalmonte, intrepido itinerante del Meloncello. Amazzonia, Abissinia e Mesopotamia le traversate più rimestate, finché, un bel giorno, all’inquieto ereditiero non balenò l’idea di avventurarsi sulle orme di Mallory, tra le vette più impervie del Tibet. La nonna, allora candido giunco dagli occhi di glicine, aveva spesso raccontato a Gianpiero le brutte sensazioni provate prima della partenza, il vacuo sorriso dello sherpa e le sferzate di tuoni lontani contro i contrasti dei suoi panni lanosi.
“Ma la vita è una giostra che gira Pierino, e alle volte, a chi vuole cavalcarne ogni parte, sovviene il fato, e la sua forza centrifuga.”
Fu così che Ermete, per toccarne la cima più immane, si sporse troppo dal vortice, spiccando il volo verso mete imbattute.
Gianpiero aveva sentito molte storie sul quasi-nonno Ermete, dal sorriso seducente, vaste arti amatorie, generosa forza d’animo e poderoso vigore fisico. Per sedici anni parte del suo nutrimento giornaliero erano state le avventure di questo eroico quasi-nonno, pellegrino del mondo, cercatore d’esistenze. La nonna aveva taciuto, o chissà, obliato, gli spossamenti che avevano imbrattato l’arazzo di memorie intessuto in quei lunghi anni. Mesi d’attesa sulle radici delle montagne ed era ripartita, sola, raccolta da mani caritatevoli e posta sul primo volo diretto in un’Europa intenta a ricostruire le sue future macerie. Secca e deperita, in preda alla più cruda delle abulie, si constatò davanti a casa, sotto il peso severo dello sguardo paterno, il sempre antico Professor Arfedeli. Davanti al focolare, riprendeva colore in balia dei morsi di quello sguardo marmoreo e di tutte le parole che ogni fremere di ciglia portava seco.
Il Professor Arfedeli non aveva mai approvato pienamente la relazione con il quasi-nonno Ermete. Era riuscito a sopportare l’onta e lo scandalo di cinque anni di fuga senza lustro, non per amor di figlia, seppur in qualche modo presente, e nemmeno per le difficilmente sottovalutabili finanze della famiglia Dalmonte. Furono le altrettanto grandi abilità del fu intrepido Ermete in storia, letteratura e lingue Greca e Latina a far sì che questa specie di unione s’avesse da fare.
E fu l’immersione nelle medesime la guida attraverso le allucinazioni di fine ventennio e la madre dell’allucinazione che rese il partigiano Freddo, all’anagrafe Franchini Piero, fantasma del fu Ermete e futuro nonno del nostro Gianpiero.
E furono tutte queste storie e le distorsioni applicategli dalle introduzioni pop-televisive anni ‘80/’90 a trascinare il Nostro in vortici più furiosi del suo mancato nonno.
Lasciandolo, nonostante tutto, grigio e inosservato, piccolo pezzo di ghiaia da selciato, di cui non si è mai potuto dire più di tanto.
Figlio di tabaccaio e sarta bolognese, aveva trascorso gli anni di formazione tra le mura del mausoleo della nonna e le tante storie in esso contenute. Ecco, la nonna sì che era una figura ingombrante; mastodontica, per azzardare. Centoquaranta chilogrammi accumulati in anni di peregrinanti tribolazioni passate accanto al mancato nonno della futura famiglia Franchini, Ermete Dalmonte, intrepido itinerante del Meloncello. Amazzonia, Abissinia e Mesopotamia le traversate più rimestate, finché, un bel giorno, all’inquieto ereditiero non balenò l’idea di avventurarsi sulle orme di Mallory, tra le vette più impervie del Tibet. La nonna, allora candido giunco dagli occhi di glicine, aveva spesso raccontato a Gianpiero le brutte sensazioni provate prima della partenza, il vacuo sorriso dello sherpa e le sferzate di tuoni lontani contro i contrasti dei suoi panni lanosi.
“Ma la vita è una giostra che gira Pierino, e alle volte, a chi vuole cavalcarne ogni parte, sovviene il fato, e la sua forza centrifuga.”
Fu così che Ermete, per toccarne la cima più immane, si sporse troppo dal vortice, spiccando il volo verso mete imbattute.
Gianpiero aveva sentito molte storie sul quasi-nonno Ermete, dal sorriso seducente, vaste arti amatorie, generosa forza d’animo e poderoso vigore fisico. Per sedici anni parte del suo nutrimento giornaliero erano state le avventure di questo eroico quasi-nonno, pellegrino del mondo, cercatore d’esistenze. La nonna aveva taciuto, o chissà, obliato, gli spossamenti che avevano imbrattato l’arazzo di memorie intessuto in quei lunghi anni. Mesi d’attesa sulle radici delle montagne ed era ripartita, sola, raccolta da mani caritatevoli e posta sul primo volo diretto in un’Europa intenta a ricostruire le sue future macerie. Secca e deperita, in preda alla più cruda delle abulie, si constatò davanti a casa, sotto il peso severo dello sguardo paterno, il sempre antico Professor Arfedeli. Davanti al focolare, riprendeva colore in balia dei morsi di quello sguardo marmoreo e di tutte le parole che ogni fremere di ciglia portava seco.
Il Professor Arfedeli non aveva mai approvato pienamente la relazione con il quasi-nonno Ermete. Era riuscito a sopportare l’onta e lo scandalo di cinque anni di fuga senza lustro, non per amor di figlia, seppur in qualche modo presente, e nemmeno per le difficilmente sottovalutabili finanze della famiglia Dalmonte. Furono le altrettanto grandi abilità del fu intrepido Ermete in storia, letteratura e lingue Greca e Latina a far sì che questa specie di unione s’avesse da fare.
E fu l’immersione nelle medesime la guida attraverso le allucinazioni di fine ventennio e la madre dell’allucinazione che rese il partigiano Freddo, all’anagrafe Franchini Piero, fantasma del fu Ermete e futuro nonno del nostro Gianpiero.
E furono tutte queste storie e le distorsioni applicategli dalle introduzioni pop-televisive anni ‘80/’90 a trascinare il Nostro in vortici più furiosi del suo mancato nonno.
Lasciandolo, nonostante tutto, grigio e inosservato, piccolo pezzo di ghiaia da selciato, di cui non si è mai potuto dire più di tanto.
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