Spesso sentiamo parlare di come i bambini e i ragazzi di oggi facciano fatica a rimanere concentrati per più di qualche minuto su attività intellettuali che richiedano un alto livello d'attenzione. In parte è vero e lo si percepisce già tra le mura scolastiche, in cui la sfida maggiore è trovare il modo per appassionarli ad un argomento per un tempo superiore ad una partita a Pokemon o Mario kart. Figurarsi poi a scuole chiuse, al campo estivo della parrocchia: centoventi pargoli dai 6 ai 12 anni stipati in pochi metri quadri quasi completamente alla mercè di un sole sempre più martellante, con l'afa bolognese ad ingolfare bronchi e giunture, soprattutto dei loro educatori.
C'è abbastanza materiale per riempire tg di servizi e approfondimenti sull'emergenza iperattività, con orde di bambini ipercinetici o ADHD; sull'allarme caldo che, chissà perchè, si ripresenta improvvisamente ogni estate; sul pericolo dell'esposizione a certe temperature di codesti frugoletti caricati a molla, pronti a impazzare per le strade dell'intera penisola e devastare ogni cosa come cavallette antropomorfe (inoltre si potrebbe cogliere l'occasione per ricordare ai telespettatori che la maggior parte di questi bambini proviene, magari secondo autorevoli fonti statistiche, dalla scuola pubblica; o sottolieare i "benefici" del metilfenidato, ma queste sono altre storie).
Ovviamente non avviene nulla di tutto ciò e i centoventi bambini in questione, dopo mesi di fatiche più o meno intense sui banchi, riescono addirittura a svolgere ogni giorno un'oretta di compiti senza bisogno di particolari minacce o ricatti e a seguire lo svolgimento, recitato ad altissimi livelli sottoamatoriali, del tema dell'anno, Odissea (Piumini version). Per il resto del tempo la maggior parte di loro si lascia andare a giochi più o meno fantasiosi e scatenati (personalmente ho potuto "scoprire" le meraviglie di Palla senza palla, una vera chicca), in particolare nella pausa pranzo. Ed è proprio lì che, martedì scorso, ho avuto una piacevolissima sorpresa. Il piccolo gruppo di bambin*, con cui l'anno precedente avevo attraversato la trilogia di Roddy Doyle sotto la frescura apparente di tigli e tendoni, è venuto a chiedermi se anche quest'anno avrei portato dei racconti intorno cui sedersi. Perciò il giorno successivo abbiamo ricreato il semicerchio di panchine intorno alla mia sedia rossa per comiciare la seconda stagione del nostro personalissimo club di lettura.
E' un momento meraviglioso, quello della storia pomeridiana. Un piccolo crocevia tra il turbinio di giochi circostanti, libero da vincoli ed aperto ai vari naviganti. C'è chi ascolta l'inizio per un po', per farsi poi trascinare dalle correnti di avventure, partite e grida del grande giardino; chi passa un attimo per ascoltare qualche frammento, sbirciare un disegno o chiedere il titolo della giornata; chi arriva a metà e si gode il finale; chi, per troppa timidezza, non ha trovato nessuno con cui giocare e scopre amicizie interagendo tra le pagine di un libro.
Poi ci sono gli affezzionatissimi membri del club: Arianna, che ascolta tutta la storia con lo sguardo perso tra le fronde, riabbassandolo ogni tanto per uno sguardo rapido alle figure; Sara, seduta sempre all'estremità della panchina, con la bocca semi aperta; Francesco, che gioca tra erba e polvere con le orecchie ben drizzate; Elettra, inclinata in avanti, quasi a voler sfiorare ogni personaggio; Ilaria, appollaiata sullo schienale della panca; Simone, seduto composto con un sorriso accennato; Greta, sorridente e con gli occhi socchiusi; Sofia, che si dondola appena, tenendo i capelli tra le dita.
Questa settimana abbiamo letto due storie di Roald Dahl, autore solitamente molto amato (perlomeno, io l'ho amato e l'amo ancora tantissimo).
Si è incominciato dall'ultimo libro che ha scritto, tra i meno conosciuti dell'autore inglese, Minipin, un breve racconto in cui sono inserirti, in modo leggero ma incisivo, la maggior parte dei temi a lui cari.
Come spesso accade nelle sue opere, il protagonista è un bambino curioso di scoprire quello che lo circonda, di fare le cose probite (sempre le più interessanti) e di guardare il mondo con i propri occhi. Entrato senza permesso nel bosco accanto a casa, si trova ad essere inseguito dal terribile Sputacchione Succiasangue Tritadenti Sparasassi, un mostro misterioso e sanguinario avvolto da un turbine di fumo. Per salvarsi, Piccolo Bill si arrampicherà sull'albero più alto, dove farà la conoscenza con i Minipin, minuscola popolazione che vive all'interno degli alberi e si sposta per il bosco grazie all'aiuto di scarpe a ventosa ed uccelli. Con l'ingegno, l'aiuto di chi lo circonda e una buona dose di coraggio, Piccolo Bill riesce a sconfiggere il mostro, liberando il bosco intero dalla sua minaccia e se stesso dai vincoli della paura.
Dahl con questa storia ci insegna ad imparare a guardarci intorno, in modo obliquo, ad osservare con occhi sfavillanti tutto il mondo intorno (...), perchè i più grandi segreti sono nascosti dove meno ve li aspettate. Si diverte a ribaltare i punti di vista, a trovare consonanze nelle differenze più grandi. Ogni situazione o impasse può essere superata con un pizzico d'ingegno (non con l'inganno, verso cui, in molte sue storie, riserba contrappassi inequivocabili) ed ironia.
Prima di concludere la settimana ci siamo invece cimentati in anagrammi. Giovedì ho chiesto chi sapesse cosa significasse Agura trat e il giorno dopo Sofia è venuta tutta sorridente con la soluzione. Rispetto al precedente, questo è un racconto più spensierato. Una love story in tartarughese ostacolata da troppa timidezza e giunta a buon fine in pieno stile Dahl: grazie ad un pizzico di coraggio e tanta creatività. Un modo simpatico per spronare i più piccoli ad ingegnarsi per superare i propri limiti e, al contempo, a non avere troppa fretta nel voler crescere.
Domani si ricomincia. Una nuova storia per il piccolo uditorio mobile.
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